Eppure quella, nella quale era cresciuta, non bastava a rivelarlo. Ma vi è un profumo spirituale, cui è impossibile ingannarsi: vi è una sovranità che attira gli omaggi anche senza alcuna decorazione d'impero; vi sono nella folla i candidati alla gloria e che non vi arriveranno, le guide che non saranno mai condottieri, uomini di arte, di scienza e di politica, ai quali la vita ritarda o la morte tronca il cammino prima che la loro opera medesima sia incominciata. Qualche cosa spesso li avverte di questo inintelligibile destino, che strappa il fiore per non avere il frutto: quindi nel loro occhio o nella loro voce ci sembra di sentire talvolta come un'ombra, qualche sibilo passa nella loro ironia simile ad un grido di angoscia repressa, mentre il loro pensiero s'infiamma improvvisamente nell'orgoglio della propria grandezza segreta. Ma più spesso non lo sanno: attendono nella calma della forza, col sorriso sulle labbra, guardando tutti gli inetti, ai quali soprastaranno domani; e allora l'incanto della loro conversazione si fa più potente, come l'amore nel gaudio delle prime aspettazioni, e la loro mano si tradisce ingenuamente nel gesto del comando.
Che importano veramente la gloria e l'impero? L'elezione non è che un riconoscimento; adagio o all'improvviso la folla scopre il dominatore; difficilmente essa s'inganna, ma bene s'ingannano coloro che immaginano nella folla quell'unico. Come le onde sul mare, le teste si levano sulla moltitudine agitata a guardare lungi le curve sinuose delle sue correnti; il fiotto solo non la fronte è la misura della loro altezza, poi la notte le copre, e di loro non resta che un'ombra nella memoria.
Adesso egli è morto soffocato, schiacciato, frantumato fra l'urto di due treni lanciati ad una corsa vertiginosa, poco lungi da Roma, davanti a Castel Giubileo; è morto improvvisamente sotto una valanga di ferro, dentro un fracasso di tuono, fra le grida, il fumo, l'orrore, la morte di una folla sorpresa nell'incanto della notte lunare, colla memoria ancora piena di un'altra tragedia regale.
Umberto I, il re assassinato a Monza da un anarca fra una festa di popolo, era entrato il giorno prima nel Pantheon come un vincitore benedetto dal clero di Roma; il popolo d'Italia aveva riempito l'antica città più solennemente pensosa, e ne ripartiva a tutte le ore, e nel viaggio forse ogni pensiero si faceva più grande dinanzi alla tragica maestà dell'agro muto su tante memorie. Come, perchè l'immensa catastrofe?
Non lo sanno: le massime colpe al solito non hanno che vittime, la morte diventa la loro assoluzione.
Un amico mi ha mostrato con un gesto tremolo la perizia scritta dai medici su quello che era stato il corpo di lui, ma anche i miei occhi hanno tremato, non ho potuto leggerla; egli non era nemmeno più un cadavere, perchè il cadavere è ancora l'uomo, la sua forma, la sua immagine muta ma eloquente nell'ultima fisonomia del suo spirito.
Lo hanno riconosciuto, non visto. Egli non seppe forse di morire: era dentro gli ultimi vagoni, sui quali l'enorme macchina nera, sbuffante, sibilante nello spasimo del terrore urtò: l'irresistibile impeto la sollevò sulle quattro ruote, che li strinsero come le branchie di un mostro, mentre le strida dei morenti guizzavano e si spegnevano come dentro un rombo di tremoto, e il mostro ferito, rovesciato anch'esso, ansava sinistramente immobile, col ventre rigato di fuoco sulla vivente ruina.
No, egli non seppe di morire; ho bisogno di crederlo per lui, per la sua anima di padre.
È morto, e basta: il dolore resta a noi.
E adesso a chi parlo?
Questo libro era finito, egli ne aspettava la pubblicazione perchè ne conosceva già molte pagine: invece debbo riaprirlo per scrivere sulla prima il suo nome come sopra una tomba.
Altri morti vi stavano già, amico mio, tristamente vissuti; il sepolcro troppo pieno non è abbastanza bello per diventare l'asilo della tua memoria. Chi ti ricorderà fra la gente, che non potè riconoscerti? A chi scoprire il segreto morto con te? Il mondo non concede la gloria che alle opere, e pur fra queste la distribuzione del dono ripete nella propria ingiustizia tutte le altre; ma a coloro che erano e non poterono apparire, al soldato morto prima della battaglia non toccano corone. Perchè dire che sei morto sulla soglia del parlamento, che in te era forse un ingegno di ministro, poderoso e tranquillo, largo ed agile, se io stesso non lo dissi prima, quando interrogavo il tuo pensiero sui più difficili problemi della nostra storia politica pel libro, che scrissi poi e sul quale adesso vorrei incidere il tuo nome? Ma il libro è anch'esso quasi ignoto: che aspetti, la verità deve essere paziente.
