Stava in piedi al centro del soggiorno, mentre i ragazzi erano su un divano. Jennifer, la sorella di Hailey, se ne stava in piedi nella cucina adiacente, a fumare una sigaretta davanti ai fornelli con la cappa accesa.
“Tipo un fidanzato?” chiese Dalton.
“Certo, anche quello è un amico maschio” disse Porter. “Ma quello che intendo è qualsiasi uomo con cui abbia parlato più volte. Anche uno come il postino o una persona al supermercato.”
Entrambi i ragazzi guardavano Porter come se si aspettassero che facesse un numero di magia, oppure che prendesse fuoco spontaneamente. Anche Mackenzie lo fissava. Non l’aveva mai sentito usare un tono di voce tanto delicato. Era quasi buffo sentire una voce così rassicurante uscire dalla sua bocca.
“No, non direi” disse Dalton.
“No” concordò Kevin. “E non aveva neanche un ragazzo. Non che io sappia.”
Mackenzie e Porter guardarono Jennifer aspettando una risposta. Tutto ciò che ottennero fu un’alzata di spalle. Mackenzie era certa che Jennifer fosse sotto shock. Si chiese se ci fosse qualche altro familiare che potesse prendersi cura di quei ragazzi per un periodo, dato che Jennifer al momento non sembrava la persona più adatta.
“E che mi dite di persone con cui voi e vostra madre non andavate d’accordo?” proseguì Porter. “L’avete mai sentita litigare con qualcuno?”
Dalton si limitò fare di no con la testa. Mackenzie era sicura che il bimbo stesse per scoppiare in lacrime. Kevin invece fece roteare gli occhi proprio in faccia a Porter.
“No” rispose. “Non siamo stupidi. Sappiamo cosa sta cercando di chiederci. Vuole sapere se ci viene in mente qualcuno che possa aver ucciso la mamma. Giusto?”
Sembrava che Porter avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Lanciò un’occhiata nervosa verso Mackenzie, ma riuscì rapidamente a riacquistare compostezza.
“Be’, sì” ammise. “È proprio lì che volevo arrivare, ma mi sembra chiaro che non avete nessuna informazione utile.”
“Lei crede?” lo sfidò Kevin.
Ci fu un momento di tensione e Mackenzie era sicura che Porter se la sarebbe presa col ragazzino. Kevin fissava Porter con un’espressione addolorata, quasi a sfidarlo di continuare.
“Bene” disse Porter, “credo di avervi già dato abbastanza disturbo. Grazie per il vostro tempo.”
“Un momento” intervenne Mackenzie, senza riuscire a trattenere la sua obiezione.
Porter le lanciò un’occhiata che avrebbe potuto sciogliere la cera. Evidentemente pensava fosse solo una perdita di tempo parlare con i due ragazzi distrutti dal dolore, soprattutto con un quindicenne che aveva chiari problemi con l’autorità. Mackenzie ignorò il suo sguardo e si abbassò per essere faccia a faccia con Dalton.
“Senti, che ne dici di andare un po’ di là in cucina da tua zia?”
“Va bene” disse Dalton con voce sommessa e arrochita.
“Detective Porter, perché non va con lui?”
Ancora una volta, Porter le rivolse uno sguardo carico di odio. Mackenzie sostenne il suo sguardo senza fare una piega. Indurì l’espressione fino a farla sembrare di pietra; era determinata a non cedere. Se voleva discutere con lei, l’avrebbero fatto fuori da lì. Invece, evidentemente, non voleva mettersi in imbarazzo, anche se si trattava solo di due ragazzini e una donna in stato catatonico.
“Ma certo” disse infine a denti stretti.
Mackenzie aspettò che Dalton e Porter entrassero in cucina.
Mackenzie si rialzò. Sapeva che il trucchetto di abbassarsi smetteva di funzionare più o meno a dodici anni.
