Ragionava così ma sempre agitato; bastò una prima giornata di lavoro lungo, noioso e non riuscito per fargli perdere la calma. Gli era stato spiegato il modo col quale doveva trarre le registrazioni dal giornale e portarle nel maestro, un lavoro di copiatura lungo ma facile. Ogni sera però egli doveva fare la somma delle cifre registrate in quel giorno e doveva pareggiarsi il complesso dell’avere col complesso del dare. Subito il primo giorno la prova non riuscì e tanto Miceni quanto Marlucci, dopo di averlo aiutato per qualche tempo a cercare gli errori, avevano rinunziato a trovare, come essi dicevano, il pareggio, e se ne erano andati. Miceni prima di uscire, dolente di aver perduto tanto tempo, aveva esclamato:
— Chissà quale specie d’errori sei riuscito ad inventare quest’oggi.
Ancora per qualche tempo egli continuò a confrontare le partite, ma non scoperse un solo degli errori che dovevano esservi e s’avvide che quel lavoro lo aveva esausto e che non gli riusciva di metterci tanta attenzione quanta era necessaria per confrontare due cifre. Allora si rammentò che aveva detto a Cellani di voler andare da Maller a lagnarsi dell’ingiustizia che gli era stata fatta. Non aveva rinunziato a quello sfogo e si disse che non era andato subito dal principale per non disturbarlo nelle ore di lavoro, ma che non aveva mai pensato di subire senza protestare l’ingiustizia che gli era stata fatta. Le noie ineffabili di quella giornata gli erano state procurate da quella. Anziché portarsi a casa l’inquietudine per il lavoro non definito, preferiva pigliarsi un’agitazione di altra specie. Gli faceva salire il sangue alla testa l’idea che a quell’ora Maller tranquillamente si compiaceva del suo operato e entrò nella sua stanza senza altro scopo che di far sentire la sua ira. Quando vi si trovò ebbe una paura: Maller alle sue lagnanze poteva rispondere chiaramente esponendo i motivi del suo odio! Vinse la propria agitazione. Ciò non poteva accadere e se fosse avvenuto egli avrebbe avuto anche meno riguardi di Maller. Avrebbe parlato di Annetta come se Maller non ne fosse stato il padre e poi dopo avere anche lui offeso, dopo di essersi vendicato, sarebbe uscito dalla banca a testa alta. Una soddisfazione simile non era pagata troppo cara con la vita; la perdita dell’impiego e di un impiego simile non era nulla in confronto.
Semisdraiato su un’ottomana, Maller leggeva un giornale che gli copriva mezza figura. Sollevò la testa per parlare con Alfonso e durante il colloquio più volte la lasciò ricadere dietro al giornale per stanchezza o per celare l’espressione del suo volto. Ad onta dell’avviso che Alfonso ne aveva dato a Cellani, Maller non doveva essersi preparato a quel colloquio. Si comportò indeciso, dapprima serio e freddo da superiore il quale crede che rispondendo faccia una grazia, poi inquieto e indeciso.
— Il signor Cellani mi avvisò che per ordine suo venivo trasferito dalla corrispondenza alla contabilità, — incominciò Alfonso balbettando, — vorrei pregarla di dirmi se questa è una punizione per qualche mio trascorso.
— No! — rispose Maller, — si aveva bisogno di un impiegato alla contabilità e si poteva farne a meno di uno in corrispondenza.
Ecco tutto! Per la prima volta piegò la testa dietro al giornale, ma certo perché credeva che il colloquio fosse terminato.
La freddezza di Maller calmò Alfonso. Lo trovava ben lungi dal passare a quel tono di franchezza che aveva temuto. La questione rimaneva rappresentata come se fosse stata puramente d’ufficio, e a mente fredda comprese che gli conveniva di contenersi in modo da non costringere Maller a licenziarlo; almeno se ciò era possibile dicendo tutto quello che aveva sul cuore. Si trovava in piena battaglia, e così immediatamente, conscio di esservi e tanto risoluto di battersi, non si era mai trovato.
