Gridò interiormente quando vide che non succedeva nulla.
Almeno Kevin era scappato. Luna lo aveva visto sgattaiolare in mezzo ai ranghi dei controllati e salire su una delle navi. Aveva visto lui e Chloe risucchiati all’interno, e questo l’aveva fatta preoccupare ancor più rispetto a quanto stava succedendo a lei.
Devi lottare, ripeté a se stessa. Kevin è incastrato su una nave spaziale aliena senza di te. Sai che si metterà nei guai da solo, e non di certo in guai divertenti.
Ovviamente Kevin non era da solo, ma quel pensiero non migliorava le cose. Non era che Luna odiasse Chloe o niente del genere, ma era piuttosto evidente che Kevin le piaceva e… beh… piaceva anche a lei. Era strano come questa cosa fosse più facile da ammettere ora che la sua mente era occupata ad essere controllata dagli alieni, ma era così. Forse perché sapeva che nessuno lo avrebbe scoperto.
Aveva cercato di farglielo capire un sacco di volte in passato, anche se non era mai sembrato arrivarci. Forse era una cosa dei maschi, o forse era solo una cosa da Kevin: abile nel capire i messaggi che venivano da un’altra galassia, ma privo delle stesse qualità davanti a lei. E ora si trovava dentro a una navicella aliena insieme a Chloe, e anche se non erano esattamente soli, Luna era decisamente convinta che gli alieni non si potessero contare. Anche se non fosse successo niente, Luna non era comunque sicura che Chloe fosse la persona giusta per portare Kevin indietro sano e salvo. Certo, aveva dato una mano ad aiutare anche lei sulla barca, ed era capace di accendere una macchina con i cavi, ma non era proprio la stessa cosa che dirottare una navicella spaziale. E Luna non era sicura che non sarebbe andata nel panico quando le cose fossero girate per il verso sbagliato.
Poi le cose girarono per il verso sbagliato, e Luna poté vederlo chiaramente.
Un momento la nave madre aliena si trovava sospesa come una luna in cielo, l’attimo dopo il cielo attorno ad essa si increspò e lampeggiò, come se lo spazio fosse uno stagno dove qualcuno aveva gettato un sasso. La nave madre iniziò ad allontanarsi, la sua ombra che attraversava lentamente il cielo. Ci fu un momento in cui lo spazio in cui si trovava parve avvolgersi attorno ad essa, e poi era sparita, spostandosi tanto velocemente che per Luna fu impossibile seguirla.
Per un breve momento la speranza si accese in lei. Era finita? Kevin era salito sulla piccola navicella al di sopra di Sedona, e quella era salita fino alla navicella madre, ed entrambe erano sparite. Kevin aveva trovato un modo di mettere fine a tutto questo? Lui e Chloe li avevano salvati tutti?
Luna tentò di muovere un braccio, sperando più di ogni cosa di poterlo fare, ma non accadde nulla. Non era cambiato niente.
Il guaito di un cane accanto a lei colse la sua attenzione. Lì c’era Bobby, il cane da pastore, che ora le stava spingendo il naso contro la gamba in un modo che avrebbe anche potuto farla cadere in condizioni normali, prima che i controllati le soffiassero in faccia il vapore. Ma in quel momento, Luna rimase invece solida come la pietra, immobile e incapace di spostarsi, non potendo neanche reagire quando lui le annusò la mano leccandola con la grossa lingua bagnata.
Bravo, pensò Luna, e cercò di dirlo, senza però riuscire a tirare fuori il suono dalla gola. Non poteva neanche accarezzarlo, e questo le fece capire quanto controllo gli alieni avessero ormai su di lei. Bobby la spinse ancora con il naso, poi si allontanò di corsa come ad aspettarsi che lei lo seguisse. Quando vide che non aveva ottenuto alcuna reazione, si distese piagnucolando e guardandola con occhi tristi.
Mi spiace, Bobby, pensò Luna, ma non poteva comunque dirglielo.
Non era l’unica cosa per cui si sentiva dispiaciuta. Attorno a lei poté vedere i motociclisti di Capopolvere fermi come tutti gli altri. Vedeva Orso che spiccava con la sua imponenza sul resto del gruppo, tutto il senso di forza e comando eliminato dalla sua trasformazione. Vide poco più in là Lupetto che la fissava con sguardo vuoto, mentre prima si era dimostrato così sicuro di sé e addirittura interessato a lei.
