I Mille. Garibaldi Giuseppe. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Garibaldi Giuseppe
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Документальная литература
Год издания: 0
isbn: 4064066071899
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e rigoroso stato d’assedio.

      Poche eran le comunicazioni colla campagna, e quelle poche persone a cui era permessa l’uscita dalla città dovevano garantire il Governo che nulla da loro avea da temere di congiure o d’intelligenza coi patrioti di fuori—al solito chiamati briganti.

      Ma mal si governa colla tirannide e peggio ancora con popoli che hanno tradizioni come quella dei Vespri—la più terribile delle lezioni data dai popoli ai loro oppressori—e che non trova paragone in nessun tempo ed in nessuna delle storie delle Nazioni.

      Italia! terra dei morti—secondo uno di quei grandi che vengono nominati tali, perchè nacquero tra generazioni di piccoli.—Italia, dico, depressa oggi, umiliata—e detto in onor del vero—anche disprezzata—conta dei fatti che nessun popolo della terra uguaglia.

      1º Giunio Bruto, condannando a morte i proprii figli perchè creduti implicati in una congiura contro lo Stato.

      2º Manlio, dittatore, facendo decapitare in sua presenza il valoroso suo figlio vincitore d’un gigante latino che avea sfidato a pugna singolare i migliori dell’Esercito Romano, perchè avea trasgredito il divieto dittatoriale di non uscire dalle fila. Questi due fatti d’insuperabile disciplina sono forse la chiave di quella severissima disciplina romana che condusse le Legioni su tutto l’orbe conosciuto, e di cui si trovò un saggio sotto le ceneri di Pompei, d’un legionario che coll’arma al piede lasciossi coprire dalle ceneri senza muoversi.

      3º E i Vespri? Un popolo che conta i Vespri ne’ suoi annali, può durar poco nel servaggio.—E ricordatelo bene voi che nei tempi presenti (1870) cercate di imbavagliarlo con delle concessioni e delle carezze più o meno scellerate e sempre gesuitiche.—Voi che nascondete le ugne d’acciaio degli antichi signorotti sotto uno straccio di carta che presto, speriamolo, per il decoro dell’Italiana famiglia, vedremo svolazzare nel letamaio delle genti rigenerate.

      Lina e Marzia abbandonando la loro assisa maschile, aveano indossato le vestimenta più confacenti alle loro bellissime forme, cioè la sottana ed il farsetto, così graziosamente allacciato dalle vezzose forosette della conca d’oro. Due rossi fazzoletti di seta che per caso si trovarono nel vicino borgo di Misero i cannoni, furono fantasticamente avvolti a quelle teste da modello, nascondendo non totalmente le ricchissime capigliature, giacchè il sesso gentile ama, com’è naturale, di mostrare i tesori che natura profuse sulla creatura prediletta.

      Solo i calzari delle due eroine avevano militare, o piuttosto, cacciatrice fisionomia, poichè nel borgo suddetto non si trovarono calzature fatte da donna.

      I volontari contemplavano meravigliati le superbe donzelle che sì fiere avean veduto sul campo di battaglia, ora orgogliose d’essere prescelte ad ardua e pericolosa impresa, e poi si guardavan l’un l’altro stupefatti.

      Nullo, perdutamente innamorato della Lina—da lui conosciuta nelle natíe ed alpestri valli—supplicava invano il comando dei Mille, di lasciarlo andare in compagnia della bella coppia.

      E P... non meno di lui invaghito della Marzia manifestava lo stesso proponimento. Alla vigilia di serii combattimenti però, non si volle privare il corpo di due sì valorosi ufficiali.

      Una contadina del borgo anzidetto fu destinata ad accompagnarle come guida.—E così munite di adeguate istruzioni Lina e Marzia s’incamminarono verso la capitale della Sicilia, le di cui altiere torri scorgevansi alla distanza di poche miglia, dominando la superba metropoli dei Vespri ed il littorale Mediterraneo.

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       ITALIA.

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      Italia, Italia, tu, cui feo la sorte

       Dono infelice di bellezza.....

       ..... Nè te vedrei del non tuo ferro cinta

       Pugnar col braccio di straniera gente

       Per servir sempre, o vincitrice, o vinta.

      (Filicaja).

      Ed eccomi ancora a trattare del pugnale, quantunque mi ripugni ricominciare con tale terribile argomento.

      E perchè dunque vi costituite tiranni? Perchè da secoli questa mia terra deve servire di lupanare a quanti malandrini porta l’Europa?

      Perchè essi vengono a mangiarci i frutti, a beverci il vino, che costarono il sudore della nostra fronte?

      Perchè? Perchè? arrossisco nel pensare a tanti altri perchè, che solo il pugnale può vendicare!

      E voi, amabili ed umani dominatori dell’Occidente e del Settentrione, qual’armi avete concesso ai vostri Iloti italiani, perchè non dovessero servirsi d’un ferro, per vendicare un oltraggio od un disonore?

      Oggi ancora, ladroni spudorati, voi infestate le nostre terre che tenete a ruba da varii secoli,—sotto il falso pretesto di religione che non avete, e di diritto divino con cui burlate il mondo.—Ditemi voi: se più legali sono i vostri furti e le vostre violenze, od il ferro italiano che qualche volta—segna le vostre schifose fisonomie?

      Ditemi, s’eran legali i vostri assassinii, commessi contro i Messicani, tra cui l’italiano generale Ghilardi fucilato proditoriamente dal servo del 2 Dicembre, Bazaine, contro i Romani del 49 e del 67, contro i Veneti, i Bassi, i Ciceroacchi con due figli e nove compagni, i martiri di Belfiore, ecc. ecc., tutti onesti, tutta gente di cui più valeva un capello che tutta l’anima vostra, carnefici del genere umano!

      E verrà un giorno in cui l’Italia purgata dei suoi Tersiti, e dei suoi impostori che l’addormentano e la corrompono, vi tratterà non più coi guanti bianchi—come siete usi ad esser trattati in questo sventurato paese, ma da assassini vi tratterà, come siete, impiegando i mezzi che adoperano i popoli per redimersi da tiranni e da ladri, cioè: pugnale, fuoco, veleno.

      E non fate cipiglio—signori vermi della società umana—a tali felici augurii per il mondo, poichè grassi, pistagnati, indorati come siete, siete più nocivi dell’insetto che rode le radici della pianta alimentaria, e dell’avvelenatore rettile, che uccide quasi istantaneamente l’umana creatura.

      Sì! voi oppressori delle genti e sostenitori della menzogna, siete la peste del mondo!

      È duopo rammentar sovente tutto ciò ai dormenti nostri concittadini: acciò smentiscano i soddisfatti, perchè con pancia piena spacciano massime che son tutte menzogne e paroloni di libertà, di indipendenza e di unità italiana con solo di vero: miseria e degradazione!

      E finalmente: non è il Buonaparte con complici il Governo italiano ed i preti, il mantenitore del brigantaggio nell’Italia meridionale?

      E non sono i despoti, i fomentatori delle rivoluzioni nel mondo?

      Io sfido che si provi il contrario.

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       MANISCALCO.

       Indice

      L’immacolato tricolor, dolenti

       Sì, noi macchiammo, per veder risorti

       Della Romana Italia, i macilenti

       Nipoti a un fascio e ad un cammin consorti.

       Or dimmi: hai tu dell’Italo fidente

       Appagata la speme—e le proterve

       De’ suoi tiranni, soldatesche hai spente—

       Birri un dì noi vedemmo e genti serve

       Su quest’afflitta terra—e fatalmente

       De’ servi e birri, noi vediam caterve.

      (Autore