“Vada” le disse. “Spero che vada tutto bene.”
Il cuore di Riley era colmo di gratitudine per la comprensione e la discrezione dimostrate da Meredith.
“Grazie, signore” rispose.
Poi, si precipitò fuori dall’edificio e, raggiunta la propria auto, guidò fino a casa.
Avvicinandosi alla sua villetta a schiera in un tranquillo quartiere di Fredericksburg, notò con sollievo che il furgone dell’FBI era ancora al suo posto. Riley sapeva che ce n’era un altro posteggiato nel vicolo. Sebbene i due veicoli non avessero segni distintivi, non si poteva certo dire che non davano nell’occhio. Ma era inevitabile.
Riley parcheggiò la sua auto nel suo vialetto d’accesso, raggiunse il furgone e guardò all’interno dal finestrino del lato passeggero.
Due giovani agenti erano seduti davanti, Craig Huang e Bud Wigton. A quella vista Riley si sentì sollevata: aveva un’alta considerazione dei due, e aveva lavorato con Huang molte volte recentemente. Il giovane si era dimostrato un po’ troppo zelante per i gusti di Riley, quando era appena giunto al BAU, ma stava trasformandosi rapidamente in un ottimo elemento. Non conosceva bene Wigton, che però godeva di un’eccellente reputazione.
“Novità?” Riley chiese loro attraverso il finestrino.
“Niente” Huang replicò.
Huang sembrava annoiato, ma Riley ne era lieta. L’assenza di novità era decisamente una buona notizia, per quanto la riguardava. Ma sarebbe durata?
“Vi spiace se do un’occhiata dentro?” Riley domandò.
“Faccia pure” Huang rispose.
Lo sportello laterale del furgone, senza finestrini, si aprì, e Riley entrò all’interno trovandovi un’altra agente, Grace Lochner. Riley sapeva che anche Grace godeva di un’ottima reputazione al BAU.
La Lochner era seduta davanti ad un insieme di schermi. Si voltò verso Riley, rivolgendole un sorriso.
“Che cos’ha qui?” Riley chiese.
Entusiasta di mostrare tutta la tecnologia a sua disposizione, la Lochner indicò un paio di schermi che mostravano vedute dall’alto del quartiere.
Spiegò: “Qui abbiamo delle immagini satellitari in tempo reale, che mostrano tutte le persone che vanno e vengono nell’arco di mezzo miglio da qui. Nessuno può avvicinarsi senza essere visto da noi.”
Ridendo un po’, la Lochner aggiunse: “Sono contenta che lei viva in un quartiere tranquillo. Ci semplifica il lavoro.”
Poi indicò diversi altri schermi che mostravano attività a livello della strada.
Aggiunse: “Abbiamo telecamere nascoste nel quartiere, per vedere ciò che accade più da vicino. Possiamo verificare le targhe di qualsiasi veicolo che si avvicina qui.”
Si sentì una voce uscire fuori da un interfono.
“Avete una visita?”
La Lochner rispose: “L’Agente Paige è appena passata a salutare.”
La voce disse: “Salve, Agente Paige. Sono l’Agente Cole, nel veicolo appostato dietro alla sua casa. Con me ci sono anche gli Agenti Cypher e Hahn.”
Riley sorrise. Quelli erano tutti nomi familiari, di agenti ben rispettati.
Riley rispose: “Mi fa piacere avervi qui.”
“Il piacere è nostro” l’Agente Cole rispose.
Riley era stupita dalla comunicazione tra i due furgoni. Vide le immagini del furgone dietro casa sua su un paio di schermi della Lochner. Ovviamente, nulla poteva accadere ad una squadra senza che l’altra lo sapesse immediatamente.
Riley trovò conforto anche nel vedere la grande quantità di armi all’interno del furgone. La squadra ne aveva a sufficienza per respingere un piccolo esercito, se necessario.
Ma non poté fare a meno di chiedersi se sarebbe stato sufficiente a battere Shane Hatcher. Lasciò dunque il furgone ed entrò in casa, cercando di tranquillizzarsi.
Nemmeno Shane Hatcher avrebbe potuto superare tutto quell’apparato di sicurezza.
Eppure, non riusciva a fare a meno di ricordare il messaggio che aveva appena ricevuto.
Non mi dica che non l’avevo avvertita.
CAPITOLO QUATTRO
Quando Riley entrò, l’abitazione sembrava stranamente vuota.
“Sono a casa” gridò.
Nessuno rispose.
Dove sono tutti? Il senso d’allarme cominciò a mutare in panico.
Shane Hatcher era riuscito ad evitare tutti i controlli?
Riley si sforzò di non immaginare che cosa potesse essere accaduto, in quel caso. Il battito ed il respiro accelerarono, mentre si precipitava in soggiorno.
Tutti e tre i ragazzi, April, Liam e Jilly erano lì. April e Liam stavano giocando a scacchi, e Jilly invece, era impegnata con un videogioco.
“Non mi avete sentito?” chiese.
Tutti e tre sollevarono lo sguardo, guardandola con espressioni vuote. Erano tutti ovviamente concentrati sulle loro attività.
Stava per chiedere loro dove fosse Gabriela, quando sentì la voce di quest’ultima proprio dietro di lei.
“E’ a casa, Señora Riley? Ero di sotto, e mi è sembrato di averla sentita arrivare.”
Riley sorrise dinnanzi alla tarchiata donna guatemalteca.
“Sì, sono appena entrata” disse, respirando normalmente ora.
Con un cenno di benvenuto e un sorriso, Gabriela si voltò e si diresse in cucina.
April distolse lo sguardo dalla partita che stava giocando con Liam.
“Va tutto BENE, mamma? Sembri agitata.”
“Sto bene” fu la risposta di Riley.
April rivolse di nuovo la sua attenzione alla partita.
Riley si concesse un istante per meravigliarsi di quanto matura sembrasse la sua figlia quindicenne. Era magra, alta e mora, con gli stessi occhi nocciola di Riley. April aveva affrontato molti pericoli durante gli ultimi mesi. Ma sembrava che stesse molto bene ultimamente.
Riley guardò Jilly, una ragazza più piccola con la pelle olivastra e grandi occhi neri, che stava per adottare. Al momento, Jilly era seduta di fronte ad un grande schermo, impegnata a sparare ai cattivi.
Riley si accigliò un po’. Non amava particolarmente i videogiochi violenti. Ai suoi occhi facevano sembrare la violenza, specie quella provocata dalle armi da fuoco, troppo affascinante e troppo addolcita. Credeva che esercitassero una cattiva influenza specialmente sui ragazzi.
Eppure, tutto considerato, pensava che forse quei giochi erano innocui rispetto alla stessa esperienza di Jilly. Dopotutto, la tredicenne era sopravvissuta a veri orrori. Quando Riley aveva trovato Jilly, la ragazza stava tentando di vendere il proprio corpo, colta da una profonda disperazione. Grazie a lei, ora aveva una chance di una vita migliore.
Liam distolse lo sguardo dalla scacchiera.
“Ehi, Riley. Mi stavo chiedendo …”
Esitò prima di formulare la sua domanda.
Liam era l’ultimo arrivato in casa. Riley non aveva alcuna intenzione di adottare il ragazzo ,alto ed allampanato con i capelli rossi e gli occhi blu. Ma l’aveva salvato da un padre ubriaco che lo aveva picchiato. Aveva bisogno di un posto dove vivere al momento.
“Che cosa c’è, Liam?” Riley gli chiese.
“Va BENE se partecipo ad una gara di scacchi domani?”
“Potrei andarci anch’io?” aggiunse April.
Riley sorrise di