Siete ancora là dentro? si chiese dalla prigione della propria mente. Tutti coloro che erano stati trasformati si trovavano in trappola in quel modo? Erano lì seduti dietro al bianco candido delle loro pupille, inorriditi mentre gli alieni controllavano ogni movimento che facevano? Luna non sapeva se sperare che Lupetto non dovesse soffrire tutto questo, o invece sì, perché almeno avrebbe voluto dire che era ancora presente, e che almeno c’era una minima possibilità di riportarlo indietro.
Quale possibilità? pensò tra sé e sé. Che speranza c’era per tutti loro? Nessuno era tornato indietro da quella condizione fino ad ora. Gli alieni avevano trasformato la maggior parte del mondo, e la gente che veniva trasformata restava trasformata. Non era come amare la band sbagliata, non era una cosa che si poteva esaurire se la si trascinava troppo a lungo.
Ora Luna poteva sentire dei rumori provenire dal fondo della propria mente. Riconobbe le interferenze e gli scatti, i suoni statici e i ronzii, perché li aveva sentiti ormai tantissime volte, quando Kevin traduceva i segnali alieni. Luna poté sentirli come se fosse la loro lingua, anche se non aveva idea di cosa significasse.
Poteva non saperlo, ma il suo corpo parve comprendere. Luna sentì che iniziava a muoversi, mettendosi in formazione con le altre persone, come una sorta di unità militare. Non sapeva chi stesse dando loro gli ordini, dato che la nave aliena principale se n’era andata. Forse qualcuno degli alieni era rimasto a terra.
Non aveva importanza: chiunque le stesse dando degli ordini, Luna si trovò ad obbedire. Iniziò a marciare insieme agli altri, sparpagliandosi in mezzo alle macerie di Sedona, iniziando a sollevare detriti e a entrare nelle case.
A Luna pareva di osservare la scena da lontano, guardandosi mentre sollevava rocce e tirava via pezzi di legno a mani nude. Si vedeva al lavoro insieme a Lupetto e agli altri, tutti impegnati a ripulire la città con la meticolosità di formiche che tagliano delle foglie o di avvoltoi che dilaniano la carcasse di un animale.
Sentì Bobby che abbaiava ancora e se lo ritrovò di nuovo al fianco. Il cane guaiva e le correva attorno come a poterla distrarre da ciò che stava facendo. Le leccò ancora la mano, poi strinse i denti dolcemente attorno al suo braccio. Non lo fece con forza, ma più come avrebbe fatto con un cucciolo ribelle per rimetterlo in riga.
Bobby era forte e probabilmente pesava quasi quanto lei, ma Luna andò dritta avanti come se non fosse neanche lì. Continuò a lavorare, raccogliendo materiali e impilandoli in mucchi, dividendoli con l’efficienza di una macchina.
Luna vide tagli e graffi che iniziavano ad apparire sulle sue braccia per lo sforzo di spostare i materiali, ma non sentì alcun dolore. I suoi arti erano insensibili come se li avesse lasciati per un’ora immersi nel ghiaccio, il dolore isolato da strati di controllo alieno.
Luna ora poteva sentire quel controllo mentre Bobby continuava ad abbaiare e correrle attorno. Poteva percepire ciò che volevano che lei facesse, e lottò per ribellarsi, la piccola parte di lei che ancora era cosciente, inorridita dalla situazione, anche se il resto di lei continuava a raccogliere un’altra roccia.
No! ordinò a se stessa. Non lo faccio! Non lo faccio!
Lottò contro gli impulsi con ogni fibra del suo essere, tirando contro le proprie braccia con tutta la forza di volontà che prima aveva avuto tanto successo contro ogni cosa, dalle istruzioni dei suoi genitori al tumulto dell’oceano. Ma era troppo, come tentare di tenere indietro a mani nude il peso di una valanga. Con un grido interiore di disperazione, Luna sentì che la valanga le si riversava addosso.
Si girò e lanciò la pietra contro Bobby, piangendo mentre lo faceva.
Il cane guaì, poi si allontanò piagnucolando e zoppicando leggermente da una zampa. Luna lo vide ritirarsi al limitare degli edifici ai quali stavano lavorando, sdraiarsi e guardarla con occhi disperati che corrispondevano a ciò che lei stessa provava in quel momento.
Ma quello che Luna provava non aveva importanza, non di fronte alle istruzioni degli alieni. Non importava quanto la sua mente fosse schiacciata oltre i confini della gabbia che la costringeva: la prigione