"Cosa?" chiese stupito.
"Avere un appuntamento. Con me".
Reid sbatté le palpebre, ammutolito dallo stupore. “Ehm io..."
"Ci pensi". La ragazza sorrise di nuovo e se ne andò.
Rimase lì per un momento, cercando di elaborare ciò che era appena accaduto. Eventuali ricordi di torture o siti neri che avrebbero potuto tornare alla memoria erano stati respinti dall'inaspettata richiesta. Conosceva la studentessa; l'aveva ricevuta nel suo ufficio varie volte per rivedere i compiti. Si chiamava Karen; aveva ventitré anni ed era una delle più brillanti della sua classe. Si era presa un paio di anni di pausa dopo il liceo prima di iniziare il college e aveva viaggiato molto, principalmente in Europa.
Realizzò in quel momento di sapere più di quanto avrebbe dovuto sulla giovane donna. Quelle visite in ufficio non erano state per chiedere aiuto sui compiti; aveva una cotta per il professore. Ed era innegabilmente bella, se Reid si fosse permesso anche solo per un momento di pensare a una cosa simile - cosa che di solito non faceva, essendo ormai da tempo abile nel sorvolare sugli attributi fisici e mentali dei suoi studenti e a concentrarsi sull'istruzione.
Ma quella ragazza, Karen, era molto attraente, con i capelli biondi e gli occhi verdi, snella ma atletica, e...
"Oh," disse ad alta voce nella classe vuota.
Gli ricordava Maria.
Erano passate quattro settimane da quando Reid e le sue ragazze erano tornate dall'Europa dell'Est. Due giorni dopo Maria era stata inviata in un'altra missione e, nonostante avesse provato a contattarla più volte con messaggi e chiamate, da allora non aveva più avuto sue notizie. Si chiese dove fosse, se stesse bene... e se provasse ancora qualcosa per lui. La loro relazione era diventata così complessa che era impossibile inquadrarla in modo chiaro. Un'amicizia con un risvolto romantico era stata temporaneamente compromessa dalla sfiducia e, infine, da alleati alienati dalla parte sbagliata con una copertura del governo.
Ma ora non era il momento di soffermarsi su ciò che Maria provasse per lui. Aveva promesso di tornare alla cospirazione, di provare a scoprire di più di ciò che sapeva allora, ma con il ritorno all'insegnamento, la sua nuova posizione nell'agenzia e le sue ragazze di cui occuparsi non aveva quasi il tempo di pensarci.
Reid sospirò e controllò di nuovo l'orologio. Di recente aveva fatto una pazzia e acquistato uno smart watch collegato al suo telefono cellulare tramite Bluetooth. Anche se il suo telefono era nella sua scrivania o in un'altra stanza, gli venivano in ogni caso notificate chiamate e messaggi di testo. E guardarlo spesso era diventato istintivo come battere le palpebre. Compulsivo come grattarsi un punto pruriginoso.
Aveva inviato a Maya un messaggio proprio prima dell'inizio della lezione. Di solito i suoi testi erano domande apparentemente innocue, del tipo "Cosa vuoi per cena?" o "Serve che io prenda qualcosa tornando a casa?" Ma Maya non era stupida; sapeva che stava controllando che stessero bene, inutile che provasse a mascherarlo. Soprattutto dal momento che tendeva a inviare un messaggio o effettuare una chiamata ogni ora o giù di lì.
Era abbastanza intelligente da riconoscere cosa fosse. La nevrosi sulla sicurezza delle sue ragazze, la sua ossessione per il controllo e la conseguente ansia in attesa di una risposta; anche la forza e l'impatto dei flashback che aveva vissuto. Che fosse disposto ad ammetterlo o meno, tutti i segni indicavano un certo grado di disturbo post-traumatico per lo stress che aveva vissuto.
Tuttavia, la sua difficoltà nel superare il trauma, il suo tentativo di tornare a una vita che somigliasse alla normalità, lasciandosi alle spalle l'angoscia e la costernazione di ciò che era accaduto non era nulla in confronto a ciò che le sue due figlie adolescenti stavano attraversando.