Disse che aveva lavorato molto alla corrispondenza e che gli dispiaceva di perdere senza colpa il posto conquistato con tante fatiche. In corrispondenza sapeva di poter essere utile alla banca e di poter quindi sperare in un rapido avanzamento mentre in contabilità ridiveniva un praticante qualunque.
— Per il momento però — disse Maller che lo aveva guardato sorpreso di trovarlo tanto ardito, e con una certa curiosità, non comprendendo dove Alfonso volesse arrivare.
— Per sempre! — confermò Alfonso.
La frase risoluta gli diede la calma che l’occhiata di Maller per poco non gli aveva tolta; la sua voce non era più incerta. Disse ch’egli non era uomo che potesse vivere in mezzo a sole cifre; il suo cervello aveva bisogno di costruire frasi, periodi, perché era stato guastato da studî di cui il signor Maller pur doveva sapere qualche cosa. Tentò di sorridere perché quest’ultima osservazione doveva essere scherzosa.
Il volto di Maller aveva il colore della sua pelle punteggiata in rosso; quella doveva essere la sua pallidezza e il sorriso si agghiacciò sulle labbra ad Alfonso perché su quel volto non v’era alcuna traccia di buon umore. Comprese che ad allarmare Maller era bastata quell’allusione agli studî di cui il suo principale non avrebbe potuto sapere nulla se non fossero stati fatti insieme ad Annetta.
— Insomma ella vuole?
Maller s’era tranquillato all’aspetto spaventato di Alfonso e non appena tranquillo s’era affrettato ad aggredire.
La domanda irritò Alfonso; era forse già un rifiuto?
— Io non voglio, — disse con stizza. — Io desidero, io prego di venir rimandato alla corrispondenza. Ho bisogno di poter avanzare, — e candidamente parlò della sua difficile situazione finanziaria.
— Insomma anche alla contabilità si può avanzare, — dichiarò Maller. Appariva molto impaziente.
Nel suo forte proposito di difendersi con energia dando ad ogni botta una pronta risposta, Alfonso si trovava in una grande agitazione prodotta da quel suo sforzo di pensare intensamente per trovarsi sempre preparato. Così era più che mai in balìa della prima impressione. Di solito, quando gli toccava qualche cosa d’inaspettato rimaneva esitante, taceva, abbandonando anche i piani fatti precedentemente, ciò che di spesso finiva col pentimento di non essere stato più risoluto. Questa volta il pentimento doveva essere di tutt’altra natura. Maller fu brusco e volle esserlo anche lui.
Ripeté che il trasferimento alla contabilità doveva venir considerato quale una punizione; gli impiegati chiamavano la contabilità la Siberia della banca.
— Non capisco perché mi venga fatto questo torto!
Se Maller perdendo la pazienza gli dava con franchezza lo schiarimento chiesto, allora la lotta era perduta, altrimenti e precisamente per questa via era vinta.
Seccamente Maller osservò che non usava derogare dalle misure prese, e che se Alfonso si contentava egli ne sarebbe stato lieto, altrimenti... e completò la frase con un gesto che chiaramente significava che anche se Alfonso avesse abbandonato la banca egli se ne sarebbe consolato.
— Ebbene! — gridò Alfonso — io lascerò l’impiego! — E si sentì forte al rammentarsi che il peggio che gli potesse accadere era di rimanere senza impiego. Continuò più calmo, ma col desiderio di colpire e di offendere: — Naturalmente non posso rimanere in un impiego ove mi si perseguita senza cagione... almeno che appaia.
Quest’ultima aggiunta gli diede sollievo; s’era sfogato. Rimase ancora per un istante indeciso non volendo abbandonare quel luogo prima di essere certo d’aver detto tutto, poi s’inchinò e s’avviò verso l’uscio.
Maller all’ultima aggiunta aveva fatto un lieve movimento che ad Alfonso non era sfuggito. Poi sollevò la testa fuori del giornale:
—