Emma la trovava fredda e autoritaria, ma molto professionale. Sapeva che, invece, per la sua migliore amica era una grande ispirazione: Candice Rose si era affermata magistralmente.
“Perché non ha preso lo stesso aereo che abbiamo preso noi?” chiese Emma incuriosita.
“Perché dovrebbe abbassarsi al nostro livello?” ironizzò Charlotte, gettando una manciata di sabbia sui piedi della sua amica.
“Candice aveva un appuntamento importante stamattina. Ha preso un altro volo”, replicò Alice.
Charlotte le fece una boccaccia.
“La mia risposta era molto più divertente, lagna.”
Alice tirò fuori la lingua per restituirle il gesto. A quel punto Emma diede le spalle all’oceano per guardare Charlotte.
“Ho fame. Troviamo un bel ristorantino…”
Non ebbe il tempo di finire la frase che sentì un dolore alla schiena e fece alcuni passi forzati verso la sua amica, cercando allo stesso tempo di mantenere l’equilibrio e non cadere. Qualcosa l’aveva appena colpita alla nuca. Charlotte soffocò le risate che le salivano in gola. Si alzò, afferrò il pallone bianco da pallavolo che aveva colpito Emma e guardò un giovane, quasi troppo bello per essere reale, avvicinarsi al loro gruppetto. Indossava solo dei pantaloncini da spiaggia color crema. Il torso nudo era muscoloso e abbronzato.
“Mi dispiace tanto! Chiedo scusa, davvero!” disse in inglese.
Emma si voltò, ancora strofinandosi la nuca, visibilmente arrabbiata. Quando vide l’aggressore che le aveva parlato sorrise stupidamente. Osservò un attimo il suo viso, che trovava particolarmente simmetrico e molto attraente. Le ricordava vagamente un attore di una serie adolescenziale di moda. I suoi grandi occhi verdi, espressivi, persino seducenti, sotto due folte sopracciglia, la turbavano. I capelli castano scuro, disordinati, arrivavano alla base del collo e aveva una leggera barba di due o tre giorni che circondava il bianco sorriso, quasi perfetto.
“Va… va tutto bene…” farfugliò Emma, che sentì le guance diventarle rosse come il giorno in cui la sua gonna si era sollevata passando sopra una griglia d’aerazione in una strada affollata di New York.
Il giovane si avvicinò a Emma finché non fu a pochi centimetri di distanza. Le porse la mano.
“Ian Mark”, disse.
“Emma Tyler”, rispose lei stringendola.
Non riuscì a togliere la mano, notando che lui la teneva più a lungo del normale. Le rivolse un gran sorriso.
“Non stavo mirando alla sua testa, sa”, disse, afferrando la palla che Charlotte gli aveva lanciato.
“Immagino di no…”
“Salve Ian, io sono Charlotte Riopel, e lei è Alice Chayer.”
Ian sorrise alle due giovani donne prima di stringere loro la mano, una alla volta, ma si affrettò a riportare l’attenzione su Emma, che continuava a fissarlo. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Ian parlò di nuovo con lei, ignorando le altre due.
“Stasera, il mio amico Ryan suona all’Ocean Bar. È a pochi minuti a piedi da qui. Può venire? Vorrei offrirle da bere e scusarmi per averla colpita col pallone. Naturalmente siete tutte invitate”, aggiunse.
“Non so cosa faremo questa sera, ma può essere che verremo”, rispose lei, smettendo di strofinarsi la nuca.
Ian sorrise e diede un’ultima occhiata a Emma. Le fece l’occhiolino e lei arrossì di nuovo.
“Sarei più che onorato di incontrarla, signorina Emma Tyler.”
Poi si voltò verso i suoi amici, che sembravano aspettare lui e il pallone con impazienza. Emma lo seguì con gli occhi. Il cuore le batteva forte. Quell’uomo le piaceva. Sentiva che era reciproco. Un colpo di fulmine? Non sapeva se sarebbe stato possibile, ma era consapevole di volerlo rivedere. Era attraente, certo, ma c’era dell’altro. Era stata sedotta dalle vibrazioni che emanava. Sotto il suo sguardo si sentiva viva. Non le succedeva da mesi.
