“Va bene. Ma non vuoi nemmeno dirmi come mai ti sei trasferita qui, se non è troppo indiscreto chiedertelo da parte mia?”, azzardai ancora a chiederle.
“E’ perché purtroppo la mia mamma da qualche giorno è venuta a mancare.”
“Oh, mi dispiace davvero”, le dissi.
“Prima vivevo con lei, e lei si occupava di me. Dicevano che non potevo stare da sola, che avevo bisogno di un aiuto continuo. Adesso qui sto a due passi da mia sorella; ma lei dice che comunque dovrei e potrei essere più autonoma. Perché, non so se te ne sei accorto … ma adesso basta, non avevo detto che te ne avrei parlato domani?”
“Va bene, hai ragione”, le risposi.
Per me non era un problema. Continuavo a contemplare il suo volto sereno, che forse adesso lo era un po’ meno di prima – ma sempre bellissimo, con quei due occhi che sembravano gioielli purissimi. La sua bellezza, la sua sola presenza mi saziavano, mi riempivano l’anima, e non pensavo più a niente.
“E allora di che parliamo?”, mi chiese lei con naturalezza.
“Non so. Per me anche di niente, se vuoi. O di me, se preferisci. O … di quello che ti pare. Giardinaggio, cani, altre passioni … Io sto benissimo qui con te, e in questo momento non ho proprio niente altro da dover fare, o nessuno che mi aspetti.”
“E va bene. Allora parlami un po’ di te. Chissà quante ne hai passate nella tua vita, e quante cose hai da raccontarmi.”
Io cominciai ad aprirle il mio cuore, i miei ricordi, a spalancare di fronte a lei la mia vita ed il mio passato, con la massima sincerità. Nulla di notevole, vi posso assicurare: lo dico per voi lettori, che magari vi starete chiedendo che razza di vita emozionante ed avventurosa possa aver mai vissuto un maresciallo dell’aviazione che trascorre la maggior parte del suo tempo in un ufficio. No, davvero niente di speciale, se non che diventava speciale nel momento in cui lo raccontavo a Chiara, e proprio perché cominciavo a condividerla con lei.
A un tratto, così per caso, mi cadde l’occhio sull’orologio.
“Oh, ma che stupido”, dissi. “Non mi ero accorto che è ora di cena. Tu avrai fame e vorrai mangiare, suppongo.”
“Ah, se è per questo io ho già mangiato. Prima che arrivassi tu. Sì, lo so: un po’ presto, come le galline. Ho mangiato quello che mi ha preparato mia sorella, che è molto brava a cucinare. Me lo ha portato nel pomeriggio, e non sono riuscita ad aspettare. Era tutto buonissimo, tranne le patate coi broccoli, perché a me i broccoli non piacciono. Forse se l’era dimenticato. Ma sicuramente sono buonissimi anche loro. Io non li ho toccati: vuoi mangiarli tu, senza che ti debba mettere a preparare la cena? Sarei contento se li mangiassi, così lei non ci rimarrebbe male che li ho avanzati.”
“Volentieri”, le dissi. In realtà mi ero molto pentito di aver rischiato di provocare la fine della mia visita; e avrei accettato di buon grado qualunque pretesto fosse servito a prolungare la mia permanenza insieme a lei.
Mi portò la sua cena avanzata e un po’ di frutta, e rimase lì a tenermi compagnia, guardandomi ed ogni tanto parlandomi della sua mamma, o della sorella o di qualcun altro che conosceva.
Alla fine della cena persino Ketty abbandonò il suo angolino per venirmi ad annusare con una certa curiosità.
“Grazie”, le dissi dopo aver finito di mangiare. Istintivamente le presi la mano, in segno di gratitudine non tanto per la cena, quanto per essere venuta a stare vicino a me, per essere entrata nella mia vita. Lei accettò la mia mano, e mi strinse anche l’altra. “Sono io che devo ringraziare te”. Adesso mi fissava sempre con dolcezza, ma stavolta mi pareva che anche i suoi occhi fossero attratti dai miei quanto i miei dai suoi. Ci fissavamo negli occhi, attratti da una forza meravigliosa ed invincibile, e poco alla volta ci avvicinammo sempre più l’uno all’altra, fino quasi a sfiorarci. Provavo il desiderio irresistibile ma del tutto naturale di baciarla, e forse anche lei provava lo stesso; e tuttavia non potei evitare di rovinare quella splendida atmosfera, domandandole:
“Ti posso baciare?”
