PROLOGO
Era nascosto all’ombra della recinzione di un parcheggio e fissava l’edificio di mattoni a tre piani dall’altra parte della strada. Immaginava che per qualcuno fosse l’ora della cena, un momento in cui le famiglie si riunivano, ridevano e si scambiavano storie sulla giornata.
Storie. Sbuffò. Le storie erano per i deboli.
Un fischio spezzò il silenzio. Il fischio di una donna. Henrietta Venemeer camminava fischiettando. Così felice, pensò lui. Così ignara.
A quella vista la sua rabbia crebbe, una rabbia bruciante che gli tinse di rosso il campo visivo. Chiuse gli occhi e fece un paio di respiri profondi per acquietarla. Un tempo le droghe lo avevano aiutato con la rabbia. Lo avevano calmato e gli avevano mantenuto la mente libera e distesa, ma negli ultimi tempi neanche i farmaci servivano. Gli occorreva qualcosa di più potente per aiutarlo a riequilibrare la sua vita.
Qualcosa di cosmico.
Sai che cosa devi fare, ricordò a se stesso.
La donna era esile e avanti con gli anni, con una folta capigliatura rossa e un atteggiamento positivo che permeava ogni suo movimento: i fianchi ondeggiavano come se stesse ballando a un ritmo tutto suo e la sua andatura era vispa. Portava una busta della spesa ed era diretta verso il palazzo di mattoni in quella parte sperduta di East Boston.
Adesso, ordinò a se stesso.
Mentre la donna raggiungeva l’edificio e armeggiava con le chiavi, lui lasciò il suo nascondiglio e attraversò la strada.
Lei aprì il portone del palazzo e entrò.
Prima che la porta si richiudesse, l’uomo infilò un piede nell’apertura. La telecamera puntata sull’atrio era stata resa inoffensiva in precedenza; aveva spruzzato uno strato di gel trasparente sulla lente per oscurare le immagini, lasciando al tempo stesso l’illusione che funzionasse normalmente. Anche la seconda porta dell’atrio era stata neutralizzata, la sua serratura era stata facile da rompere.
La donna aveva ancora un fischio sulle labbra mentre svaniva su per una rampa di scale. Lui la seguì dentro il palazzo, senza preoccuparsi della gente in strada o delle telecamere degli altri palazzi che avrebbero potuto riprenderlo. Aveva già studiato tutto e i tempi del suo attacco erano allineati con l’universo.
Quando la donna raggiunse il terzo piano e stava per aprire il proprio portone, lui le arrivò alle spalle. La porta si aprì e mentre entrava, l’uomo la afferrò per il mento e le tappò la bocca con un palmo, soffocando le sue grida.
Poi entrò e chiuse la porta dietro di sé.
CAPITOLO UNO
Avery Black uscì dal parcheggio con la sua nuova e vistosa auto, una Ford nera a quattro porte da agente in borghese, e sorrise tra sé e sé. L’odore di macchina nuova e la sensazione del volante sotto le mani le davano un senso di gioia, come di un nuovo inizio. La vecchia BMW bianca che aveva comprato quando era avvocato, un ricordo costante della sua vita precedente, era finalmente sparita.
Evvai! esultò dentro di sé, come faceva quasi ogni volta che si sedeva dietro al volante. La nuova auto aveva finestrini oscurati, cerchioni neri e sedili in pelle, ed era persino dotata di una fondina per il fucile, un computer integrato nel cruscotto e luci della polizia nella griglia, ai finestrini e negli specchietti retrovisori. Per di più, quando i lampeggianti erano spenti, sembrava un veicolo come tutti gli altri in strada.
L’invidia di ogni poliziotto, pensò.
Alle otto in punto andò a prendere il suo partner, Dan Ramirez. Come sempre, lui era perfetto sotto ogni punto di vista: capelli neri pettinati all’indietro, pelle abbronzata, occhi scuri e agghindato con abiti eleganti. Una camicia giallo canarino spuntava sotto la giacca cremisi. Indossava pantaloni rossi, una cintura marrone chiaro e scarpe della stessa tinta.
“Dovremmo fare qualcosa stasera,” attaccò lui. “È l’ultima notte in cui siamo di turno. Sarà anche un mercoledì, ma è come se fosse venerdì.”
Le fece un sorriso caloroso.
A sua volta Avery sbatté le ciglia sugli occhi azzurro ghiaccio e gli lanciò un sorrisetto rapido e affettuoso, ma poi la sua espressione tornò subito impassibile. Si concentrò sulla strada e dentro di sé si domandò cosa avrebbe fatto della sua relazione con Dan Ramirez.
Non che il termine ‘relazione’ fosse del tutto accurato.
Da quando aveva fatto fuori Edwin Pesh, uno dei serial killer più strani nella storia di Boston, il suo partner le aveva espresso i suoi sentimenti e Avery gli aveva lasciato capire di provare un interesse simile. Le cose non erano procedute oltre. Avevano cenato insieme, si erano scambiati sguardi amorosi e si erano tenuti per mano.
Ma Avery era preoccupata per lui. Sì, era affascinante e rispettoso. Le aveva salvato la vita durante il fiasco con Edwin Pesh e le era quasi sempre rimasto a fianco durante la sua convalescenza. E tuttavia era il suo partner. Si vedevano cinque giorni alla settimana se non di più, dalle otto del mattino alle sei, le sette o anche oltre, a seconda dei casi. E Avery non aveva una relazione da anni. L’unica volta che si erano baciati, le era sembrato di essere con Jack, il suo ex marito, e si era immediatamente ritratta.
Controllò l’orologio del cruscotto.
Erano in macchina da neanche cinque minuti e già Ramirez parlava di una cena. Devi parlargliene, capì. Ugh.
Mentre si dirigevano verso l’ufficio, Avery ascoltava la frequenza della polizia alla radio, come faceva ogni mattina. All’improvviso Ramirez mise su una stazione radiofonica che dava del jazz e per qualche isolato viaggiarono ascoltando musica mescolata a un operatore della polizia che descriveva le varie attività che stavano avendo luogo a Boston.
“Fai sul serio?” chiese Avery.
“Che cosa?”
“Come faccio a godermi la musica e ad ascoltare le chiamate? Mi confonde. Perché dobbiamo sentirli tutti e due allo stesso tempo?”
“Va bene, d’accordo,” rispose lui con finto disappunto, “ma sarà meglio che riesca ad ascoltare anche la mia musica, oggi. Mi fa sentire calmo e sereno, capisci?”
No, pensò Avery, non lo capisco.
Odiava il jazz.
Fortunatamente alla radio arrivò una chiamata che la salvò.
“Abbiamo un dieci-sedici, dieci-trentadue in atto sulla East Fourth Street vicino a Broadway,” disse una stridente voce femminile. “Non sono stati esplosi colpi. Ci sono delle auto nelle vicinanze?”
“Violenza domestica,” disse Ramirez, “e il tizio ha una pistola.”
“Siamo vicini,” rispose Avery.
“Occupiamocene noi.”
Girò l’auto, accese le luci e prese la ricetrasmittente.
“Qui parla la detective Black,” disse, dando il suo numero di distintivo. “Siamo a circa tre minuti