La Signora Kelly avrebbe dovuto essere con sua figlia. Avrebbe dovuto chiamarla. Chiuse gli occhi e sospirò. Era tardi, e tutti già dormivano alla villa. Sarebbero venuti qui in mattinata, e sarebbe stato abbastanza presto per rendersi conto che Lana si sarebbe svegliata. Non avrebbero dovuto decidere questa cosa nel bel mezzo della dannata notte. Se non avesse corrisposto all’ospedale un’importante somma di denaro per il privilegio di andare e tornare come gli faceva comodo, anche lui non sarebbe stato lì.
“Il dottore non voleva aggiungere ulteriore ansia” spiegò l’infermiera. “Il suo cuore ha subito molto stress. La ferita era piccola, ma se non l’avessero curata in tempo sarebbe morta. Il Dottor West vuole fare le cose in modo cauto”.
Perché l’infermiera doveva ripetere che Lana sarebbe potuta morire? L’eventualità lo fissava negli occhi ogni volta in cui la guardava giacere nel letto d’ospedale. Tristemente, la realtà continuava a colpirlo al volto. Ogni giorno ne riceveva una dose che gli faceva rimpiangere le molteplici decisioni che aveva preso durante il proprio cammino.
“Il dottore sarà qui quando si sveglierà?”
L’infermiera si mordicchiò il labbro. Era meglio che Preston fosse stato qui quando Lana avrebbe aperto gli occhi. Era stata una sua idea, ed era il suo dottore. A Sullivan non piaceva il modo in cui l’infermiera era rimasta in silenzio. Voleva scuoterla come se avesse aiutato a farla rispondere, ma evitò di farlo—a fatica.
“Il fatto è che è difficile stabilire quando riuscirà ad allontanare le sostanze dal proprio corpo. La dobbiamo tenere d’occhio e chiamare immediatamente il dottore quando si sveglierà. Sarà qui il prima possibile quando la paziente avrà ripreso conoscenza”.
A Sullivan non piaceva questa situazione; ciononostante aveva stranamente senso. Lo staff medico all’Envill East era il migliore. Doveva fidarsi di loro e del modo in cui svolgevano il proprio lavoro. Non poteva fare niente per aiutare Lana oltre che restare al suo fianco e pregare che riuscisse a farcela. Lo uccideva vederla restare inerte.
“Dovrei restare?” voleva, ed allo stesso tempo era terrorizzato dal farlo. “Il dottore lo sta facendo per un motivo. Se resterò le farà male vedermi?” Avrebbe preferito strapparsi il cuore piuttosto che ferirla.
“Va bene se resta”. L’infermiera gli sorrise. “Come ho detto quando sono arrivata, è bene che almeno una persona sia qui quando si sveglierà. Una folla di persone potrebbe essere troppo, e durante le ore diurne di visita ha più ospiti”.
Lana aveva molte persone che l’amavano. Si meritavano di essere nella sua vita molto più di lui. Qualcuno migliore di lui sarebbe dovuto essere lì per lei, ma poiché lui era tutto ciò che lei aveva al momento, avrebbe fatto ciò che poteva.
“Si può svegliare in ogni momento?” domandò.
“Mi aspetto che lo faccia presto” rispose l’infermiera. “La lascio solo con lei. Prema il pulsante di chiamata se si sveglierà, arriverò subito”.
Annuì ed avvicinò una sedia al letto. Non l’avrebbe lasciata sola anche se una parte di lui voleva correre il più lontano possibile. Non voleva evitarla, solo le sensazioni che lei invocava dentro in lui. A volte le vecchie abitudini erano difficili da perdere. Per anni avevano avuto questo rapporto canzonatorio che rasentava la derisione. Non capiva come mai Lana sembrasse odiarlo, ma le concedeva alcune malignità perché a volte si sentiva di meritarsele. Inoltre non credeva che lei lo trovasse veramente così antipatico. Per la maggior parte del tempo si trattava di un gioco a cui non riuscivano a smettere di giocare. Sullivan la rispettava molto più di quanto rispettasse ogni donna al di fuori della propria famiglia. Avrebbe provato ad essere un uomo migliore per lei. Non era completamente certo che ne fosse in grado…
Provò un forte dolore alla testa, ed il suo respiro. Oh Dio… chi l’aveva colpita con così tanta forza al petto posandovi poi un peso importante sopra? Che cos’era quel bip? Dove diavolo si trovava? Mosse la mano e palpò di fianco a sé, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Un materiale morbido riempì il palmo della sua mano quando lo strinse. Il suo respiro si fece ancora più irregolare, ed il bip si fece più acuto, infiltrandosi con fare insistente nelle sue orecchie. Lo stridere del metallo e dei vetri infranti si unì al bip, generando un caos di suoni. Facevano eco attorno a lei, riportandola al momento in cui la sua auto era stata colpita, facendola sbandare ed arenandosi a lato della strada. Un forte dolore la pervase paralizzandola. Il panico la fece andare in crisi mentre cercò di riottenere il controllo di sé stessa e ciò che la circondava.
