“Quali compiti?” chiese Sofia.
Vide sua madre fare una smorfia prima di continuare, appoggiandosi brevemente allo schienale del divano e chiudendo gli occhi. “Il veleno sta diventando più forte. Mi ero… dimenticata quanto facesse male.”
“Dobbiamo farlo,” disse loro padre. Si spostò accanto a lei e le prese la mano. Subito una visione apparve nella mente di Sofia.
Vide Monthys, quel posto ancestrale che si dispiegava nella campagna sotto alle Terre della Montagna. La vide in un modo che non aveva mai visto prima, strati luccicanti di forza avvolti attorno alla città con intrecci tanto intricati quanto potenti. Sembravano formare una rete progettata per proteggere ciò che si trovava all’interno, sprigionandosi verso l’esterno per collegarsi con la terra. Ma c’erano dei pezzi mancanti in quella rete. Si notavano dei punti vuoti, e senza quelle parti Monthys era praticamente in rovina. C’erano simboli che fluttuavano sopra a cinque punti, e mentre Sofia li guardava, ne capì il significato.
Pietra, Ghiaccio, Fuoco, Ombra, Spirito, le sussurrò la voce di sua madre. Alcuni dei più vecchi tra coloro che hanno la magia credevano che queste fossero le cose di cui era fatto il mondo, e hanno dato a ciascuno di essi un posto sulla terra.
“Casapietra e Ishjemme?” ipotizzò Sofia a voce alta.
E altri, disse la voce di suo padre, unendosi a quella di sua madre. Ciascuno contiene un cuore, una fonte di potere. Morgassa era il sito del fuoco, prima che i suoi governatori decidessero che il cuore era troppo di valore per andarsene nel deserto. Tu recupererai quello, Sofia, e lo porterai per ricostruire.
La Collina di Ysbryd è un posto strano, inviò sua madre. Le cose sono reali e no lì. Lucas dovrà andare a recuperare quel cuore. Ci riuscirà solo con dell’aiuto, ma deve fidarsi ad andare da solo.
Il posto che chiamano Si è ancora più pericoloso, inviò loro padre. Sono preoccupato per vostra sorella. Troverà quello che vuole, ma poi?
La visione si interruppe, almeno così Sofia pensò. Era difficile a dirsi, perché la magia sembrava ancora aleggiare nella stanza. Vide i contorni del mondo sotto di loro accendersi nello stesso modo in cui aveva fatto il disco portata da Lucas. Brillavano di potere e cinque punti di luce emergevano dal pavimento, spiccando tra tutto il resto.
Sofia si alzò in piedi e li fissò. Ne distinse uno che ardeva di luce dal suo regno. Un altro poco distante, nel punto in cui sapeva esserci Ishjemme. Un terzo si trovava vicino al centro della mappa e altri due erano all’esterno: uno su un’isola circondata da barriere coralline, un altro a identificare una città in mezzo alle colline, al centro di un’ampia piana. Non sembrava esserci niente nel raggio di centinaia di miglia, eccetto un fiume che vi passava attraverso.
“Sono così distanti,” disse Sofia.
Lucas annuì. “È per questo che non possiamo andarci insieme. Io andrò al luogo dello spirito e cercherò il cuore. Non fallirò.”
“E io andrò qui,” disse Kate inginocchiandosi per puntare un dito su Si. “Se è quello che serve per uccidere il Maestro dei Corvi, lo prenderò e riporterò indietro anche questo cuore.”
“E io resto con il compito di convincere il re Akar di Morgassa,” disse Sofia. In qualche modo non sembrava un compito difficile, almeno fino a quando non pensò a come avesse tentato di tenerli lontani da questo posto dimenticato. Anche la carovana che aveva inviato a guidarli li avrebbe portati altrove. Messa così, poteva apparire ancora più difficile di quanto Sofia pensasse.
“Lo farò,” disse Lucas. “Ce la faremo.”
“Ucciderò chiunque tenti di fermarmi,” disse Kate con sguardo duro.
“Kate…” iniziò Sofia, ma sua sorella scosse la testa con decisione.
“No. Ho bisogno di questo. Ho bisogno di essere arrabbiata, perché se smetto di essere arrabbiata, non mi resta nulla. Lo farò. Farò qualsiasi cosa sia necessaria. E poi non sembra che ci sia niente di bello nel vivere in un ‘posto di ombre’, no?”