Guardò Kevin e vide che lo sguardo di sfida che aveva mostrato a Porter era ancora lì. Mackenzie non aveva nulla contro gli adolescenti, però sapeva che spesso era difficile averci a che fare, soprattutto in circostanze tragiche come quella. Però aveva visto come Kevin aveva reagito a Porter e forse sapeva come poteva comunicare con lui.
“Dimmi la verità, Kevin” gli disse. “Secondo te siamo arrivati qui troppo presto? Pensi che siamo degli insensibili a farvi domande così presto dopo che avete avuto la notizia su vostra madre?”
“Più o meno” rispose.
“Magari non ti va di parlare adesso?”
“No, possiamo anche parlare” disse Kevin. “Ma quel tipo è uno stronzo.”
Mackenzie sapeva che quella era la sua occasione. Poteva affrontare la cosa con professionalità, come avrebbe fatto normalmente, oppure poteva sfruttare quell’occasione per stabilire una connessione con l’adolescente arrabbiato. Gli adolescenti apprezzavano soprattutto l’onestà. Riuscivano a percepire molte cose quando erano guidati dalle emozioni.
“Hai ragione” gli disse. “È uno stronzo.”
Kevin la fissò con gli occhi sbarrati. Era rimasto di stucco; evidentemente, non era la risposta che si aspettava.
“Ma questo non cambia il fatto che devo lavorare con lui” aggiunse, la voce un misto di compassione e comprensione. “E non cambia neanche il fatto che siamo qui per aiutarvi. Vogliamo scoprire chi è che ha fatto questo a vostra madre. Non lo vuoi anche tu?”
Restò in silenzio a lungo, ma alla fine annuì.
“Allora pensi di poter parlare con me?” chiese Mackenzie. “Solo qualche domanda veloce, poi ce ne andiamo.”
“E dopo di voi chi verrà?” chiese Kevin diffidente.
“Onestamente?”
Kevin annuì, e lei vide che era vicino alle lacrime. Si chiese se le avesse trattenute per tutto il tempo, cercando di essere forte per il fratello e la zia.
“Dopo che ce ne saremo andati, riferiremo le informazioni che abbiamo ottenuto e i servizi sociali verranno per accertarsi che Jennifer sia la persona adatta a prendersi cura di voi mentre vengono fatti gli ultimi preparativi per vostra madre.”
“Di solito è una in gamba” disse Kevin guardando verso la zia. “È solo che lei e la mamma erano molto unite, proprio come due migliori amiche.”
“Già, tra sorelle è spesso così” disse Mackenzie, anche se non aveva idea se fosse vero o no. “Adesso però ho bisogno che ti concentri su quello che sto per chiederti. Pensi di poterlo fare?”
“Sì.”
“Bene. Odio dovertelo chiedere, ma è necessario. Tu sai che lavoro faceva tua madre?”
Kevin annuì abbassando lo sguardo sul pavimento.
“Sì” rispose. “E non so come, ma anche i ragazzi della mia scuola lo sanno. Probabilmente qualche papà arrapato è stato al club, l’ha vista e l’ha riconosciuta da qualche riunione scolastica. È uno schifo. Mi prendono in giro in continuazione.”
Mackenzie non riusciva a immaginare quale tormento dovesse essere, però questo le fece rispettare Hailey Lizbrook molto di più. Certo, di notte si spogliava per soldi, ma durante il giorno era una madre molto attenta ai suoi figli.
“Ho capito” disse Mackenzie. “Dato che sai del suo lavoro, ti puoi immaginare il tipo di uomini che frequentano quel posto, vero?”
Kevin annuì e Mackenzie vide la prima lacrima scivolargli lungo la guancia. Fu tentata di stringergli la mano per confortarlo, ma non voleva inimicarselo.
“Adesso prova a pensare se tua madre sia mai tornata a casa particolarmente turbata o arrabbiata per qualcosa. Devi anche cercare di ricordare se c’è stato qualche uomo con cui lei...insomma, un uomo che si è portata a casa.”
“Non veniva mai nessuno a casa con lei” rispose. “E non ho quasi mai visto la