Sembrava sincero al riguardo, ma Kate stava già scuotendo la testa.
“Non è quello che ci serve, Geoffrey,” disse Kate. “Mi sorella e io… siamo scappate dall’orfanotrofio.”
Sofia colse lo shock sul volto dell’anziano uomo.
“No,” disse. “Non dovete fare una cosa così sciocca.”
“È fatta,” disse Sofia.
“Allora non potete stare qui,” insistette Geoffrey. “Se vengono i guardiani e vi trovano qui con me, potrebbero pensare che sono in qualche modo un complice.”
Sofia allora se ne sarebbe andata, ma pareva che Kate volesse lo stesso provare.
“Ti prego, Geoffrey,” disse. “Devo…”
“Devi tornare indietro,” disse Geoffrey. “Chiedete perdono. Ho pietà per la vostra situazione, ma è la situazione che il destino vi ha dato. Tornate indietro prima che i guardiani vi prendano. Non posso aiutarvi. Potrei essere frustato solo per non aver allertato le guardie di avervi viste. Questa è tutta la cortesia che posso offrirvi.”
Aveva un tono di voce duro, ma lo stesso Sofia poteva vedere la gentilezza nei suoi occhi, e anche il dolore per dover dire quelle parole. Come se fosse combattuto lui stesso, come se stesse facendo finta di essere duro solo per far capire quello che intendeva.
Lo stesso Kate parve abbattuta. Sofia odiava vedere sua sorella così.
La tirò indietro, lontano dalla biblioteca.
Mentre camminavano, Kate, a testa bassa, finalmente parlò.
“E adesso?” chiese.
La verità era che Sofia non aveva una risposta.
Continuarono a camminare, ma ormai era esausta per tutta quella strada percorsa. Stava anche iniziando a piovere, in quel modo regolare che suggeriva che non avrebbe smesso presto. In pochi posti pioveva come ad Ashton.
Sofia si trovò a scendere lungo le strade acciottolate in pendenza che conducevano verso il fiume che attraversava la città. Non era certa di cosa sperasse trovare lì, tra le chiatte e barchini arenati. Dubitava che la gente del pontile o le prostitute potessero essere di qualche aiuto per loro, e quelle parevano essere le cose principali da potersi trovare in quella parte della città. Ma almeno era una destinazione. Se non altro avrebbero potuto trovare un posto dove nascondersi presso la riva e guardare il pacifico navigare delle navi, sognando altri luoghi.
Alla fine Sofia scorse uno spazio in secca vicino a uno dei tanti ponti della città. Si avvicinò. Barcollò per la puzza, come anche Kate, e per l’infestazione di ratti. Ma la loro stanchezza rendeva anche il più misero stralcio di riparo simile a un palazzo. Dovevano sfuggire alla pioggia. Dovevano nascondersi. E in quel momento dove altro potevano farlo se non lì? dovevano trovare un punto dove nessun altro osasse andare, neanche i vagabondi. E questo era perfetto.
“Qui?” chiese Kate con disgusto. “Non potremmo tornare al camino?”
Sofia scosse la testa. Dubitava che sarebbe stata capace di ritrovarlo, e anche se l’avessero fatto, sarebbe stato da lì che i cacciatori avrebbero iniziato a cercare. Quello era il posto migliore che potessero trovare prima che la pioggia peggiorasse e prima che calasse la notte.
Si sistemò e cercò di nascondere le lacrime per il bene di sua sorella.
Lentamente e con riluttanza Kate si sedette accanto a lei, stringendo le braccia attorno alle ginocchia e dondolandosi, come a voler isolare la crudeltà, la barbarie e la spietatezza del mondo.
CAPITOLO QUATTRO
Nei sogni di Kate, i suoi genitori erano ancora vivi e lei era felice. Ogni volta che sognava, sembrava che fossero lì, anche se i loro volti non erano ricordi ben definiti e c’era solo il medaglione a guidarle. Kate non era stata abbastanza grande quando tutto era cambiato.
