Visto che si era messa a correre, seppur a passo lento, immaginò che i quattro minuti sarebbero diventati tre. Con un senso crescente di anticipazione nel cuore, si alzò in piedi e la seguì. Quando la donna fu completamente fuori dalla vista, ormai sul marciapiede e diretta in fondo all'isolato, anche lui accelerò. Riprese un ritmo regolare una volta salito anche lui sul marciapiede. Guardò in entrambe le direzioni e vide solo tre persone, oltre alla cameriera. Due camminavano mano nella mano nell'altra direzione. Il terzo era un uomo dall'aspetto rozzo, probabilmente un senzatetto, a giudicare dal suo abbigliamento, che guardava la cameriera con grande interesse mentre attraversava la strada verso il parcheggio.
Superò il senzatetto, assicurandosi di mantenersi ad una certa distanza dalla cameriera. Quando lei entrò nel parcheggio – non attraverso l’ingresso per i veicoli, bensì dalla porta laterale che conduceva all'ascensore – accelerò, attraversando di corsa la strada. La pioggia lo colpiva in viso e sembrava spronarlo ad andare avanti.
Scelse di usare l'ingresso principale. Nel gabbiotto non c’era nessuno, ma sapeva che chi entrava con l'auto doveva ritirare un biglietto dalla macchinetta automatica vicino al cancello. Si infilò tra il divisorio giallo e il muro, intrufolandosi nel parcheggio. L’edificio aveva solo due piani, quindi sapeva che la ragazza era salita al secondo piano. Si precipitò verso le scale, con le scarpe bagnate che producevano suoni stridenti sul cemento.
Quando raggiunse la cima delle scale, il cuore gli martellava in petto. Aprì silenziosamente la porta della tromba delle scale, appena in tempo per vederla. Era circa a metà del corridoio posteriore, e si stava avvicinando all'auto mentre frugava con una mano nella borsetta. Quando lui iniziò ad accorciare la distanza tra loro, aveva tirato fuori le chiavi.
E si era anche accorta di lui. Lo guardò solo per un momento, per poi rivolgere la sua attenzione alla portiera. Era un'auto vecchia, quindi doveva sbloccarla manualmente con la chiave, non con l'apertura centralizzata. Quando inserì la chiave, lui iniziò a correre di nuovo.
Uccidila dopo il lavoro. Non permetterle di arrivare a casa.
Ma era la prima volta per lui. Non era sicuro di poterlo fare. Forse, se il suo viso non gli fosse stato così familiare, se non avesse fantasticato così tanto su di lei al college...
Il comando era più forte nella sua testa, ora. Era quasi come se qualcuno lo stesse seguendo, urlandoglielo nell'orecchio.
Lei lo vide correrle incontro. Cominciò a muoversi più velocemente e, nel farlo, le caddero le chiavi. Lui le sentì tintinnare sul pavimento e seppe di averla in pugno.
Mentre si avvicinava alla macchina, lei abbandonò gli sforzi per sfuggirgli. Adesso che era ormai vicino, notò un lampo di riconoscimento nei suoi occhi. Fu quasi contento quando pensò che forse si ricordava di averlo visto due sere prima.
“Cosa...?”
Ma fu l'unica cosa che riuscì a dire.
A quanto pareva, poteva farcela.
Anzi, fu più che felice di farlo.
Tirò fuori il martello dalla tasca interna dell'impermeabile, come un pistolero del Vecchio West che estrae l'arma. Prima che la bocca di lei iniziasse a formare la seconda parola, il martello si schiantò contro le sue labbra.
Per un attimo, il suono del martello che la colpiva ripetutamente quasi sovrastò il fragore della pioggia che cadeva sempre più forte, riecheggiando nel parcheggio.
