Novelle e riviste drammatiche. Arrigo Boito. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Arrigo Boito
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Документальная литература
Год издания: 0
isbn: 4064066072124
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subito dopo la rappresentazione, ma più tardi, di modo che spesso, se non sempre, correggono e compiono le impressioni di questa con la lettura ponderata dell'opera giudicata; tuttavia sembrano scritte molto in fretta, come appare anche dalle incertezze e incongruenze della grafia e da qualche distrazione curiosa, quale quella per cui il personaggio dumasiano di Suzanne d'Ange si sdoppia in Suzanne e nella baronne d'Ange e quella per cui il Porta prende il posto del Grossi come autore della Prineide; di più, qui e nelle novelle, le citazioni e i richiami non sono sempre esatti, e ben si sente che l'autore attinse dalla sua memoria, non, volta per volta, da libri e manuali, ottima prova, a mio parere, che la sua dottrina non era d'accatto e posticcia.

      Questa sua larghissima cultura gli permette di cogliere tutte le discendenze e le parentele letterarie, ed eccolo infatti presentare A. Dumas fils come il padre di tutta una abbondante fioritura di commedie, non sempre bene odorante, e ridurre sotto il suo denominatore le opere teatrali di cui va parlando. D'altra parte la sua estesa e larga conoscenza del teatro francese contemporaneo non gli impedisce di tener d'occhio i grandi modelli del passato, e principalmente lo Shakespeare, e non solo lo Shakespeare dei quattro o cinque capolavori più celebrati e più noti, al quale quasi di continuo si richiama: si può dire che il drammaturgo inglese è il poeta ch'egli ha più di tutti famigliare, quasi quanto ha famigliare Dante, del quale ad ogni momento gli cadono senza sforzo sotto la penna parole, frasi, versi interi, ricordi svariati. Ma, fosse la fretta, fosse naturale deficienza del suo spirito, i suoi criteri generali non appariscono chiari, mentre mostra un sentimento profondo e vivace, sebbene pur esso confuso, del grande e del bello; si direbbe che le grandi questioni fondamentali, ma in verità non sono che pseudo-questioni, ad esempio quella delle relazioni tra storia e arte drammatica, a proposito della quale si noti col richiamo al Nerone di Svetonio l'accenno alla pretesa imparzialità del poeta, egli senta da artista e non riesca a fissare e dominare da filosofo. Del resto al suo fervido temperamento di artista più che alla sua ragione di critico gli avviene qualche volta di abbandonarsi con manifesto compiacimento e senza nessun rispetto all'economia generale della sua rivista, e allora egli scrive quelle bellissime pagine, tutte spirito e brio, in cui ritrae i due Dumas o descrive la prima rappresentazione a Parigi dei Nos bons villageoies, pigliando di fronte i magni pontefici della critica parigina e rivelando i segreti moventi dei loro giudizi. Di queste sue pagine né anche l'eco probabilmente giunse a Parigi, e fosse giunta, quei bravi signori né anche se ne sarebbero dati per intesi; ma a noi giova particolarmente notarle, ché sono preziose per la conoscenza dell'uomo oltre che per quella del critico e dell'artista. Naturalmente l'incertezza e l'imprecisione delle idee generali si riflettono nei giudizi particolari, quantunque la fretta vi abbia la sua parte di colpa e nel complesso egli sappia cogliere acutamente e rilevare meriti e difetti, e di ciò possiam trovare una bella prova dove accusa la Marianna del suo amico Ferrari, alla quale è assai severo ma non quanto sarebbe potuto essere, di svolgere nella tela semplicissima soltanto "gli avvenimenti elementari e naturalmente dettati dal soggetto". Se così fosse, Marianna sarebbe un capolavoro. Che cosa voleva dunque dire?

      Nella stessa rivista è notevole il giudizio severissimo, e meglio sarebbe dire asprissimo, sulla Ristori, alla quale, scendendo a minuti particolari, rimprovera tra l'altro di accentuare un certo "ci"; io non posso dire per esperienza diretta se quell'appunto fosse giusto, ma la lettura della scena incriminata mi persuase che giustamente l'attrice doveva accentuare quel "ci", raccogliendo su esso il tono carezzevole della madre che vuol fare confessare alla figlia un affetto al quale essa dá il suo tenero consenso. Ma la Ristori probabilmente esagerava e lo squisito sentimento artistico del Boito, per il quale forse idee e sentimenti dovevano riuscire chiari allo spettatore dalla semplice parola, se ne sentiva offeso come da grave stonatura.

