Luke grugnì. “Non sono a conoscenza dell’esistenza di…”
“Non dirmi cazzate,” disse Ed. “Secretata o meno, la storia la conosco.”
Luke aveva imparato a vivere la sua vita in compartimenti stagni. Raramente parlava dell’incendio alla base. Era accaduto un secolo prima, in un angolo dell’Afghanistan orientale così remoto che anche solo piazzarci delle truppe di terra doveva voler dire qualcosa. Era storia antica. Che nemmeno sua moglie conosceva.
Ma Ed era stato della Delta, perciò… okay.
“Sì,” disse. “Ero lì. Informazioni sbagliate ci hanno messo lì, ed è diventato il peggior incubo della mia vita.” Indicò i due uomini sul pavimento.
“In confronto questo sembra un episodio di Happy Days. Abbiamo perso nove bravi uomini. Appena prima del tramonto, siamo rimasti senza munizioni.” Luke scosse la testa. “È stato orribile. La maggior parte dei nostri ormai era già morta. E i tre fra noi che ce l’hanno fatta… Non so se siamo mai veramente tornati. Martinez è paralizzato dalla vita in giù. L’ultimo di cui ho sentito, Murphy, un vagabondo, entra ed esce dal reparto psichiatrico della Virginia.”
“E tu?”
“Io ho ancora gli incubi sull’accaduto.”
Ed stava fasciando i polsi del suo uomo. “Conoscevo un tizio che doveva ripulire tutto dopo che l’area era stata sgombrata. Ha detto che hanno contato 167 corpi su quella collina, esclusi i nostri. C’erano 21 morti tra i nemici per combattimento corpo a corpo all’interno del perimetro.”
Luke lo guardò. “Perché me lo stai dicendo?”
Ed scrollò le spalle. “Sei un po’ arrugginito. Non vergognarti di ammetterlo. E sarai anche intelligente. E sarai pure bassetto. Ma hai anche i muscoli, proprio come me.”
Luke scoppiò a ridere. “Okay. Sono arrugginito. Ma non mi chiamare bassetto.” Rise, alzando lo sguardo sull’enorme ossatura di Ed.
Anche Ed rise. Frugava le tasche dell’uomo sul pavimento. In pochi secondi, trovò quello che stava cercando. Era una scheda elettronica per la serratura digitale montata sul muro accanto alle doppie porte.
“Entriamo?”
“Dopo di te,” disse Ed.
Capitolo 12
“Non potete stare qui!” urlò l’uomo. “Fuori! Fuori da casa mia!”
Erano in un’ampia zona giorno. C’era un pianoforte a mezza coda bianco nell’angolo più lontano, e delle finestre che partivano quasi da terra e arrivavano al soffitto svelavano panorami mozzafiato. La luce del mattino si diffondeva all’interno. Vicino c’era un moderno sofà bianco e un tavolo, delle poltrone raggruppate attorno a un gigantesco schermo televisivo piatto appeso al muro. Sulla parete opposta c’era un’enorme tela, alta tre metri, con strane chiazze e gocce dai colori brillanti. Luke di arte ne sapeva qualcosa. Pensava si trattasse di un Jackson Pollock.
“Sì, ci siamo già passati con i tizi nell’ingresso,” disse Luke. “Noi non possiamo stare qui, eppure… eccoci qui.”
L’uomo non era alto. Era grosso e tozzo, e indossava una sfarzosa vestaglia bianca. Teneva in mano un grande fucile e puntava la canna nella loro direzione. A Luke sembrava un vecchio Browning da safari, probabilmente con un caricatore Winchester da 270 colpi. Quella cosa avrebbe seccato un alce a trecentocinquanta metri di distanza.
Luke si mosse verso la parte destra della stanza, Ed verso sinistra. L’uomo faceva oscillare il fucile avanti e indietro, incerto su chi prendere di mira.
“Ali Nassar?”
“Chi lo vuole sapere?”
“Sono Luke Stone. Questo è Ed Newsam. Siamo agenti federali.”