“Sshh”, disse un uomo.
La calmò in un modo che non riusciva a spiegare. Non si era resa conto che stava urlando fino a quando la sua stessa voce raggiunse le sue orecchie. Chi c’era con lei? Aprì lentamente gli occhi e non trovò altro che un’immagine sfocata. Sbatté le palpebre diverse volte fino a quando riuscì a mettere a fuoco. Il bellissimo diavolo che non sembrava allontanarsi dai suoi pensieri nonostante tutte le volte in cui lei cercasse di esorcizzarlo, ed ora la fissava con preoccupazione. Non poteva essere un buon segno. “Sully?” La sua gola era secca, rendendo la sua voce roca.
I suoi capelli scuri e gli occhi verde smeraldo erano solamente una parte della sua maschile bellezza. Era il pacchetto completo—una bocca peccaminosa, zigomi marcati, ed un bel corpo definito. Peccato che fosse un irraggiungibile abile sciupafemmine. Avrebbe forse prevalso su Lucifero in persona in quanto al più bell’angelo caduto di sempre. Era la personificazione dell’iniquità, Sullivan Brady.
“Non parlare”, le disse. “Chiamo l’infermiera”.
Estese il braccio afferrandolo per il polso per fermarlo. Normalmente non sarebbe stato la sua prima scelta in fatto di compagnia, ma era terrorizzata, e lui era l’unico viso famigliare nelle immediate vicinanze. “Non andartene”.
“Non me ne vado” la rassicurò. “Premo solo il pulsante di chiamata”.
Aveva parlato di un’infermiera. Si trovava in ospedale? Doveva essere così; altrimenti nulla di tutto ciò avrebbe avuto senso. Che motivo avrebbe avuto Sullivan di essere lì? Dov’era sua madre? Lana si prese il tempo di guardarsi attorno. Riconobbe la stanza, o meglio, una delle stanze dell’ospedale. Si era già trovata lì lavorando come infermiera. Nella struttura erano disponibili solamente poche stanze per la terapia intensiva. Doveva essere ferita gravemente per trovarsi in una di esse. Il bip proveniva dai monitor attorno a lei. Misuravano il suo battito cardiaco, il livello d’ossigeno e la pressione sanguigna. Li guardò, valutando le cifre su di essi. Non sembrava andare male…
“La bella addormentata si è svegliata” disse un altro maschio. Alzò lo sguardo incrociando quello di Preston West. “Come ti senti?”
Si leccò le labbra. Erano un po’ secche e screpolate. La sua bocca era riarsa e la sua lingua le pareva di cotone. “Potrei avere dell’acqua?”
“Fra un momento” disse il Dottor West. “Devo esaminarti, poi l’infermiera ti porterà del ghiaccio”.
Annuì. “Dov’è andato Sullivan?” Aveva detto che non l’avrebbe abbandonata. Ma perché era rimasto? Loro non erano niente. Una volta sperava di essere qualcosa di più per lui. Una sciocca fantasia adolescenziale che morì altrettanto velocemente di quanto nacque.
“Sono qui” disse. Si voltò verso la direzione della voce. Era appoggiato alla finestra. Nel suo sguardo era presente un’intensità che le faceva venire i brividi lungo la schiena. La fissava come se non l’avesse mai vista prima. Doveva essere solo la sua impressione. Sullivan Brady aveva cose migliori da fare che prendersi cura di lei in ospedale. Avrebbe dovuto chiedere chi l’aveva costretto a sedersi accanto a lei. Sua madre avrà avuto bisogno di una pausa, e lui stava facendo una cosa onorevole.
“Non devi restare”, disse. “Sto bene adesso”.
“Non vado da nessuna parte, Lisanna” disse con decisione.
Era