— “Chiunque mi vuol bene, ha da smettere questi mali umori senza ragione: a mio parere, sono disonesti ed ingiusti, e per lo più palesano indole inchinevole alla tristizia. Tutti abbiamo diritto di essere giudicati a seconda delle opere: tu fa, Lelio mio, di avere sempre migliore l’animo della mente, e ti parrà la vita meno infelice che agli altri figliuoli di Adamo. Ora vieni, e impara la canzone di questo valoroso Romano. Come vuoi tu che l’uomo capace di concepire così dolci note, abbia dentro di sè un cuore malvagio?”
Vedi maniera di giudicare degli uomini!
La duchessa, recatasi in mano la carta della musica, e ordinato a Lelio male repugnante le sedesse a lato, incominciò a indicargli dove la voce avesse a posarsi, e come e dove scorrere distesa, o avvolgersi in gorgheggi melodiosi; insomma tutti gli accorgimenti del musico arguto. Ma Lelio badava assai più alle mani candidissime, che non alle note; più che alle mani, al volto angelico che si animava al canto; e rimasto estatico, non pure cessava dallo accompagnare la signora Isabella, ma egli era gran fatto se durava in lui l’alito vitale. Ed Isabella gli diceva: — “Ma seguita.” — Ed egli, traendo a fatica [pg!40] un filo di voce, continuava per tacere un momento dopo; ed Isabella di nuovo: — “A che ti stai?” — E così alternavano i rimproveri e il silenzio. Lelio poi, come lo persuadeva l’amoroso desio, accostava il suo al volto della duchessa; onde avveniva sovente che qualcheduno degli anelli della chioma nerissima di lei, agitati dal moto della testa, gli toccassero la guancia: allora vedevi trepidare il fanciullo per tutte le membra, corruscargli gli occhi di luce maravigliosa e di lacrime; le labbra aride crisparglisi; pareva gioia, ed era dolore. E poi la guancia (maraviglioso caso!) nel punto tocco dai capelli diventava ad un tratto vermiglia come se vi avessero applicato una piastra candente di metallo, e la voluttà che ne veniva al giovane paggio così lo agitava acre e convulsa, da non la potere sopportare; ma riavutosi alquanto, tornava alla prova, in quella guisa appunto che vediamo la farfalla condotta dallo istinto fatale ostinarsi ad aleggiare intorno alla fiaccola che la consuma. Così, nulla badando al tempo che fuggiva, dimorarono lungamente i nostri personaggi; finchè la duchessa, levando a caso gli occhi, vide starle davanti messere Troilo Orsino.
Troilo dalla pallida fronte. — I suoi occhi sotto le ciglia nere ed irsute sfolgoravano come quelli del milvio intenti alla preda. La destra teneva dentro la sopra-veste di velluto nero, con la sinistra sopra il fianco reggeva il cappello a larghe falde ornato di piume nere, immobile così, che lo avresti creduto [pg!41] inanimato. Isabella senza sospetto al mondo sostenne cotesto sguardo sinistro, e non lo badò; e con modi facili disse
— “Benvenuto, messere Troilo, prendete parte nelle mie contentezze: ecco che io ho scoperto in questo dabben giovane una nuova virtù; canta come un angiolo, ed io mi propongo coltivargliela, finchè arrivi alla eccellenza; onde tornato a casa, sua madre ne abbia gioia, ed egli sia la delizia delle gentildonne di Fermo.”
E Troilo:
— “Voi rinnoverete la ingiustizia di Amerigo Vespuccio, dacchè io prima assai di voi aveva scoperto che cotesto fanciullo col debito governo sarebbe riuscito, più che altro, musico maraviglioso.”
Sentì Lelio l’acerba e disonesta puntura, e divampò per la faccia; pur tacque.
— “Signora duchessa,” proseguiva Troilo “io ho da parlarvi di cose che non sono senza rilievo: piacciavi concedermi ascolto. — Paggio, prendete; riponete nella mia stanza, e avvertite di non comparirci davanti prima della chiamata.”
— “Salvo il vostro onore, messere Troilo, io m’intrattengo qui ai servigi della clarissima duchessa mia signora; epperò, ove a lei non piaccia diversamente, pregovi a tôrre in pace s’io di qui non mi rimuovo.”
Questa volta toccò a Troilo farsi rosso; e già muoveva le labbra a qualche acerba risposta, quando Isabella interpostasi prestamente così favellò: [pg!42]
— “Lelio, obbedite a messere Troilo.”
E Lelio, presa spada, guanti e cappello, inchinatosi prima in atto di ossequio, s’incamminava lentamente verso la porta.
