«No. Al massimo l’ha peggiorato. Non ci riesco a starmene seduta a far niente. Odio la mente pigra. Le parole crociate e il lavoro a maglia non sono tagliati per me. Forse nel profondo Duran sapeva che sono troppo giovane per essere mandata al pascolo.»
Logan sorrise e scosse la testa. «Sì, ma l’erba di quei pascoli è molto lussureggiante e verde.»
«Già, e c’è merda di mucca ovunque.»
Logan sospirò e diede l’ultimo morso al suo pranzo. «Okay» disse. «C’è gente qui che deve tornare al lavoro.»
«Questo è un colpo basso» disse lei bevendo l’ultimo sorso di vino.
«Che farai, allora?» chiese. «Torni a casa?»
Onestamente, non ne era sicura. Una parte di lei voleva rimanere a Washington D.C. tanto per fare. Magari avrebbe fatto un po’ di shopping o sarebbe andata nel suo luogo preferito al National Mall per sedersi a riflettere. Sicuramente era una giornata meravigliosa per farlo.
Però, ancora una volta, voleva anche tornare a casa. Anche se era stata estromessa dalla faccenda Brian Neilbolt, rimaneva il fatto che qualcuno aveva ucciso Julie Meade. E pareva che la polizia per il momento fosse persa.
«Non ne sono sicura» disse. «Potrei rimanere in città per un po’ ma probabilmente tornerò a casa prima del crepuscolo.»
«Se cambi idea fammi uno squillo. È stato davvero un piacere vederti, Kate.»
Pagarono il conto e lasciarono il tavolo dopo un breve abbraccio. Ancor prima di essersene andata, con la mente Kate parve impigliarsi su un particolare pensiero, un pensiero che era venuto dal nulla, pareva.
Julie è stata uccisa a casa sua, mentre il marito era fuori città. Se c’è stato scassinamento, nessuno me ne ha parlato. Né la polizia quando mi hanno ripresa, né Debbie o Jim. Se ci fosse stato scassinamento, viene da pensare che la cosa sarebbe stata menzionata.
Le venne da chiedersi… l’assassino era entrato in casa perché invitato? O magari, al massimo, sapeva dove veniva tenuta nascosta una chiave di riserva?
Quelle domande si fecero sentire. Una volta che ebbe dato al bicchiere di vino abbastanza tempo da fare il suo corso, stava guidando in direzione Richmond. Aveva promesso all’assistente direttore Duran che non avrebbe più picchiato nessuno.
Ma non aveva detto che non avrebbe indagato.
Certo, prima c’era il funerale. Avrebbe portato i suoi rispetti e avrebbe fatto del suo meglio per esserci per Deb, il giorno dopo. E, dopo, sarebbe tornata nel suo ruolo – forse con un po’ più di entusiasmo di quanto le piacesse riconoscere.
CAPITOLO OTTO
Il pomeriggio seguente Kate si trovava nell’ultima fila dei partecipanti al funerale mentre la famiglia Meade e gli amici più intimi si radunavano al cimitero. Era lì col suo gruppetto della colazione – Clarissa e Jane vestite di nero e con un’aria sinceramente addolorata – che erano riuscite a manifestare il loro affetto a Debbie prima, quella mattina. Debbie sembrava cavarsela molto meglio del giorno in cui aveva chiesto a Kate di dare un’occhiata all’omicidio. Piangeva apertamente e lasciò uscire un singolo e angosciato gemito di dolore, ma era ancora presente. Jim, d’altra parte, sembrava un uomo davvero distrutto. Un uomo che sarebbe andato a casa a pensare a lungo e impietosamente a come a volte la vita non fosse giusta per niente.
Kate non riuscì a fare a meno di pensare a sua figlia. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare Melissa finito il funerale. Non conosceva Julie Meade molto bene, ma sulla base delle conversazioni avute con Debbie, Kate presumeva che avesse all’incirca la stessa età di Melissa, anno più anno meno.
Ascoltò il predicatore leggere familiari passaggi biblici. Anche se i suoi pensieri erano decisamente con Debbie, si stavano anche leggermente ossessionando su come potesse essere accaduto. Non era andata a chiedere direttamente se la casa fosse stata scassinata da quando era tornata da Washington D.C., ma aveva tenuto le orecchie aperte. Aveva notato che nemmeno Jane e Clarissa avevano mai nominato uno scassinamento. Ed era strano, perché Clarissa sapeva sempre tutto grazie al naso che aveva per i pettegolezzi.