“Naturalmente! Anzi, mi devi baciare. Cos’altro vorresti fare a questo punto, bel giovanotto?”
“Grazie per il giovanotto. Ma … non credi che forse stiamo andando un po’ troppo in fretta? Ci siamo appena conosciuti”, proseguii io nella mia testarda stupidità.
“Ma no! E’ tutta la vita che ti stavo aspettando. E adesso piantala di parlare”. E mi chiuse la bocca con la sua.
Fu un bacio lungo e bellissimo, caldo e appassionato, a cui ne seguirono, come diceva un poeta latino, altri mille ed altri cento altrettanto belli. Ricordo solo, oltre ai guaiti di Ketty in sottofondo, di averle detto, in un breve momento di pausa:
“Sai, in realtà anch’io era da una vita che stavo aspettando te.”
Le prime luci del giorno ci sorpresero abbracciati nel suo letto. Quella notte tra di noi non ci furono solo baci, coccole e carezze, ma anche tante parole affettuose.
“Stavo pensando che i tuoi occhi ed il tuo sorriso sono talmente belli”, le dissi tra l’altro, “che è un vero peccato che in questo momento li possa vedere solo io. Certo mi sento un privilegiato, ma mi pare un crimine contro l’umanità tenere la tua bellezza nascosta, segregata in una casa.”
“Se pensi di essere il primo a farmi un complimento del genere, ti sbagli”, fu la sua risposta soddisfatta.
“La cosa non mi stupisce affatto”, le risposi.
“Quando ero ragazza, uno che lavorava nel teatro mi disse che avevo un volto interessante, e che secondo lui avrei dovuto fare cinema o televisione. Anche se i miei familiari erano convinti che il suo principale e unico obiettivo fosse quello di portarmi a letto.”
“Insomma, il suo era un parere interessato”, le obiettai. “Ma quello che ti sto dando io no, è un parere del tutto disinteressato, perché a letto con me ci sei già stata.”
Lei sorrise con me a questa battuta. Ma in effetti era stranamente vero. Ci eravamo conosciuti da poche ore, e già eravamo andati a letto insieme. Se me lo avessero detto il giorno prima, non ci avrei creduto: perché non era davvero una cosa da me, non ero il tipo che avrebbe potuto mai comportarsi in questo modo, le dissi.
“Anch’io non ti avrei pensato così farfallone e poco serio. Ma come vedi è successo, e quindi vuol dire che farfallone lo sei”, disse ridendo scherzosamente. “Ma se ti può consolare, sappi che tu per me sei stato il primo uomo della mia vita, in assoluto - almeno in quel senso, intendo.”
“Davvero? Beh, in qualche modo lo avevo sospettato, ma non ho voluto dirtelo per paura che ti offendessi. E comunque è stato bellissimo. Eri così spontanea e naturale, anche nel tuo essere un po’ impacciata. Mi è sembrato che fossimo due ragazzini.”
“Non c’è niente di cui mi possa offendere o mi debba vergognare”, obiettò Chiara. “E’ semplicemente la verità. Certe cose vanno fatte solo con l’uomo giusto, mi diceva la mia mamma, ed io ho sentito che quello giusto eri tu.”
“E da cosa lo hai capito? Non è che lo hai fatto solo perché adesso non c’è più la tua mamma a controllarti?
“Ma no, dai! Povera mamma. E’ che … Ma non avevamo detto che te ne parlavo domani?”
“Sì, mia cara. Ma adesso è domani, se non te ne fossi accorta. Non vedi che il sole è già sorto?”
Lei fece una pausa, mostrandomi uno dei suoi dolcissimi sorrisi.
“Hai ragione. Vedi, il fatto è che - non so se te ne sei accorto - io non sto bene di salute. E’ da tanti anni che ho questa malattia … “
“Non mi starai dicendo che hai l’ AIDS, spero?”
“Ma no, dai, figurati.