Il signor Boswell non apparteneva alla setta dei Fratelli, o vogliamo dire Quaccheri, ma assai le si accostava coi costumi e col vestire; abborriva la cipria; i capelli portava stretti dopo le spalle con un nastro di seta nero senz'altra acconciatura; la barba rasa diligentissimamente, chè gl'Inglesi non erano a quei giorni venuti a contesa di pelo con gli orsi; le vesti tutte (se togli i pannilini bianchi e le scarpe nere) di una stoffa eguale e colore di piombo; nella mano manca tra l'indice e il pollice portava una tabacchiera d'argento, alla quale imprimeva di tratto in tratto un moto ondulatorio, e qualche volta, nelle veementi commozioni, mercè un colpo dell'indice della destra, la faceva girare dentro la medesima morsa.
Ed ora appunto gli avea dato questo colpo solenne: nè a torto, imperciocchè adesso il cielo gli si spandesse sul capo immenso di azzurro sereno; e se l'occhio dell'uomo avesse potuto arrivare fino costà laggiù nel profondo del cielo, ci avrebbe contemplato Dio nelle magnificenze della sua gloria. Il sole, stupendo di calore e di luce, incedeva per lo emisfero come creatura che senta la solennità del messaggio di bandire alla terra la bontà infinita del suo Creatore. Le aure di aprile alitavano in faccia alla gente con la salute il profumo dell'arancio, dacchè a quei tempi Livorno non andasse gremito di case lunghe, intirizzite, fabbricate una sopra le spalle all'altra come frotta di perdigiorno su ritti in punta di piedi per vedere il cane barbone che porta in giro la scimmia a cavallo; bensì abbondasse di spazi grandi lavorati a giardino, fiorenti di ogni maniera di agrumi, ed appunto davanti la casa del console inglese se ne ammirasse uno vasto quanto leggiadro, attiguo al palazzo fabbricato dai signori Franceschi di origine côrsa.
— Bene, benissimo! — ripeteva il Boswell con accenti sempre più musicali; e il piede inconsapevole, davanti tanta armonia di cielo, batteva la misura chè la melodia di un bel giorno d'Italia gli s'insinuava nel sangue — bene! gli dei ritornano, e naturalmente con essi l'Olimpo, ch'è casa loro.
Intanto un uomo, il quale già quattro volte e sei lo aveva richiesto, pregato e supplicato a tirarsi da parte tanto ch'ei potesse passare, accorgendosi che con le buone non ne sarebbe venuto a capo, lo spinse oltre soavemente e passò. Ho detto soavemente, bene intesi però che questo ed altri avverbii cotali non vestono natura assoluta, bensì relativa: tanto vero questo, che la spinta, soave, quanto all'uomo che la dette, non parve tale al signor Giacomo che la sofferse, essendo andato di schianto a battere con la spalla nella colonna sinistra del portico; ond'è che, richiamato così ex abrupto al senso delle faccende della vita, non senza un po' di collera egli prese ad esclamare:
— Galantuomo! il maestro della buona creanza vi ha proprio rubato il salario.
— Oh! è lei? In verità, vestito così da signore, io non l'avea mica riconosciuto.
— Bene; ma, o io o un altro, dovete convenire che a fare le cose con un po' più di garbo non ci si scapita nulla. Orsù passate...
— Eh! no, signore.
— Come no? Poc'anzi mi avete dato uno spintone da rompermi il capo contro le pietre per passare, ed ora mi state piantato là come un palo.
— Oh! che ci è da stupire? Io non ho più bisogno di passare adesso... Cercava per lo appunto di lei.
— Me?
— Proprio lei. Si ricorda vostra signoria dei ragionamenti che tenemmo ieri sera circa alla buona mano?
— Sì, mi pare; qualche cosa fu detto.
— E come! Su le prime lei non mi voleva dare niente...
— Avanti.