“Hai visto che Apollo? Con me se la passerebbe bene di sicuro! Che corpo che ha… Dio!” esclamò Charlotte, dando una gomitata a Emma nelle costole.
“Ok, non dire altro. Per te gli uomini sono come dei pezzi di carne.”
“Lì sta il piacere, amica mia!”
Emma guardò il proprio riflesso nello specchio del minuscolo bagno. Dopo lunghi minuti di esitazione aveva optato per un delizioso prendisole bianco con grandi motivi floreali rosa. La sua pelle era leggermente arrossata, non avendo messo la crema solare durante il pranzo sulla terrazza del ristorante dell’hotel. Il trucco era morbido e discreto. Una sottile linea di matita nera sottolineava i suoi occhi verde intenso. I suoi occhi erano l’unico tratto fisico che aveva ereditato da sua madre e di cui andava fiera. Aveva disegnato una linea leggermente più larga al di sopra per evidenziarne il contorno, che trovava troppo piccolo. Aveva anche applicato un po’ di mascara sulle sue lunghe ciglia. Poi aveva scelto un balsamo rosa pallido e lucido per le labbra perché le ricordava il colore preferito di sua nonna. Lasciò i capelli castani sciolti.
“Vieni? gridò Charlotte, che l’aspettava dall’altra parte della porta chiusa.
“Sono pronta!” rispose Emma, aggiustandosi il vestito un’ultima volta.
Aprì la porta e si mostrò alla sua migliore amica, che indossava un paio di legging neri sotto una casacca rosso brillante molto ampia. Anche Charlotte aveva scelto un trucco discreto. Aveva però dato ai suoi occhi nocciola uno stile smokey e misterioso applicando un ombretto nero. I suoi capelli castani erano sciolti. Emma l’aveva sempre considerata una donna fatale. Invidiava la sicurezza che dimostrava quando si avvicinava al sesso opposto. Attirava gli uomini come gli altri collezionano francobolli. Erano pazzi per lei e quando entrava in qualche posto era su di lei che gli occhi si posavano immediatamente. In alcune donne suscitava ammirazione, altre la temevano. Aveva un magnetismo incredibile e doveva ammettere che la ammirava per questo. Anche se Emma era molto carina, le mancava la disinvoltura della sua migliore amica. A differenza di Charlotte, non aveva il piacere di scegliere l’uomo con cui andare a casa alla fine della serata.
Per questo aveva trovato strano che Ian le prestasse così tanta attenzione. Era persino convinta che fosse stato il suo senso di colpa per averle fatto male col pallone a spingerlo a invitarla.
“Wow! Sei semplicemente uno schianto!” esclamò Charlotte, facendo girare la sua amica con la mano.
“Non quanto te!”
Charlotte le fece l’occhiolino e iniziò a girare su se stessa a sua volta. Faceva quella mossa fin dall’infanzia. Sua zia, da cui andava dopo la scuola fino al ritorno dei genitori, le permetteva di giocare nel suo guardaroba per ‘fare le sfilate di moda’. Si divertiva sempre a girare su se stessa per imitare le modelle sulla passerella.
“Elvie e Alice non vengono. Avevo pensato di lasciare un biglietto a Candice alla reception per invitarla, ma non riesco a immaginarla in un bar sulla spiaggia con il suo immancabile completo di alta moda.”
Emma le lanciò un’occhiata assassina.
“No. Proprio no. Sembra così altezzosa e austera. Mi spaventa”, confessò Emma.
“Mi sono già chiesta se conosca la definizione del verbo divertirsi. Sono anche convinta che suo figlio debba prendere un appuntamento per vederla.”
“Che triste!”
Emma sospirò e si mise sul letto. Iniziò a giocherellare febbrilmente con il fondo del vestito. Quel tic l’aveva ereditato da suo padre, che giocava sempre con la punta della camicia. Era un uomo nervoso di natura e lei sapeva di ripetere il suo gesto quando si trovava in un momento di estrema tensione. Era comunque felice di assomigliare a lui piuttosto che a sua madre, che li aveva vigliaccamente abbandonati, suo fratello, sua sorella e lei, molto tempo prima.
Aveva