“Immagino di no,” disse Sofia. Guardò i loro genitori, sperando di avere qualche consiglio, o magari dell’aiuto nel convincere Kate che c’erano modi migliori per fare tutto questo che attraverso la violenza.
I loro genitori sedevano sul divano che condividevano, perfettamente immobili, gli occhi chiusi mentre la magia fluttuava attorno a loro. Sofia si sentì mozzare il fiato in gola e si avvicinò, mettendo le mani sulle spalle di sua madre e scuotendola.
“Mamma, puoi sentirmi? Mamma? Papà?”
Erano entrambi fin troppo immobili. Anche i loro petti non si alzavano e abbassavano nel tipico movimento della respirazione. La pelle di sua madre era fredda al tatto, il calore che se ne stava man mano andando insieme alla magia. Quanto sforzo avevano messo in questo ultimo incantesimo? O meglio, quanto veleno era stato in grado di usarne come collegamento a loro? Avevano mostrato a loro tre dove andare, ma nel farlo… nel farlo si erano resi vulnerabili a tutto ciò che avevano chiuso fuori così a lungo.
I loro genitori erano morti.
CAPITOLO CINQUE
Il Nuovo Esercito avanzò e Sebastian sapeva che non c’era modo di respingerlo senza la protezione dello scudo di Casapietra. Non erano riusciti a farlo ad Ashton, o in nessuna delle altre cittadine del regno, quindi come avrebbero potuto riuscirci qui, in un insediamento di poche migliaia di persone?
“Perché dobbiamo,” disse Asha, sguainando la sua spada e una pistola. “Dobbiamo resistere, o Viola non potrà mai diventare quello che abbiamo visto di lei.”
Sebastian ignorò il fatto che per l’ennesima volta la donna sembrava aver letto nel suo pensiero. Era già abbastanza che fosse propensa ad aiutare, e che fosse presente mentre la prima ondata di soldati entrava.
Moschetti e pistole risuonarono per quel primo attacco, rallentando mentre gli uomini cadevano falciati dalla pioggia di proiettili e frecce. Ma non fu sufficiente: non poteva mai essere sufficiente quando non c’era il tempo per ricaricare. Alcuni guerrieri dell’insediamento riuscirono a sparare una seconda raffica con delle armi di scorta o perché erano in qualche modo riusciti a ricaricare, ma il nemico continuava ad avanzare anche mentre i loro commilitoni cadevano, assaltando le mura che circondavano il villaggio.
Sebastian, spada in pugno, avanzò per affrontare il nemico che voleva sua figlia, conficcando la lama nella gola del primo uomo che gli si avvicinò, poi tirando un fendente di traverso a un secondo.
Abbatteva uomini e quelli continuavano a venire, anche mentre Sebastian tentava di pensare a dei modi per salvare la gente che gli stava attorno. Vide i guerrieri di Casapietra fianco a fianco con quelli tra i rifugiati che sapevano come combattere. Colpivano senza alcuna sorta di piano generale, se non con l’idea di tenerli indietro. Non c’era tempo per nessuna sottigliezza o strategia: solo la necessità di stare lì e combattere.
Sentì una mano sul braccio e si voltò, ma vide solo Emeline, lì accanto a lui nel mezzo della battaglia
“Dobbiamo arrivare a Viola!” gridò oltre il frastuono delle lame e il vibrare della magia che veniva usata nel combattimento. Attorno a Sebastian i guerrieri di Casapietra usavano poteri che li rendevano decine di volte più pericolosi di un singolo soldato: alcuni di loro si muovevano più veloci di qualsiasi persona normale, alcuni gettavano oggetti con forza incredibile, mentre uno evocava le fiamme sugli abiti dei suoi avversari.
Anche con tutte quelle abilità magiche, anche potendo coordinare alla velocità del pensiero ogni singolo nemico che gli si gettava contro, non c’era molto che potessero fare contro l’enorme numero di soldati che li stavano attaccando. Sebastian vide cadere un guerriero, trascinato a terra dalla ressa di uomini che aveva attorno, incapace di spostarsi e schivare i colpi. Cercò di andare in suo soccorso, ma la mano