— E poi me la dette, ma era buio: ella si mise la mano in tasca e non ci badò, ed io nè meno. Tornato a casa consegnai la moneta a Caterina; e non ci era da sbagliare, in tasca mia cotesta moneta ci si trovava figliuola unica di madre vedova, e poi di oro non ci sono mai usate; Caterina guardò la moneta e me negli occhi; dopo disse: «E te l'ha data proprio lui?» Oh, chi me la deve aver data gua'? disse io. — Allora Caterina da capo: «Dunque dev'essere sbaglio.» Malanaggio! dissi io; se non isbagliava, stasera si rimediava al companatico. Venire ieri notte a riportarle la moneta non mi pareva che c'incastrasse, perchè a casa tornai tardi, chè prima mi toccò asciugare e governare il cavallo; stamani subito che ho potuto, vengo a fare il debito mio.
E stesa la mano porgeva la sterlina al Boswell, il quale, dondolando la scatola via via, diceva:
— Bene, bene. — Ad un tratto domandò: — Di che paese siete?
— Di Livorno.
— Proprio?
— Eh! di sicuro e battezzato in duomo.
— E ce ne hanno di molti vetturini come voi a Livorno?
— Lo credo, e devo crederlo; quali e quanti non so; perchè io bado al fatto mio e tiro lungo.
— Bene, come vi chiamate?
— Mi chiamo Giovanni.
— Non fu sbaglio, caro Giovanni: vi prego anzi a pigliare anche quest'altra, e la porterete da parte mia alla signora Caterina vostra consorte, che saluterete da parte mia e le direte che la spenda... la spenda come le farà piacere; chè so che non bisogna de' miei consigli.
— Ma che? le pare? rispose Giovanni respingendo con la manca la mano del Boswell, e con la destra sporgendo sempre la ghinea. Ma che? le pare? di questa sola ce ne sarebbe di avanzo.
— Non ricusate, Giovanni, la provvidenza che Dio vi manda; non vogliate peccare di superbia.
— Eh! giusto; io sono troppo povero, mio signore, per concedermi il lusso dei peccati mortali.
— Dunque obbedite; prendete e andate per le vostre faccende.
— Obbedirò, e Dio gliene renda merito un'altra volta. Oh! la è pure la bella cosa essere ricco: ed io, veda, mi ci sono messo a desiderarlo più di una volta, perchè mi è parso che a far bene ai poveri si ha da provare un gusto matto; e ora che mi è capitata questa fortuna, il gusto me lo vo' cavare ancor io; una delle monete che vostra signoria mi ha dato, vo' mandarla al Paoli.
— Com'entra qui il generale Paoli? come conoscete voi il generale Paoli? in qual modo è egli povero il signor generale Paoli?
— Io lo conosco, e lo posso conoscere come gli altri, perchè la buona reputazione entra gratis nelle orecchie di noi altri poveri come in quelle dei ricchi. Lo credo povero, perchè, il Paoli e la Corsica facendo una cosa sola, so che la Corsica è poverina e poi, ne vada la testa, non vuole patire prepotenze dalla Francia, la quale non si vergogna di mettersi a repentaglio con lei, chè sarebbe come se un pescecane invitasse a' morsi un ghiozzo del molo. E ci entra il Paoli, e ci entro io, perchè ad amare la libertà non si paga nulla, ed io amo con tutto il cuore la libertà e il Paoli, e benedetta la sua faccia che la difende!
— Oh! — proruppe il Boswell cacciandosi a precipizio la scatola dentro la tasca della sottoveste; poi, con ambedue le mani libere, presa la mano del vetturino e stringendogliela e scotendogliela fino a slogargli la clavicola del braccio, ripeteva: — Benissimo, bene... bene! Giovanni, io da questo non vi dissuado davvero, perchè quello che voi avrete speso in benefizio della libertà del genere umano, Dio misericordioso, oltre il merito nell'altro mondo riservato alle anime sante, ve lo