Ne sembra aver dimostrato in che modo e le arti e le scienze di che abbisogna la guerra sieno utili a questa ne' suoi elementi e ne giovino lo sviluppo.
Ma una relazione piú alta si scorge nella parte trascendentale della scienza, vale a dire in quella dove si formano i piani di guerra, si stabilisce il sistema della difesa d'uno Stato o si pon mano alla militare costituzione di un popolo, che molti cospicui scrittori hanno denominata «filosofia della scienza bellica», o meglio «politica militare». Egli è d'uopo conoscere ed applicare ora questa ed ora quella di moltissime scienze. Basterebbe cennare un sistema di reclutazione ovvero di avanzamenti, un sistema di fabbricazione o di amministrazione, o finalmente un sistema di difesa a fine di combinare le fortificazioni colle forze che si hanno, perché si vedesse qual serie di cognizioni si leghi alla scienza bellica. Arrivata questa a un'altezza siffatta, strettissima è la sua relazione colla storia, col dritto pubblico, colla diplomatica e però colle forme che una tale scienza richiede, dovendo l'uomo di guerra assai di frequente fare trattati o capitolazioni o tregue o conchiudere paci. Per la qual cosa gli è d'uopo ancora aver cognizione delle varie parti del dritto applicato alla politica esterna. La guerra ha per se stessa pochi principi ed una assai breve legislazione. Nell'applicare quei principi, nell'usare di questa legislazione, consiste l'ingegno e il valore di chi comanda. Conviene studiare attentamente la storia la quale, come di sopra notammo, componesi di urti di uomini, d'interessi e d'idee. In effetto non v'ha un interesse, non una credenza, non un sentimento, il quale non siasi ingrandito e messo non abbia forti radici mercé della conquista o della resistenza che alla conquista opponevasi. Nella missione divina di Mosè vediamo la provvidenza medesima far della guerra uno strumento di religioso propagamento, e la denominazione di «Dio degli eserciti» data all'Eterno si è trasmessa da quella rimota epoca fino a' dí nostri.
La quarta ed ultima quistione cui ne rimane a rispondere, vale a dire se la scienza militare influisca sullo sviluppo dell'intelligenza e della volontá, potrá a molti sembrar risoluta mercé delle antecedenti, e però inutile il riparlarne. Pure abbiam voluto separatamente toccarla a fine di combattere una opinione comunemente invalsa, cioè che il mestier delle armi abbrutisca l'uomo e renda inerte la sua intelligenza e sregolata e feroce la sua natura. A prima vista, non lo neghiamo, sembra fondata una tale opinione; ma esaminandola un po' piú addentro, scorgiamo esser ella non giusta. Perocché il mestiere dell'armi interamente dipende dalla societá nella quale si esercita, e ogni volta che in questa è ignoranza e barbarie, ignoranza e barbarie è ancor nella soldatesca, sebbene il piú delle volte si scorga piú intelligenza, piú civiltá ed anche piú umanitá in un esercito appartenente a nazione involta nella barbarie ma militante in paese straniero, che nel restante della nazione rimasta in patria. Della qual cosa potremmo recare esempi moltissimi; il che non facciamo perché portiamo opinione non essere alcuno dei nostri lettori che per se medesimo non li vegga.
Ma proseguiamo. Non può negarsi che niuna cosa piú facilmente promove e sviluppa l'intelligenza quanto il numero e la forza delle impressioni che la mente riceve. Niente meglio rafferma la volontá quanto gli ostacoli i quali si attraversano al conseguimento dei desidèri o alla esecuzione dei doveri. Ora è certissimo che la guerra fatta in un campo un po' vasto cosí nello spazio come nel tempo, possiede le condizioni tutte che abbiamo notate, promovendo lo sviluppo ed insieme l'esercizio dell'intelligenza e raffermando la volontá.
In effetto la storia degli uomini grandi (ne fa Plutarco ampia fede) piú che d'ogni altro è abbondevole d'uomini di guerra, e negli Stati dove le istituzioni e le tradizioni rendevano il mestiere dell'armi un dovere dal quale nessun cittadino poteva esentarsi, copia maggiore di uomini grandi sorgeva, ma grandi piú che nell'altre cose nella milizia. E questo può dirsi riguardo ai popoli un po' inciviliti. In quanto ai popoli barbari non v'ha illustrazione possibile fuorché nella guerra, e dove le classi son molte e distinte fra loro, torna piú facile il fare di un buon capitano un ambasciatore, un amministratore, un tribuno, un uomo di Stato, che di un di costoro un buon capitano. Non mancano esempi di questa versatilitá d'ingegno la quale s'incontra nei militari.
Lo sviluppo della volontá è conseguenza dello stato violento che seco mena la guerra, di sua natura esaltatrice delle passioni al sommo grado. In prova di questo ricorderemo che soggetto delle opere letterarie piú scelte, dei piú famosi poemi, è la guerra, niente meglio valendo a dipingere la forza sublime, l'alta energia dell'umano volere. Basta citare Omero, Virgilio, il Tasso e il Camoens onde chiarire che nella guerra piú che in tutt'altro suole mostrarsi l'umanitá nel suo piú compiuto sviluppo, e però agevolmente si può ingrandire nel metterla in scena senza uscire del tutto dal mondo reale. Alle autoritá che recammo in esempio aggiugneremo altri argomenti desunti dalle cose predette, cioè:
1. La varietá delle impressioni, il rapido passaggio dalle une alle altre, la quantitá degli oggetti che si offrono all'occhio secondo i paesi che si attraversano e i climi e le opinioni che variano di continuo, creano, e non v'ha dubbio, nuovi pensieri e in gran numero.
2. Nelle menti regolarmente formate questi pensieri debbon fruttare di molto,