Alzò lo sguardo su Debbie e Jim, notando che c’era un uomo alto in piedi dietro di lui. Era relativamente giovane ed elegante in un modo curato. Diede una leggera gomitata a Jane, che le stava accanto, e chiese: «Il tipo alto accanto a Jim. È il marito di Julie?»
«Sì. Si chiama Tyler. Non erano sposati da tanto. Da meno di un anno, credo.»
A Kate venne in mente che forse nella loro combriccola della colazione non si conoscevano poi così bene. Certo, sapevano tutto dei loro ex lavori, delle bibite a base di caffeina preferite e dei desideri e sogni per la pensione. Ma non erano mai andate davvero più in profondità. Era stato una specie di mutuo accordo silente. Avevano parlato raramente delle loro famiglie, mantenendo la superficie della conversazione piatta, divertente e piacevole.
Non c’era niente di male, ovviamente, ma così Kate sapeva molto poco della famiglia Meade. Tutto ciò che sapeva era che Julie era stata la loro unica figlia… allo stesso modo in cui Melissa era la sua unica figlia. E mentre lei e Melissa non erano intime come un tempo, faceva comunque male pensare di perderla.
Una volta terminata la funzione e una volta che la folla ebbe cominciato a disperdersi in un groviglio di abbracci e goffe strette di mano, Kate e il suo gruppetto del caffè fecero lo stesso. Kate, comunque, si tenne indietro dove un po’ di persone si erano praticamente nascoste per fumare una sigaretta. Anche se Kate non era una fumatrice (pensava che fosse un’abitudine disgustosa), voleva restarsene fuori dai radar per un po’. Scrutò la folla e trovò la figura alta di Tyler Hicks. Stava parlando con una coppia anziana, di cui entrambi i coniugi piangevano apertamente. Tyler comunque sembrava fare del suo meglio per rimanere calmo.
Quando la coppia anziana se ne andò, Kate si fece strada verso di lui. Tyler stava puntando in direzione di una donna di mezza età e dei suoi due bambini, ma Kate riuscì a raggiungerlo prima.
«Mi scusi» disse allungandosi di fronte a lui. «Lei è Tyler, vero?»
«Sì» disse lui. Quando si voltò per guardarla in volto, lei riuscì a vedergli il dolore su tutto il viso. Era prosciugato, stanco, e sembrava essersi svuotato di tutto. «Ci conosciamo?»
«No, a dire il vero» disse. «Sono un’amica della madre di Julie, però. Mi chiamo Kate Wise.»
Un lampo di riconoscimento gli brillò negli occhi per un attimo. Fece sembrare la sua faccia quasi viva per un secondo. «Sì, ho sentito Debbie parlare di lei. È un’agente dell’FBI o una cosa del genere, vero?»
«Be’, sono in pensione da poco. Però sì, il concetto è quello.»
«Scusi se l’ha mandata a studiare il caso di Julie. Posso immaginare che abbia creato un po’ di imbarazzo.»
«Non si deve scusare» disse Kate. «Non riesco neanche a immaginare che cosa stia passando Debbie. Però, senta… la farò breve. Non voglio rubarle troppo tempo. So che Debbie voleva che esaminassi l’ex ragazzo e anche se non sono ancora riuscita a parlargliene lui è pulito.»
«Signora Wise, non è obbligata a farle questo favore.»
«Lo so» disse. «Però mi chiedevo se potrebbe rispondere a qualche velocissima domanda per me.»
Lui all’inizio parve insultato ma poi si rassegnò. Uno sguardo curioso e triste gli attraversò il viso mentre chiedeva: «Pensa che ci siano domande che vale la pena di fare?»
«Forse.»
«Allora okay, risponderò a qualcuna. Velocemente, per favore.»
«Certo. Mi stavo chiedendo se ha visto qualcosa attorno alla casa una volta tornato che poteva sembrare strano o fuori posto. Magari qualcosa che non sembrava tanto importante considerando quel che era appena accaduto a Julie. Magari qualcosa che ha pensato di esaminare dopo, quando le cose si sarebbero calmate