Sollevando lo sguardo vide che l’uomo reggeva una carriola inclinata sopra di lei. Le poche zolle restanti di terra caddero fuori dalla carriola, finendo dritte sulla sua testa.
“Che cosa stai facendo?” urlò.
“Rilassati” l’altro disse. “Come ho detto, mi occuperò di tutto.”
Riabbassò la carriola. Subito dopo, la donna sentì un leggeri e ripetuti colpi contro una superficie metallica, ancora e ancora.
Certamente l’uomo stava mettendo dell’altra terra nella carriola.
Lei chiuse gli occhi, fece un respiro profondo, aprì la bocca ed emise un lungo e terribile grido.
“Aiuto!”
Poi, sentì una pesante zolla di terra colpirla direttamente al viso. Un po’ di essa le finì in bocca, e lei ingoiò e sputò.
L’uomo, con voce ancora amichevole, disse …
“Temo che dovrai urlare molto più forte di così.”
Poi con un sogghigno, aggiunse …
“Riesco a malapena a sentirti io.”
Lei emise un altro urlo, scioccata dall’intensità della sua stessa voce.
Poi, l’uomo rovesciò dell’altra terra su di lei.
Ma ora non poteva gridare. Aveva la gola piena di terra.
Fu sopraffatta da un inquietante senso di déjà vu. Aveva già vissuto questo genere di esperienza: l’incapacità di scappare dal pericolo o persino di gridare.
Ma quelle esperienze erano state soltanto incubi. E lei si era sempre risvegliata.
Senz’altro, questo era soltanto un altro incubo.
Svegliati, continuava a ripetersi. Svegliati, svegliati, svegliati …
Ma non poteva farlo.
Questo non era un sogno.
Era reale.
CAPITOLO UNO
L’Agente Speciale Riley Paige stava lavorando alla propria scrivania dell’edificio del BAU di Quantico, quando un ricordo sgradevole emerse nella sua mente …
Un uomo di pelle scura la stava guardando con occhi vitrei.
Aveva una ferita da proiettile alla spalla, e una ferita più grave all’addome.
Con voce debole e amareggiata, disse a Riley…
“Le ordino di uccidermi.”
Riley aveva la mano sulla sua pistola.
Avrebbe dovuto ucciderlo.
Aveva ottime ragioni per farlo.
Ciò nonostante, non sapeva che cosa fare…
Un’improvvisa voce femminile la destò da quei pensieri.
“Sembra che tu abbia qualcosa in mente.”
Riley sollevò lo sguardo dalla scrivania, e vide una giovane donna afroamericana, con corti capelli lisci, di fronte alla porta del suo ufficio.
Si trattava di Jenn Roston, che era stata la nuova partner di Riley nel suo ultimo caso.
Riley si smosse un po’.
“Non è niente” rispose.
Gli occhi marrone scuro di Jenn tradirono preoccupazione, mentre la donna ribatteva: “Oh, sono sicura che non sia niente.”
A fronte del silenzio di Riley, Jenn riprese: “Stai pensando a Shane Hatcher, non è vero?”
Riley annuì silenziosamente. I ricordi stavano emergendo spesso in quei giorni, ricordi del suo terribile confronto con l’uomo ferito nella baita del padre defunto.
Il rapporto di Riley con l’evaso si era consolidato in uno strano e curioso legame di fedeltà. L’uomo era stato a piede libero per ben cinque mesi, e lei non aveva nemmeno provato a porre fine alla sua libertà, almeno fino a quando lui non aveva cominciato a uccidere delle persone innocenti.
In quel momento Riley faticava a credere di averlo lasciato in libertà così a lungo.
Il loro rapporto era stato inquietante, illegale e molto molto oscuro.
Di tutte le persone che Riley conosceva, Jenn era forse quella che meglio comprendeva quanto cupo fosse stato.
Infine, interruppe il suo silenzio: “Continuo soltanto a pensare che avrei dovuto ucciderlo immediatamente.”
Jenn replicò: “Era ferito, Riley. Non rappresentava alcuna minaccia per te.”
“Lo so” Riley esclamò. “Ma continuo a pensare che ho lasciato che la mia fedeltà nei suoi confronti offuscasse il mio giudizio.”
Jenn scosse la testa.
“Riley, ne abbiamo parlato. Sai già che cosa ne penso. Hai fatto la cosa giusta. E non devi credere per forza a me. Tutti gli altri qui la pensano allo stesso modo.”
Riley sapeva che era vero. I suoi colleghi e superiori si erano calorosamente congratulati con lei per aver consegnato Hatcher vivo. La loro gratitudine era un gradito cambiamento. Per tutto il tempo in cui Riley era stata alla mercé di Hatcher, tutti erano stati sospettosi nei suoi confronti. Ora che la nube del sospetto si era sollevata, i volti dei suoi colleghi erano di nuovo amichevoli, e lei era trattata con un rinnovato rispetto.
Riley si sentiva, di nuovo, davvero a casa lì.
Poi, Jenn aggiunse, sorridendo: “Caspita, hai persino fatto le cose secondo il manuale per una volta in vita tua.”
Riley sogghignò. Certamente, aveva seguito la corretta procedura nel modo in cui aveva catturato Hatcher, cosa che non era capitata molte volte nell’ultimo caso che aveva risolto con Jenn.
Riley rispose: “Sì, immagino che tu abbia fatto un corso intensivo dei miei … metodi anti convenzionali.”
“Di certo è così.”
Riley rise nervosamente. Aveva ignorato più regole del solito. Jenn l’aveva coperta fedelmente, persino quando si era infiltrata nella casa di un sospettato senza un mandato. Jenn avrebbe potuto fare rapporto, se avesse voluto. Avrebbe potuto far licenziare Riley.
“Jenn, apprezzo davvero …”
“Non dirlo nemmeno” Jenn disse. “Fa tutto parte del passato. Quello che conta deve ancora venire.”
Il sorriso di Jenn si allargò, mentre aggiunse: “E io non mi aspetto che tu agisca come una Girl Scout. Faresti meglio a non aspettartelo neanche da me.”
Riley rise di nuovo, più tranquillamente stavolta.
Trovava difficile credere di non essersi fidata della giovane partner, che aveva considerato come la sua vera nemesi.
Dopotutto, Jenn aveva fatto molto più per Riley, oltre a mantenere il segreto sul suo comportamento.
“Ti ho ringraziato per avermi salvato la vita?” Riley chiese.
Jenn sorrise.
“Ho perso il conto di quante volte” l’altra rispose.
“Allora, grazie ancora.”
Jenn non ribatté. Il suo sorriso svanì. Uno sguardo distante sul suo volto.
“Volevi qualcosa, Jenn?” Riley chiese. “Voglio dire, perché sei passata?”
Jenn continuò semplicemente a guardare in fondo al corridoio, per un istante.
Infine, iniziò: “Riley, non so se dovrei dirtelo …” Poi, si bloccò.
Riley intuì