Un giorno il postiere Marco gli portò due lettere. Una, a quanto disse Marco che nelle sue lunghe gite nei dintorni si divertiva a fare degli studî sui caratteri degl’indirizzi, doveva essere di donna. Ricevendole Alfonso ebbe un sentimento spiacevole. Non a tutti dunque sembrava che il tempo passato fosse tanto da far dimenticare avvenimenti e persone!
L’altra era di uomo, la caratteristica calligrafia di Sanneo, ma firmata da Cellani. Veramente una lettera della banca Maller e C. e anche quanto a contenuto. Con la forma fredda e misurata che la banca usava per fare ai suoi clienti delle comunicazioni d’affari, gli veniva annunciato che dal telegramma a lui indirizzato, firmato “Mascotti”, la direzione aveva saputo della gravità della malattia di sua madre e che perciò, spontaneamente, portava il permesso accordatogli da quindici giorni a un mese. La forma burocratica dello scritto, firmato da Cellani con quel segno ch’egli usava per gli avvisi alla contabilità, non sorprese Alfonso. Fu grato per il mese di permesso e immediatamente lesse la lettera alla signora Carolina, la quale trovandosi in un istante di disperazione mormorò foscamente:
— Un mese basterà!
L’altra lettera era di Francesca.
“Quello che io prevedeva è già accaduto o sta per accadere. Non so veramente con precisione a quale punto sieno giunte le trattative tra padre e figlia, ma queste trattative si fanno, giornalmente, e che siano già abbastanza avanzate ho la prova nel fatto che Annetta a me nulla ne dice. Suppongo che nel suo interno sia già d’accordo col padre, ma siccome fino a pochi giorni fa ella era ancora sinceramente vostra, può essere che si vergogni di avervi dimenticato del tutto.
“Subito dopo la vostra partenza, ella parlò a lungo col signor Maller il quale, a quanto me ne disse Santo che origliò, gridò molto, tanto che Annetta pianse, per la prima volta, credo, in sua vita. Poi, vedendo che con me ella non apriva bocca, io la guardai con aria di rimprovero che mi costò grande fatica come mi costa grande fatica tutto quanto faccio in vostro vantaggio. Annetta mi disse ch’ella vi amava sempre, ma che avrebbe avuto molto da lottare con suo padre per ridurlo ad accondiscendere alla vostra unione. Mi pregò perciò di scrivervi pregandovi di trovare un pretesto qualunque per rimanere più a lungo nel vostro villaggio.
“Badate, Alfonso, ch’è un brutto indizio che non volle scrivervi direttamente. Accettai l’incarico e non vi scrissi nulla sperando di vedervi capitare inaspettato oggi ch’è trascorso il vostro permesso; io lo so bene perché contai i giorni. Non giungeste invece! Al primo vostro errore andate aggiungendo degli altri fino a ruinarvi. Vi scrivo per mandarvi un ultimo ammonimento. Forse partendo immediatamente arrivereste ancora in tempo, perché nulla ancora è perduto. Annetta esita, combattuta dal desiderio di compiacere al padre che adesso piange e scongiura, e dall’amore per voi, perché vi ha amato. Non garantisco di nulla ora, e al vostro arrivo potreste ricevere la comunicazione ch’ella è fidanzata a Macario. Non so se questa mia raggiungerà lo scopo per cui fu scritta. Feci con voi più del mio dovere. Se ad onta di questo avvertimento esitaste a partire, sarebbe del tutto inutile che rispondiate o che scriviate ad Annetta. Da voi non attendo parole, scuse inutili. Non vi servirebbero a nulla. Soltanto la vostra presenza qui può salvarvi, salvarci.”
Questo ch’ella diceva essere un ammonimento somigliava molto a una domanda di aiuto, ed egli ne fu scosso. Naturalmente non poteva neppur pensare a lasciare il villaggio e abbandonare la madre moribonda, così che egli veniva salvato da ogni dubbio, e per quanto Francesca ammonisse e gridasse egli non poteva darle ascolto. Ma era ben triste che con un atto, che a lui era sembrato naturale e necessario ma che ad ogni altro uomo sarebbe parso irragionevole, egli si fosse posto sulla via che Francesca con tanta energia perseguiva. Le aveva lui impedito il cammino mentre ella aveva sperato di trovare in lui un alleato nella sua lotta alla quale anche in nome dell’onestà e della giustizia si doveva augurare la vittoria. Maller l’aveva sedotta ed era troppo giusto che la sposasse. Era l’unico rimorso che avesse Alfonso. Più che Annetta egli si rimproverava di aver tradito Francesca.