CAPITOLO TRE
Reid aprì la porta della loro casa nella periferia di Alexandria, in Virginia, tenendo una scatola di pizza sul palmo della mano, e inserì il codice di sicurezza a sei cifre nel pannello vicino alla porta principale. Aveva aggiornato il sistema solo poche settimane prima. Il nuovo programma avrebbe inviato un avviso di emergenza sia al 911 che alla CIA se il codice non fosse stato inserito correttamente entro trenta secondi dall'apertura di qualsiasi porta di ingresso.
Era una delle numerose precauzioni che Reid aveva preso dopo l'incidente. Adesso c'erano telecamere, tre in tutto; una installata sul garage e puntata verso il vialetto e la porta d'ingresso, un'altra nascosta nella lampada sopra la porta sul retro, e una terza fuori dalla porta della camera di sicurezza nel seminterrato, tutte programmate per registrare 24 ore su 24. Aveva cambiato anche ogni singola serratura della casa; il loro ex vicino, il defunto Thompson, aveva una copia delle chiavi che aprivano la porta anteriore e quella posteriore, che gli furono sottratte quando Rais rubò il suo camion.
Infine c'era il dispositivo di localizzazione impiantato in ciascuna delle sue figlie. Nessuna delle due ne era a conoscenza, ma entrambe avevano ricevuto un'iniezione, mascherata da vaccino influenzale, che aveva posto sotto la loro pelle un localizzatore GPS sottocutaneo, piccolo come un grano di riso, proprio nell'avambraccio. Non importa dove si trovassero nel mondo, un satellite le avrebbe trovate. Era stata un'idea dell'agente Strickland e Reid si era trovato subito d'accordo. La cosa più bizzarra fu che, nonostante equipaggiare due civili con la tecnologia della CIA comportasse un costo molto alto, il vicedirettore Cartwright aveva firmato la delibera senza pensarci due volte.
Reid uscì dalla cucina e trovò Maya sdraiata in sala, a guardare un film in TV. Era coricata da un lato sul divano, ancora in pigiama, con entrambe le gambe a penzoloni dal bracciolo.
"Ehi". Reid posò la scatola della pizza sul bancone e si tolse la giacca di tweed con una scrollata di spalle. “Ti ho mandato un messaggio. Non hai risposto".
"Il telefono è in carica al piano di sopra", rispose Maya in tono pigro.
"Non potevi metterlo in carica qui?" chiese lui.
Lei si limitò a scrollare le spalle per tutta risposta.
"Dov'è tua sorella?"
"Di sopra," sbadigliò. "Credo".
Reid sospirò. "Maya..."
“È di sopra, papà. Che palle".
Per quanto volesse rimproverarla per l'atteggiamento petulante degli ultimi tempi, Reid non disse una parola. Non sapeva ancora fino in fondo tutto ciò che avevano dovuto affrontare durante l'incidente. Era così che lo chiamava, "l'incidente". Lo psicologo di Sara gli aveva suggerito di dargli un nome, un modo per fare riferimento all'evento in una conversazione, anche se non l'aveva mai detto ad alta voce.
La verità era che ne parlavano a malapena.
Sapeva dai rapporti dell'ospedale, sia in Polonia che da una valutazione successiva negli Stati Uniti, che sebbene entrambe le sue figlie avessero riportato lievi ferite, nessuna delle due era stata violentata. Eppure aveva visto in prima persona ciò che era accaduto ad alcune delle altre vittime del traffico di esseri umani. Non era sicuro di essere pronto a conoscere i dettagli della terribile esperienza che avevano vissuto a causa sua.
Reid salì le scale e si fermò per un momento fuori dalla camera da letto di Sara. La porta era socchiusa di qualche centimetro; sbirciò dentro e la vide distesa sopra le coperte, a fissare il muro. Il suo braccio destro era appoggiato sulla coscia, ancora avvolto nel gesso beige dal gomito in giù. L'indomani avrebbe avuto un appuntamento con il dottore per vedere se fosse possibile rimuovere l'ingessatura.
Reid aprì delicatamente la porta, ma questa scricchiolò ugualmente. Sara, tuttavia, non si mosse.
“Stai dormendo?” chiese piano.
"No", mormorò.
"Io, ehm... Ho portato a casa una pizza".
"Non ho fame", disse lei in tono piatto.
Non mangiava molto dall'incidente; infatti, Reid le doveva costantemente ricordare di bere acqua, o non avrebbe ingerito quasi nulla. Capiva le difficoltà di sopravvivere al