Vide una piccola dentellatura nella parete e la osservò da vicino. Non era più larga di mezzo centimetro e intorno c’era una macchia di sangue. Sotto c’era altro sangue, una goccia che si era seccata sulla parete e una macchia sul pavimento, proprio al di sotto.
Si avvicinò alla parete per osservare la dentellatura più da vicino. Era di una forma singolare, e il fatto che intorno ci fosse del sangue le faceva pensare che una fosse la diretta causa dell’altro. Si rimise dritta e controllò a che altezza del corpo si trovava il segno. Sollevò leggermente il bracciò e lo piegò. Così facendo, il gomito si allineò quasi perfettamente con il buco.
“Cos’hai trovato?” le chiese Harrison.
“Segni di colluttazione, credo” rispose.
Lui la raggiunse e notò il segno. “Non è molto come indizio, vero?” chiese.
“No, non proprio. Ma il sangue lo rende degno di nota. Oltre al fatto che la casa è in ottime condizioni. Mi viene da pensare che il killer abbia fatto tutto quello che poteva per nascondere i segni di lotta. In un certo senso ha sistemato tutta la casa, ma non è riuscito a nascondere questo segno.”
Abbassò lo sguardo sulla macchia di sangue sul parquet. Era sbiadita e dai bordi indistinti.
“Guarda” disse indicando. “Proprio lì, sembra che qualcuno abbia tentato di ripulire la scena. Però aveva fretta, oppure questa macchia non veniva via.”
“Forse dovremmo tornare a controllare anche a casa dei Kurtz.”
“Forse” disse Mackenzie, anche se era sicura che avessero esaminato la casa a fondo.
Si allontanò dal muro e andò all’enorme cabina armadio. Guardando all’interno vide che anche lì era tutto in ordine.
Notò un’unica cosa che, rispetto al resto della casa, poteva essere considerata in disordine. Una maglietta e un paio di pantaloni erano appallottolati quasi contro la parete dell’armadio. Prendendoli, vide che si trattava di abiti maschili, forse gli ultimi che Gerald Sterling avesse indossato.
Fece un tentativo controllando le tasche dei pantaloni. In una trovò diciassette centesimi. Nell’altra, uno scontrino accartocciato. Lo spiegò e vide che era stato emesso da un negozio di alimentari cinque giorni prima… l’ultimo giorno di vita dell’uomo. Osservò lo scontrino e iniziò a riflettere.
In quale altro modo possiamo scoprire cos’hanno fatto nel loro ultimo giorno di vita? O nell’ultima settimana, o nell’ultimo mese?
“Harrison, nel suo verbale, la polizia di Miami non aveva forse dichiarato di aver controllato i cellulari delle vittime in cerca di indizi?”
“Sì, è così” disse Harrison mentre girava cauto intorno al letto insanguinato. “Hanno controllato la rubrica, il registro delle chiamate, le email, i file scaricati, tutto.”
“Però non hanno controllato la cronologia di navigazione Internet, vero?”
“No, non mi sembra.”
Rimettendo lo scontrino nei jeans, Mackenzie uscì dall’armadio e dalla camera da letto. Tornò al piano di sotto, con Harrison che la seguiva.
“Cosa c’è?” le chiese Harrison.
“Ho un’intuizione” disse. “Anzi, una speranza.”
Tornò allo scrittoio e lo aprì di nuovo. In fondo c’era un piccolo cestino, da cui spuntavano delle penne e un libretto degli assegni. Se tenevano la casa in ordine perfetto, immagino sia così anche per il libretto degli assegni.
Lo prese e scoprì di avere ragione. Tutti gli importi erano annotati meticolosamente. Ogni transazione era scritta con caratteri leggibili e con quanti più dettagli possibile. Erano riportati persino i prelievi Bancomat. Mackenzie capì nel giro di venti secondi che il libretto faceva riferimento ad un conto secondario degli Sterling, non a quello principale. Al momento della loro morte, infatti, c’erano poco più di settemila dollari.