Stette per un’ora circa accanto al letto della madre assorto nei suoi pensieri.
— Quella lettera ti dà molto pensiero? — chiese la signora Carolina che da lungo tempo lo osservava.
Ella parlava poco perché le dava fatica e le poche parole che diceva erano qualche volta pronunciate molto tempo dopo pensate. Forse ella era stata ad osservare il suo volto dal momento in cui egli s’era abbandonato alle sue riflessioni.
Egli trasalì.
— No! — rispose, — è un amico che mi chiacchiera su cose che non mi fanno ridere.
Ella non chiese altro. Le costava un grande sforzo rivolgere la sua attenzione alle cose di fuori ed era facile ingannarla.
La lettera di Francesca gli portava del resto una buona notizia. Proprio come essa lo aveva preveduto, la sua partenza dalla città era equivaluta a una rinunzia ad Annetta. Ora ne era sicuro, sarebbe stato lui l’abbandonato e la parte gli piaceva molto più che quella di traditore. Intuiva che invece Annetta non avrebbe sopportato di essere l’abbandonata e che era ad ogni modo più soddisfatta di essere dessa la prima a lasciarlo. Così da quella parte non aveva rimorsi.
Mettendosi a scrivere la risposta che doveva dare a Francesca per quanto ella non l’avesse chiesta, comprese che la difficoltà principale, per renderla efficace, per non attirarsi anche l’odio di Francesca, era di persuaderla della gravità della malattia della madre. Sembrava che alle due donne non fosse stata fatta alcuna comunicazione in questo riguardo dalla direzione della banca. Finì col trovare la nota giusta. Evitò ogni artifizio e fu breve come persona che espone dei fatti veri non curandosi di addurre prove della propria veracità. Disse che sua madre era in pericolo di vita e ch’egli per il momento non aveva testa per altro. Chiuse con una frase che gli parve ed era realmente una trovata. Finse di non credere che la sua presenza in città fosse tanto necessaria come lo asseriva Francesca.
“Annetta, come me lo conferma nella sua lettera, mi ama. Perché avrebbe da abbandonarmi? Se resto qui non faccio che il mio dovere.”
Dopo spedita la lettera si sentì sollevato. Era un sollievo, e se anche in minore grado, simile a quello provato alla partenza dalla città. Ritornava al villaggio dopo di essere stato ripiombato in quegl’intrighi, e non giungeva a rubargli interamente la gioia di esserne salvo la vista della faccia cadaverica della madre.
Alla sera, in un istante di pace dopo una giornata di terribili sofferenze, ella gli chiese:
— Hai scritto alla tua amorosa? Non negarlo, perché sarebbe male che così non fosse.
Ma negli occhi semispenti le passò un lampo di gelosia.
Egli non negò. Conoscendosi uomo dai rimpianti amari e dai rimorsi, s’era dato cura in tutti quei giorni di portarsi in modo da non avere a rimproverarsi né una parola né un cenno brusco verso la moribonda. Bisognava dunque dimostrarsi confidente, toglierla alla curiosità e non dirle bugie perché sarebbe potuto dolergli anche di quelle. Non le disse l’intera verità per riguardo al segreto altrui o almeno così si scusò con se stesso. Le raccontò che amava una fanciulla, ma che l’aveva scoperta tanto civetta e leggera che voleva togliersela dal cuore, ciò che gli doveva riuscire facilmente del resto.
— È la signorina Lanucci? — chiese la signora Carolina con un sorriso forzato.
— No! — rispose serio come in confessionale, — è una ragazza ricca che tu non conosci.
— Molto ricca?
— Così così! più ricca di me ad ogni modo!
Egli non voleva confessare che, abbandonando colei che aveva dichiarato civetta, respingeva da sé una grande fortuna, perché, sapendolo, la madre gli avrebbe dato torto.
Per quella sera ella non ne parlò più, ma a quelle parole doveva aver riflettuto lungamente:
— Si capisce che tu