È uno splendore di ragazza, tutta vestita di bianco, ritta in mezzo ad un gruppo di altre signorine, ma di tutte più alta, più bella, più viva.
Sotto l'enorme cappellone di trine e di nastri rosa, le si avvolge confusamente la massa ondulata dei capelli neri, e luccicano gli occhi pure neri, nerissimi, di un nero lucente: di fuoco.
— Bella creatura!
Per l'onorevole Parvis la «bella creatura» ha anche il merito di non occuparsi di lui, ma di Teo, e Teo, riconoscente, appena balzato di carrozza, le fa festa intorno, poi subito segue il padrone, fiutando di qua e di là, fiutando lungo le scale, nella camera, intorno ai bauli, alle valigie, sotto il letto, come per una prima ricognizione ed una presa di possesso dei luoghi e delle cose.
Le camere sono al primo piano, le finestre sono aperte e dalla strada sale un brusìo di voci fresche ed allegre, e fra tutte, più fresca, più allegra, come una risata, la voce già nota del «piccolo caaro». Il Parvis vuol restare solo e Teo deve andarsene con Prospero. Ma quando il padrone ha finito la sua toletta, prima ancora che richiami Prospero, ecco Teo, — il quale ha già imparato la strada, — precipitarsi contro l'uscio ed entrare nella camera come una bomba: Prospero, lo segue, con la faccia soddisfatta.
— Teo ha già fatte amicizie!
— C'è qualche altro cane, all'Hôtel?
— No, no! Amicizia... con una bella signorina! E Prospero accarezza la bestiola, come approvando il suo buon gusto nella scelta.
Il Parvis non dubita neppure chi sia la bella signorina. Rivede la figura bianca, gli occhioni neri sotto il grande cappellone rosa, e di nuovo sente la melodia, l'incanto del doppio a, di quel caaro...
— Ha fatto amicizia, povero Teo!
Mentre Prospero continua ad accarezzare il fido amico, Gerardo si avvede che anche sul viso di limone del vecchio servitore, quella apparizione di donna giovane e fiorente ha gettato come un raggio di calore e di luce.
— Piccolo caaro!
III.
Gerardo Parvis era un polemista ed un oratore violento e, certe volte, persino aggressivo. Sul terreno, in quegli anni in cui i duelli erano ancora di moda, era stato un avversario pronto e assai temibile; tuttavia nel suo carattere c'era un fondo di timidezza che pure nelle lotte della tribuna parlamentare e nelle vicende rumorose della vita pubblica non era ancora riuscito a vincere interamente. Anzi, questa sua timidezza, non scemava punto, ma, al contrario, si faceva più viva, a grado a grado che aumentavano la sua fama e la popolarità del suo nome.
Al primo presentarsi in un teatro o in una sala o in qualunque altro luogo, in mezzo alla gente, egli rimaneva un istante confuso, impacciato da tutti gli sguardi curiosi che gli si fissavano addosso. Egli doveva sempre fare uno sforzo per vincersi, per mostrarsi sicuro e disinvolto; ma questo sforzo non sempre gli riusciva e allora il Parvis nascondeva la propria timidezza sotto una apparenza seria, quasi dura, pronunciando poche parole tronche e imperiose.
Quel primo giorno, in montagna, entrando per far colazione nella grande sala, lunga, bassa e così affollata e rumorosa della locanda, egli si sentì ancor più viva e più fastidiosa l'impressione di debolezza che lo turbava e lo impacciava.
Le due lunghe tavole erano piene. Non un posto vuoto. Subito al suo presentarsi, era cessato per un istante il cicalìo e il risonare delle posate e dei cristalli; tutti gli sguardi si erano alzati e fermati sopra l'onorevole Parvis.
«Per un ex-ministro era ancora giovane! E molto elegante!... Aveva un aspetto simpatico!... — Doveva avere del talento! — Certo, per arrivare, sia pure soltanto alle «Poste e Telegrafi», di talento ce ne vuole!
Lo fissavano con ostinata curiosità anche gli occhi neri, nerissimi, della bella signorina del grande cappellone tutto bianco e tutto rosa.
Gerardo, aveva veduta l'amica di Teo, prima di guardarla; anzi, più che averla vista, l'aveva sentita.
— Che combinazione! Era lì, proprio lì, dinanzi, in faccia al suo tavolino!
Per restar solo, per non conoscere nessuno, l'onorevole aveva ordinato per sè un tavolino a parte, e glielo avevano tenuto e preparato proprio in faccia all'amica di Teo!
Il primo cameriere, in atto di grande deferenza, aspettava i suoi ordini, porgendogli la lista del giorno.
Gerardo la guardò un momento.
— Devo ordinare, invece, per sua Eccellenza, una costoletta alla milanese con patate soufflées? Oppure un buon chateaubriand au beurre d'anchois?
— Come volete. Quello che c'è. Purchè si faccia presto!
— E vino, Eccellenza?
— Niente Eccellenza e niente vino! Soda e cognac.
Gerardo ha fra le mani la Tribuna, e mentre aspetta che gli portino la colazione comincia a scorrerla lanciando occhiate in giro, senza parere.
Varie di quelle facce non gli riuscivano del tutto nuove.
— Quanta fatica dovrò fare per impedire le conoscenze, i riconoscimenti e i complimenti!
Nella sala erano ricominciate le conversazioni e a mano a mano diventavano più animate e rumorose. Le pronunzie delle varie regioni spiccavano più nettamente fra quel brusìo festevole e cerimonioso. L'accento piemontese rispondeva al toscano, il napoletano e il siciliano al milanese, e la parlata veneta rumorosa alla romana aggraziata e melodica. Ma ben chiara, scolpita, fra quelle mille voci diverse e stonate, giungeva al suo orecchio la voce fresca di quella tal signorina — l'amica di Teo.
— Piccolo caaro!
Parlava benissimo; senza tradire nessun dialetto. Doveva essere dell'alta Italia... milanese no. L'avrebbe veduta qualche volta a Milano.
— Signorina? — Perchè signorina?... — Che cosa ne sapeva Prospero? — Poteva essere benissimo anche una signora.
Gerardo, colla scusa di voltare la pagina della Tribuna, lanciò un'altra occhiata.
— Signorina! È ancora signorina...: Pure, per essere una signorina, è molto disinvolta! Troppo disinvolta!
Seduta in mezzo a due giovanotti, che sembravano piuttosto due giovinetti, col viso sbarbato e smorto, rimpicciolito dall'abbondante e folta capigliatura, ella parlava molto, rideva molto, si moveva molto.
— Signorina, sì; ma già un po' civetta!
Ecco il cameriere col chateaubriand, l'onorevole ripone la Tribuna, e intanto guarda ancora il cappellone rosa e i due vicini.
Dalle giacche bigie, larghissime, spuntavano i colli impiccati negli alti solini rigidi.
— Che caricature... Con la marca autentica dell'imbecillità fatua e pretenziosa!
— Pure, bisogna essere così per piacere alle donne!
E al Parvis, sfugge un sospiro. È forse il rammarico di essere diverso!
— Com'è più viva e radiosa lei, di quei due lì,
Pareva un caldo fiore dell'Oriente, un sole di luce, in mezzo a due candele spente!
— Eh! Se io fossi ancora giovane! Mah!... Potrò diventare presidente del Consiglio, ma giovane non lo ritorno più, pur troppo!
E l'onorevole, per la prima volta, sospira alla bella gioventù sparita, sparita per sempre, senza che egli nemmeno se ne sia accorto!
All'Abetone,