      In ogni modo, quali siano i difetti di esse, queste riviste non possono per nessun modo essere trascurate, perché, oltre a rivelarci, con le novelle, il Boito prosatore, interessante quanto e forse più del poeta, ci dicono quale serio studioso egli fosse, con quale preparazione, quali principii, quali intenti egli si accingesse alle sue grandi opere: chi non studia queste prose non potrà dire d'intendere appieno l'anima e la mente dell'uomo e dell'artista.

      =Gioachino Brognoligo=

       Indice

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      Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell'ordine davanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere.

      Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto intelligente; due forti gibbosità appaiono sulla sua fronte, un po' al disopra delle ciglia, là dove Gall mette la facoltà del calcolo; porta un collare di barba biondissima ed ha i mustacchi rasi com'è costume di molti americani. È tutto vestito di bianco e, benché sia notte e giuochi al lume della candela, porta un pince-nez affumicato e guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione. Al posto degli scacchi neri c'è un negro, un vero etiopico, dalle labbra rigonfie, senza un pelo di barba sul volto e lanuto il crine come una testa d'ariete; questi ha pronunziatissime le bosses dell'astuzia, della tenacità; non si scorgono i suoi occhi perché tien china la faccia sulla partita che sta giuocando coll'altro. Tanto sono oscuri i suoi panni che pare vestito a lutto. Quei due uomini di colore opposto, muti, immobili, che combattono col loro pensiero, il bianco con gli scacchi bianchi, il negro coi neri, sono strani e quasi solenni e quasi fatali. Per sapere chi sono bisogna saltare indietro sei ore e stare attenti ai discorsi che fanno alcuni forestieri nella sala di lettura del principale albergo d'uno fra i più conosciuti luoghi d'acque minerali in Isvizzera. L'ora è quella che i francesi chiamano entre chien-et-loup. I camerieri dell'albergo non avevano ancora accese le lampade; i mobili della sala e gli individui che conversavano, erano come sommersi nella penombra sempre più folta del crepuscolo; sul tavolo dei giornali bolliva un samovar su d'una gran fiamma di spirito di vino. Quella semi-oscurità facilitava il moto della conversazione; i volti non si vedevano, si udivano soltanto le voci che facevano questi discorsi:

      —Sulla lista degli arrivati ho letto quest'oggi il nome barbaro di un nativo di Morant-Bay.

      —Oh! un negro! chi potrà essere?

      —Io l'ho veduto, milady; pare Satanasso in persona.

      —Io l'ho preso per un ourang-outang.

      —Io l'ho creduto, quando m'è passato accanto, un assassino che si fosse annerita la faccia.

      —Ed io lo conosco, signori, e posso assicurarvi che quel negro è il miglior galantuomo di questa terra. Se la sua biografia non vi è nota, posso raccontarvela in poche parole. Quel negro nativo del Morant-Bay venne portato in Europa fanciullo ancora da uno speculatore, il quale, vedendo che la tratta degli schiavi in America era incomoda e non gli fruttava abbastanza, pensò di tentare una piccola tratta di grooms in Europa; imbarcò segretamente una trentina di piccoli negri, figliuoli dei suoi vecchi schiavi, e li vendé a Londra, a Parigi, a Madrid per duemila dollari l'uno. Il nostro negro è uno di questi trenta grooms. La fortuna volle ch'egli capitasse in mano d'un vecchio lord senza famiglia, il quale dopo averlo tenuto cinque anni dietro la sua carrozza, accortosi che il ragazzo era onesto ed intelligente, lo fece suo domestico, poi suo segretario, poi suo amico e, morendo, lo nominò erede di tutte le sue sostanze. Oggi questo negro (che alla morte del suo lord abbandonò l'Inghilterra e si recò in Isvizzera) è uno dei più ricchi possidenti del cantone di Ginevra, ha delle mirabili coltivazioni di tabacco e per un certo suo segreto nella concia della foglia, fabbrica i migliori zigari del paese; anzi guardate: questi vevay che fumiamo ora, vengono dai suoi magazzeni, li riconosco pel segno triangolare che v'è impresso verso la metà del loro cono. I ginevrini chiamano questo bravo negro Tom o l'Oncle Tom perché è caritatevole, magnanimo; i suoi contadini lo venerano, lo benedicono. Del resto egli vive solo, sfugge amici e conoscenti; gli rimane al Morant-Bay un unico fratello, nessun altro congiunto; è ancora giovine, ma una crudele