Ed e Luke circondarono l’uomo, avvicinandosi sempre di più.
“Sono un diplomatico della Nazioni Unite. Non avete giurisdizione qui.”
“Vogliamo solo farle un paio di domande.”
“Ho chiamato la polizia. Arriveranno tra poco.”
“Allora perché non getta a terra l’arma? Ascolti, è un’arma vecchia. Ha un otturatore girevole-scorrevole quella cosa. Se spara una volta, non avrà mai il tempo di ricaricarla per il secondo round.”
“Allora ucciderò lei e lascerò vivere l’altro.”
Ruotò verso Luke. Luke continuava a muoversi lungo il muro. Alzò le mani per mostrare di non essere minaccioso. Gli erano state puntate addosso così tante armi nel corso della sua vita da averne perso il conto molto tempo fa. Eppure, provava una brutta sensazione. Ali Nassar non aveva l’aria di un cecchino, ma se riusciva a sparare gli avrebbe fatto un bel buco da qualche parte.
“Se fossi in te, ucciderei quell’omone laggiù. Perché se uccidi me, nessuno può immaginarsi cosa farà quello lì. Io gli piaccio.”
Nassar non esitò. “No. Ammazzo lei.”
Ed era già dietro all’uomo, a tre metri. Coprì la distanza in un secondo. Colpì la canna facendo ruotare il fucile verso l’alto proprio mentre Nassar premeva il grilletto.
BUM!
La detonazione rimbombò fortissima tra le quattro mura dell’appartamento. Il colpo aprì un buco nell’intonaco bianco del soffitto.
Con una sola mossa, Ed allontanò l’arma, colpì con un pugno Nassar alla mascella e lo portò a sedersi su una poltrona.
“Okay, si accomodi. Con calma, per favore.”
Nassar era sotto shock a causa del pugno. Gli ci vollero diversi secondi perché gli occhi ritrovassero il loro centro. Teneva una mano paffuta sul livido rosso che gli si stava già formando sulla mascella.
Ed mostrò a Luke il fucile. “E questo?” Era elaborato, con il calcio intarsiato di perle e il caricatore lucido. Probabilmente era rimasto appeso a un muro da qualche parte fino a pochi minuti prima.
Luke dirottò la sua attenzione all’uomo sulla poltrona. Ricominciò dall’inizio.
“Ali Nassar?”
L’uomo era imbronciato. Aveva la stessa aria arrabbiata di suo figlio Gunner quando aveva quattro anni.
Fece un cenno col capo. “Ovviamente.”
Ed e Luke si mossero veloci, senza perdere tempo.
“Non potete farmi questo,” disse Nassar.
Luke guardò l’orologio. Erano le 7. La polizia poteva arrivare in qualsiasi momento.
Lo portarono in un ufficio appena fuori dalla zona giorno. Gli avevano tolto gli abiti. Gli avevano portato via le pantofole. Indossava dell’aderente biancheria intima bianca e nient’altro. Il suo stomaco sporgeva. Era teso come un rullante. Lo avevano fatto sedere, i polsi legati ai braccioli e le caviglie alle gambe della poltrona.
L’ufficio aveva una scrivania con un case vecchio stile e un monitor. Il processore era all’interno di una scocca in spesso acciaio, ancorata al pavimento in pietra. Non c’era un modo chiaro di aprire il case, nessun lucchetto, nessuna porta, niente. Per prendere l’hard disk un saldatore avrebbe dovuto tagliare la scocca. Non c’era tempo.
Ed e Luke erano in piedi davanti a Nassar.
“Ha un conto numerario alla Royal Heritage Bank sulla Grand Cayman,” disse Luke. “Il 3 marzo ha fatto un trasferimento di $250.000 a un conto intestato a un uomo di nome Ken Bryant. Ken Bryant è stato strangolato a morte a una qualche ora la scorsa notte in un appartamento di Harlem.”
“Non ho idea di cosa stiate parlando.”
“Lei lavora per un uomo di nome Ibrahim Abdulraman, che è morto stamattina