— Ma voi siete un grand'uomo, signore! — esclamò il marinaio.
— Niente affatto, — rispose Albani, sorridendo. — Ho viaggiato assai, specialmente nella Malesia, e metterò a profitto tutto ciò che ho imparato nelle mie escursioni. Al lavoro, amici!... Prima di questa sera, bisogna avere un ricovero.
— Ma non abbiamo ancora bevuto, signore, — disse il marinaio, — ed io sarei ben felice di poter ingollare un sorso d'acqua.
— Ecco una pianta che ci darà dell'acqua buonissima, — rispose il veneziano. — La natura comincia il suo ufficio di provveditrice dei Robinson. —
Egli si era avvicinato ad una specie di liana ramosissima che s'arrampicava attorno ad un durion, formando dei graziosi festoni, e aveva impugnato il coltello che aveva preso al mozzo.
— Preparatevi ad accostare le labbra, — disse.
Con un colpo secco la troncò e dai due capi si videro tosto sgorgare due zimpilli d'acqua limpidissima.
— Non sarà velenosa, signore? — chiese il marinaio, esitando.
— No, uomo diffidente: bevi con tuo comodo che ce n'è per tutti. —
Enrico ed il mozzo applicarono le labbra ai due pezzi della liana e bevettero avidamente, poi lasciarono il posto al signor Albani che si era rifiutato di accettarlo prima.
— È vera acqua, signore, — disse il marinaio. — Ma che specie di pianta è questa, che fa l'ufficio delle fontane?
— Si chiama aier dagli abitanti delle Molucche e d'Amboina, ma è poco conosciuta dai naturalisti europei. Solamente Rumfio e il nostro Rienzi, il valoroso esploratore di queste regioni, ne hanno fatto cenno. È però comunissima e gl'isolani ne fanno molto uso quando l'acqua diventa scarsa nei serbatoi e nei torrenti.
So che anche le frutta di questa liana contengono molto umore acqueo.
— Che piante strane! — esclamò Piccolo Tonno.
— Ne troveremo delle altre che ci daranno dell'acqua. Seguitemi, amici.
— Dove ci conducete?...
— A trovare i materiali per la nostra capanna. Vedo laggiù una piantagione di bambù e quelle canne robustissime e facili a trasportarsi, ci serviranno a meraviglia.
— Ed i rottami, non possono servirci? —
Il veneziano parve colpito da quella domanda.
— È vero, — disse. — Vi sono i cordami, le vele e anche le aste di ferro dei pennoni che ci possono giovare per molti usi. È meglio che riportiamo tuttociò a terra, prima che la marea respinga il rottame al largo. Questa notte potremo accontentarci d'una tenda. —
Tornarono verso la spiaggia cercando un passaggio che permettesse a loro di scendere verso il mare e lo trovarono a duecento passi dalla grande rupe. Colà la sponda s'abbassava dolcemente formando una piccola cala, entro la quale avrebbe potuto trovare un comodo rifugio un piccolo bastimento, essendo difesa da una doppia linea di scogliere.
Denudatesi le gambe, trovandosi i banchi sabbiosi, che costeggiavano la sponda, sommersi, in causa dell'alta marea, si diressero verso la caverna marina, dinanzi alla quale trovarono ancora arenato il rottame.
Si misero tosto all'opera per ricavare tuttociò che poteva essere a loro necessario. Il legname era inutile, essendovene ad esuberanza nell'isola e preferendo adoperare i bambù i quali si prestano meglio di tutti nelle costruzioni delle capanne; ma s'impadronirono delle funi, dei paterazzi e delle sartie che potevano essere molto utili, quindi levarono tutte le ferramenta dei pennoni e specialmente le sbarre che servono d'appoggio ai gabbieri e poi le vele che erano tre, quella di gabbia, di pappafico e di contra-pappafico.
— Serviranno a fare delle amache e dei vestiti, — disse il veneziano. — La tela è ancora in buono stato.
— Ma ci mancano gli aghi, signore, — disse il mozzo.
— Troveremo il modo di fabbricarne.
— Di acciaio?...
— Non ho questa pretesa, ma certe ossa di pesci ci serviranno a meraviglia.
— Lo dite sul serio? — chiese Enrico.
— Certo, incredulo marinaio. Gli abitanti nordici, gli Esquimesi per esempio, credi che abbiano degli aghi d'acciaio?... No, si servono di ossa di pesci e noi li imiteremo.
— Ed il filo?...
— Lo avremo dalle vele, quantunque sia certo di trovare qui degli alberi che potrebbero procurarcelo. L'arenga saccharifera produce una sostanza cotonacea che i malesi adoperano come esca e che si potrebbe filare.
— Ma voi, signor Emilio, siete un uomo miracoloso. Sapreste procurarvi tutto anche in un'isola deserta.
— Sì, purchè abbia degli alberi, — rispose il veneziano, ridendo. — Orsù, torniamo alla sponda. —
Si caricarono d'una parte degli oggetti ricavati dal rottame e riguadagnarono il gruppo di durion, presso cui contavano di accamparsi finchè non trovavano un posto migliore.
Dopo essersi un po' riposati, scesero nuovamente la sponda e riportarono il resto.
Erano allora le quattro pomeridiane, a giudicarlo dall'altezza del sole. Essendo troppo stanchi per cominciare nuovi lavori, colla vela di gabbia che era molto grande e con pochi rami d'albero improvvisarono una comoda tenda, quindi fecero un'ampia raccolta di legne secche onde mantenere il fuoco acceso durante la notte, temendo qualche visita pericolosa da parte degli abitanti a quattro gambe della foresta. Fortunatamente avevano la possibilità di accendere quelle legne, avendo il marinaio ritrovate in una delle sue tasche l'acciarino, la pietra focaia e l'esca, che conservava in una scatola metallica assieme alla pipa, diventata, ohimè, inutile ormai, mancando il tabacco.
Il pranzo fu molto magro quella sera, ma si accontentarono. La minuta era semplice, ma fortunatamente abbondante: granchiolini di mare arrostiti sui carboni, delle ostriche, delle frutta di durion e una sorsata d'acqua data da un'altra liana che avevano scoperta a breve distanza dalla piantagione di bambù.
— A chi il primo quarto di guardia? — chiese Albani. — Non sarebbe prudente addormentarci tutti, non sapendo quali animali si nascondono nei boschi o quali uomini abitino quest'isola.
— Lo farò io, — disse il marinaio.
— Bada di non lasciar spegnere il fuoco.
— Non abbiate timore.
— E se scorgi qualche cosa di sospetto, chiamaci senza indugio.
— Dormite tranquilli. —
Il signor Emilio ed il mozzo scivolarono sotto la tenda, mentre il marinaio si sdraiava presso il fuoco colla scure a portata della mano.
Capitolo VII La Tigre
Pareva che quella prima notte, sulle sponde di quell'isola sconosciuta, dovesse trascorrere tranquilla, poichè nessun rumore veniva dalla parte dei boschi che si estendevano in direzione della montagna, la cui massa spiccava sul fondo costellato del cielo.
Non si udivano che i monotoni gorgoglii delle onde le quali, spinte dall'alta marea, venivano ad infrangersi dolcemente contro le scogliere e sui bassi-fondi sabbiosi.
Il marinaio però, non del tutto rassicurato da quel silenzio, vegliava attentamente, non ignorando che nelle isole della regione chino-malese, numerosi e formidabili sono gli animali che abitano le selve e le jungle.
Riattizzava ad ogni istante il fuoco, il solo riparo che poteva difenderlo contro una aggressione, ben