CAPITOLO UNO
Mackenzie guardò il numero sulla bilancia digitale e provò un senso di trionfo di cui quasi si vergognò. La cifra diceva che era finalmente tornata al peso che aveva prima della gravidanza. Anzi, aveva due chili in meno. Non era mai stata una donna ossessionata dal peso, ma quel numero le dimostrava che riprendere un certo senso di normalità era possibile. Certo, si era abituata ad essere una madre e aveva accettato il fatto che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Ma, per qualche ragione, aveva faticato a perdere i chili presi in gravidanza. Gli ultimi cinque erano stati parecchio ostinati e ci era voluto molto più tempo di quanto lei o il suo medico si aspettassero. E ora, finalmente, se n'era liberata. Ci erano voluti quasi otto mesi e anche un caso pericoloso che l'aveva vista scalare il versante di una montagna, ma finalmente era tornata al suo peso ideale. E, per di più, non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentita così in forma.
Scese dalla bilancia e cercò di dire a se stessa che non c'era nulla di male a crogiolarsi in quelle piccole vittorie. La sua depressione post-partum era durata quanto i chili di troppo e, proprio come gli ultimi, non sembrava voler andare da nessuna parte per il momento.
“Che stai facendo?”
Mackenzie si voltò verso la porta del bagno e vide Ellington in piedi sulla soglia. Guardò verso il basso, come se non si sarebbe mai aspettato di vedere sua moglie su una bilancia.
“Mi prendo un momento per apprezzare le piccole vittorie.”
“Posso sapere?” chiese, guardando la bilancia con scetticismo.
“Ho raggiunto l'obiettivo” disse lei, scendendo dalla bilancia. “Per quanto riguarda il peso, almeno.”
Entrò in bagno e la baciò sulla guancia. “Sto per uscire. Volevo solo salutarti.”
“Presto verrò anch'io con te.”
“Ah, lo so. E non vedo l'ora.”
La abbracciò, e il silenzio tra loro fu più che eloquente. Dopo l'ultimo caso in cui si era spinta ben oltre i limiti imposti delle sue condizioni, a malapena guarita a soli cinque mesi dal parto cesareo, il direttore McGrath aveva deciso di farla restare a riposo per altri tre mesi. Era ancora un'agente, ma era stata retrocessa a un incarico da casa, dove si occupava di smistare telefonate e aiutava nella ricerca e nella stesura dei rapporti.
Scalpitava per tornare nel mondo reale e affrontare casi reali. Vedere Ellington avere tre mesi piuttosto attivi era stata una tortura, specialmente il giorno in cui lui e uno dei suoi partner avevano neutralizzato un uomo armato che aveva quasi portato a termine una sparatoria in un centro commerciale.
“Di' a McGrath di preparare il mio ufficio.”
“Lo farò. Ma Mac... sai, la prossima settimana... è solo una riunione. Non c'è ancora nessuna garanzia.”
“Sì, lo so. Perché le donne sono facili da scavalcare e sottovalutare... fino a quando non hanno un figlio. Allora non diventano altro che addobbi per vetrine. Una specie di ripensamento che nessuno vuole offendere o maltrattare accidentalmente.”
“È solo prudente.”
“Lo so. Ma io ho deciso di essere incazzata.”
“Sì, lo vedo.” La baciò di nuovo e si diresse verso la porta. “Comprerò del cibo thailandese per cena, stasera. Buona giornata a te e a Ometto.”
Lo guardò andare via, poi lo seguì fuori. Kevin stava facendo il suo pisolino mattutino nel box in cameretta. Faceva tutto parte della routine. A otto mesi, si svegliava alle 5:45 del mattino, mangiava, giocava un po' e poi faceva un pisolino verso le 7:30 circa. I suoi orari per dormire e mangiare erano precisi come un orologio, il che rendeva le giornate di Mackenzie a casa un po' più semplici.
E, pur amando suo figlio più di quanto non si sarebbe mai aspettata, era eccitata all'idea di portarlo di nuovo all'asilo. Avevano già un posto prenotato al suo vecchio asilo nido. Il personale era stato molto gentile, date le particolari circostanze lavorative di Mackenzie nell'ultimo semestre.
Mackenzie si versò la seconda tazza di caffè della mattina e iniziò la sua routine quotidiana. Controllò le sue e-mail per vedere se ci fossero richieste di ricerca: non ce n'erano. Fece un sacco di bucato.