Noi siamo effimeri. Quando la nostra ombra si allunga dinanzi a noi nel tramonto, l'anima si rivolge ostinatamente al passato già tutto pieno di un'altra, forse più triste di quella che ci attende; e tu non vi sei più, sei morto, amico mio, scomparso per me, per tutti, per sempre. Io venivo spesso a te così lungi dalla mia vita solitaria; eri il fratello della mia anima, colui che sapeva ascoltare anche quello che la parola non può dire. Adesso sei solo. I tuoi figli si ricorderanno sempre di te, ma sono troppo giovani per imparare anche nel futuro chi fosse il padre sparito così: ti ameranno e si consoleranno, perchè ogni piaga si chiude sulla fresca corteccia dei germogli, che saranno fiori domani.
Nessuna cicatrice invece si rimargina da lungo tempo nella mia vecchia anima; non avevo che te; io pensavo dentro al tuo senno, e sentivo la sicurezza del tuo cuore quando il mio tremava nello smarrimento del deserto.
Ieri il tuo Aldo mi scriveva: «Credete voi, maestro, che potremo rivederlo al di là?». Non lo so, fanciullo; coloro che pensano non sanno nulla, il cuore solo ha le certezze sublimi, la fede delle cose sperate. Se la morte non è un inizio, che cosa cominciò dunque in noi veramente? Bisogna credere: ogni dolore è un richiamo, e la morte un appello supremo.
Altrove! ecco la nostra ultima parola. Tuo padre è morto, ma credi, e la fede lo farà rivivere dentro di te; credi al disopra della tua ragione, contro di essa: credi al di là del pensiero che non può sapere, dietro il cuore che indovina.
Dante scrisse anche per te nel Paradiso:
Fede è sustanzia di cose sperate
ed argomento delle non parventi.
Alfredo Oriani.
PROLOGO
Signora,
Casolavalsenio, 23 ottobre 1900.
Chiunque voi siate, straniera per sangue e per lingua, lontana al di là dell'Alpi e del mare, o vicina in qualche città o campagna d'Italia, non vi ho mai veduta e non vi vedrò. Non so nemmeno se siate bella, ma io non lo sono più da quando le rughe si ammassarono sulla mia fronte, e i capelli ne caddero lentamente come le foglie in autunno, quando l'aria si raffredda e le notti allungano la tenebra triste.
Perchè dunque vi scrivo?
Anche questa è una contraddizione del nostro spirito, che nei troppo lunghi soliloqui finisce col rivolgersi ad un fantasma pel bisogno supremo di non essere solo, e di sentirsi almeno dinanzi il silenzio di qualcuno, che ascoltando gli rattenga il pensiero nei limiti della parola. Solamente coloro che sono soli, possono comprendere la necessità di parlare e di scrivere ad un fantasma senza nemmeno fingersi il suo aspetto.
Siete voi bionda o siete bruna? Nei vostri occhi la luce ride come sull'azzurro dei laghi o lampeggia come dalle tenebre di una notte? La vostra bellezza si manifesta col ritmo delle forme o erompe come un comando da qualche loro dissonanza? Il vostro pensiero è di quelli, nei quali si entra a riposare come in uno ospizio, o somiglia al muro alto e inviolabile dell'ultimo confine, che arresta finalmente i pellegrini?
Nessuna immagine femminile mi risorge adesso nella memoria delle sue più oscure lontananze, quando le carezze al bambino sono come l'ombra e la rugiada che salvano i fiori troppo teneri: tutte le altre donne, che conobbi più tardi, passarono invece senza avermi conosciuto per non tornare mai più. Comunque ad altri apparissero belle, i miei occhi sentirono allora così vivamente i difetti della loro bellezza che oggi ancora per quelli soltanto potrei riconoscerle, mentre la mia anima ha dimenticato per sempre i loro amori indarno caldi del raggio o frizzanti dell'aroma primaverile. Che cosa avrei potuto chiedere loro, che non chiedevano nulla credendo di concedere tutto in una breve