Controllò il registro per vedere se ci fosse qualcosa che poteva fornirle degli indizi, ma nulla saltava all’occhio. Però vide delle abbreviazioni che non capiva. Le transazioni per quelle voci erano quasi tutte tra i sessanta e i duecento dollari. Una era di duemila dollari.
Anche se nessuna voce nel registro sembrava strana, quelle abbreviazioni sconosciute, forse iniziali di nomi, le rimasero impresse. Scattò alcune foto e rimise a posto il libretto.
“Hai qualche idea?” chiese Harrison.
“Forse” disse lei. “Potresti chiamare Dagney e chiederle di farci avere i registri finanziari degli Sterling dell’ultimo anno? Assegni, carte di credito, anche PayPal se lo usavano.”
“Certamente” disse Harrison prendendo subito il cellulare.
In fin dei conti non mi dispiace affatto lavorare con lui, pensò Mackenzie.
Lo ascoltò parlare con Dagney mentre richiudeva lo scrittoio e tornava a guardare verso le scale.
Qualcuno ha salito quelle scale quattro notti fa e ha ucciso una coppia sposata, pensò, cercando di immaginarsi la scena. Ma perché? E perché non c’erano segni di effrazione?
La risposta era semplice: proprio come nel caso dei Kurtz, l’assassino è stato fatto entrare in casa. E questo significa che lo conoscevano e l’hanno invitato ad entrare, oppure l’assassino stava recitando una parte… di qualcuno che conoscevano o di una persona in cerca di aiuto.
Quella teoria sembrava fragile ma sapeva che aveva un fondo di verità. Se non altro, creava un debole nesso tra le due coppie.
E per ora, quel collegamento era abbastanza per andare avanti.
CAPITOLO SEI
Anche se aveva sperato di poter evitare di parlare con le famiglie delle vittime, Mackenzie si ritrovò a completare gli incarichi sulla sua lista più rapidamente di quanto si sarebbe aspettata. Dopo essersi lasciata alle spalle la casa degli Sterling, la mossa più logica per avere risposte era andare dai parenti stretti delle due famiglie. Nel caso dei coniugi Sterling, il parente più prossimo era una sorella che viveva a una quindicina di chilometri dalla villetta dei Kurtz, mentre il resto della famiglia viveva in Alabama.
I Kurtz invece avevano parecchi famigliari nelle vicinanze. Josh Kurtz non si era spostato molto dalla sua casa d’origine, infatti viveva a trenta chilometri non solo dai suoi genitori, ma anche dalla sorella. Poiché che la polizia distrettuale di Miami aveva già parlato in modo approfondito con i signori Kurtz quella mattina, Mackenzie optò per fare visita alla sorella di Julie Kurtz, una ragazza di ventidue anni.
Sara Lewis sembrò più che felice di riceverli e, nonostante avesse ricevuto la notizia della morte della sorella da meno di due giorni, sembrava aver accettato la cosa.
Li accolse nella sua casa a Overtown, una pittoresca abitazione su un unico piano che non era più grande di un modesto appartamento. Era arredata con pochi mobili e nell’aria aleggiava quel silenzio teso che Mackenzie aveva percepito in molte altre case dove abitava qualcuno che aveva subito una perdita recente. Sara sedeva sul bordo della poltrona, stringendo una tazza di tè fra le mani. Era evidente che aveva pianto parecchio; inoltre, non sembrava che fosse riuscita a dormire molto.
“Immagino che se è stato coinvolto l’FBI” disse “significa che ci sono stati altri omicidi?”
“Sì, è così” confermò Harrison. Mackenzie aggrottò brevemente le sopracciglia, desiderando che non avesse divulgato così facilmente quell’informazione.
“Tuttavia” intervenne Mackenzie per evitare che Harrison rivelasse altro, “naturalmente non possiamo affermare con certezza che esista un nesso tra i casi senza un’indagine approfondita. Per questo siamo stati chiamati.”
“Farò tutto ciò che posso per aiutarvi” disse Sara Lewis. “Anche se ho già risposto alle domande della polizia.”
“Sì, capisco, grazie” disse Mackenzie. “Vorrei solo occuparmi di un paio di aspetti che potrebbero