Era in una casa da qualche parte in campagna, dove la visuale dalle finestre colorate mostrava frutteti e prati. Kate sognava il calore del sole sulla pelle, la delicata brezza che faceva frusciare le foglie all’esterno.
La parte successiva non sembrava mai avere senso. Non conosceva abbastanza i dettagli, o non se li ricordava bene. Tentava di spingere il suo sogno a darle la storia completa di ciò che era accaduto, ma le apparivano solo dei frammenti: una finestra aperta con le stelle fuori. La mano di sua sorella, la voce di Sofia nella sua testa che le diceva di nascondersi. Cercare i genitori nel labirinto della casa…
Nascondersi in casa al buio. Sentire dei rumori di qualcuno che si muoveva lì intorno. C’era della luce al di là, anche se fuori era notte. Si sentiva vicina, sul punto di poter scoprire cosa realmente fosse successo ai suoi genitori quella notte. La luce dalla finestra iniziava a farsi più brillante, e più brillante, e…
“Svegliati,” le disse Sofia scuotendola. “Stai sognando, Kate.”
Kate aprì gli occhi risentita. I sogni erano sempre molto meglio del mondo in cui viveva.
Strizzò le palpebre alla luce. Anche se pareva impossibile, la mattina era arrivata. Il suo primo giorno passando un’intera notte fuori dal puzzo e dalle grida che c’erano tra le mura dell’orfanotrofio, la sua prima mattina svegliandosi da qualche parte, da qualsiasi parte, che non fosse lì. Anche in un posto così umido si sentiva felice.
Notò non solo la differenza rispetto alla scarsa luce del pomeriggio: era anche il modo in cui il fiume davanti a loro si era animato di chiatte e barche che navigavano più rapidamente che potevano, risalendo la corrente. Alcune si spostavano con piccole vele, altre con pali che le spingevano o cavalli che le tiravano dai lati del fiume.
Attorno a loro Kate poteva sentire il resto della città che si svegliava. Le campane del tempio stavano rintoccando l’ora, mentre nel frattempo si udiva il chiacchiericcio di un’intera città la cui gente si metteva al lavoro o partiva per altri viaggi. Oggi era il primo giorno, una buona giornata per iniziare le cose. Magari avrebbe significato buona fortuna anche per lei e Sofia.
“Continuo a fare lo stesso sogno,” disse Kate. “Continuo a sognare di… di quella notte.”
Sembravano sempre trattenersi dal chiamarla in modo diverso. Era strano, quando avrebbero potuto probabilmente comunicare più direttamente rispetto a chiunque altro in città, eppure lei e Sofia ancora esitavano sul parlare di quella cosa.
L’espressione di Sofia si adombrò, e Kate si sentì immediatamente male al riguardo.
“Anche io faccio quel sogno, a volte,” ammise Sofia tristemente.
Kate si girò verso di lei, concentrata. Sua sorella doveva sapere. Era stata più grande, doveva aver visto di più.
“Tu sai cos’è successo, vero?” le chiese. “Tu sai cos’è successo ai nostri genitori.”
Era più un’affermazione che una domanda.
Kate osservò il volto di sua sorella per trovarvi delle risposte, e vide un lieve fremito, il segno che stava nascondendo qualcosa.
Sofia scosse la testa.
“Ci sono cose cui è meglio non pensare. Dobbiamo concentrarci su cosa succederà adesso, non sul passato.”
Non era proprio una risposta soddisfacente, ma era più di quanto Kate si fosse aspettata. Sofia non aveva intenzione di parlare di ciò che era successo nella notte che i suoi genitori se n’erano andati. Non voleva mai discuterne, e anche Kate doveva ammettere di provare sentimenti di disagio ogni volta che ci pensava. Inoltre nella Casa degli Indesiderati non era gradito quando gli orfani tentavano di parlare