— “Paggio!” gli gridò dietro l’Orsini, “fate di sostenere la mia spada con ambedue le mani; è pesa, e potrebbe cadervi.”
E Lelio, tratta di un lampo la spada dalla guaina, e la volgendo in velocissima ruota attorno alla sua persona, con voce baldanzosa, e senza interrompere il cammino, rispose:
— “State di buon animo, messere Troilo; chè il cuore e la lena mi bastano da sostenerla come conviene a gentiluomo contro a qualunque cavaliere onorato; — intendete, contro a qualunque cavaliere....”
E non fu sentito se aggiungesse altre parole, perchè già si era fatto lontano.
— “Ed ecco come,” parlò dispettoso Troilo chiudendo l’uscio della sala, “la tua biasimevole rilassatezza ti educa intorno una corona d’insolenti.”
— “Degli insolenti non mi era anco accorta, bensì di qualche ingrato, Troilo....”
E qui sedutosi accosto, cominciarono a favellare con parole sommesse, ma concitate; e dagli atti e dalle sembianze era dato argomentare come non piacevolezza, non benevolenza, o affetto altro più tenero, reggessero cotesto colloquio, sibbene rampogne, e rancori, e paure, avendo la Provvidenza nei suoi eterni [pg!43] consigli ordinato che l’uomo per delitti non abbia ad essere lieto giammai.
Ora io voglio che i miei lettori, e meglio le mie leggitrici, conoscano essere decorsi tre buoni anni dal giorno in cui costoro si giurarono eternità di un affetto, che non avrebbe mai dovuto avere incominciamento; e tre anni fanno molte eternità nelle cose di amore. — Eternità! vedete un po’ voi se sia concetto o parola che alla mente e alle labbra dell’uomo, e più a quelle della femmina, convengano! I contratti di amore principiano ordinariamente bilaterali, e spesso terminano unilaterali; il meglio sta, ma è raro, nello scioglierli a tempo fisso per consenso scambievole. I contratti di amore hanno di particolare anche questo, che mentre nelle permute, nelle compre, nelle locazioni, e simili, il contraente prima di obbligarsi vuole conoscere il fatto suo circa le stime, gl’inventarii, e gli accessorii, con diligenza consueta praticarsi da qualunque che non sia improvvido del tutto, qui poi stipula e si obbliga col capo nel sacco, riserbandosi a cose consumate di stimare e inventariare quanto abbisogna. E questo giorno tristissimo dello inventario per Isabella e per Troilo era arrivato e passato, e a questa ora chi sa quante volte lo avevano compilato. La verità della storia però ci consiglia a manifestare come la donna si fosse trovata in grande scapito, cosa che aveva contribuito assai ad alienare gli animi. Infatti, in lei era ardore di arti ingenue, e scienza, e vaghezza di scienza; ingegno pronto e felice, ed [pg!44] entusiasmo grandissimo; bontà d’indole somma; sensi disposti alla compassione; modi eletti, leggiadrie donnesche, e cortesie veramente regali. Rimane il sentimento di amore: e che in lei mancasse potenza di amare, io non vorrei dire perchè non sarebbe vero, ma ella stessa restava delusa scambiando lo impeto della immaginazione per una necessità invincibile del cuore; e siccome nulla conosciamo di più etereo della fantasia, nè che più presto svapori, così ella si sentiva sovente non pure maravigliata, ma atterrita di trovarsi fredda per cose o per uomini, verso le quali ed i quali l’era parso ardere poco anzi. Avventurosa lei, se la natura o l’arte avessero equilibrato meglio il suo cervello col suo cuore! Maestri gravi e solenni insegnamenti non l’erano mancati; ma se fra i precetti suasivi rigidezza, ed i precetti consiglieri di facilità, vediamo come più amabili preferire i secondi, tra rudimenti severi poi, e sciolti esempj, non è da domandarsi nemmeno se ottengano preferenza questi ultimi! E nella casa paterna la circondarono esempj pessimi; e poi, misera! punirono in lei, più di tutti innocente, colpe o conseguenze di colpe di cui avrebbero dovuto più giustamente portare le pene i fratelli. Infatti, le varie cronache che ho esaminate concordano in un giudizio medesimo, espresso così da una di quelle:« — E ciascuno diceva, che bisognava averci rimediato prima che il principe Francesco e gli altri suoi fratelli si servissero del mezzo suo per cavarsi le loro voglie con le altre gentildonne [pg!45] della città; menandola tutta notte fuori vestita da uomo, e pretendere poi ch’ella fosse una santa.»9 — Isabella