Figuriamoci, Caitlin pensò.
Era buio, specie per chi, come lei, proveniva da un giorno tanto luminoso, e le occorsero diversi secondi perchè gli occhi le tornassero a posto.
Eccolo. Sam. Seduto nel mezzo di un logoro divano, circondato da una dozzina di ragazzi. Gabe da un lato e Brock dall'altro.
Sam era curvo su un bong. Aveva appena finito di inalare; lo mise giù e si poggiò allo schienale, succhiando l'aria e trattenendo il fiato troppo a lungo. Alla fine rilasciò il fumo.
Gabe gli diede un colpetto, e Sam guardò in alto. Stordito, posò lo sguardo su Caitlin. I suoi occhi erano iniettati di sangue.
Caitlin ebbe una fitta di dolore allo stomaco. Era più che delusa. Credeva che fosse tutta colpa sua. Ripensò all'ultima volta che si erano visti, a New York, quando avevano litigato. Le sue parole dure. “E allora vai!” gli aveva gridato. Perchè doveva essere sempre così dura? Perchè non poteva avere la possibilità di rimediare?
Ora era troppo tardi. Se lei avesse scelto delle parole diverse, forse le cose ora sarebbero state differenti.
Provò anche un'ondata di rabbia. Rabbia verso i Coleman, rabbia verso tutti i ragazzi in quel fienile, che se ne stavano seduti su quel divano e su sedie logore, su balle di fieno, tutti lì a bere, fumare e a non fare niente della propria vita. Erano liberi di non fare nulla della propria vita. Ma non erano liberi di trascinare anche Sam con loro. Lui era migliore di loro. Non aveva mai avuto una guida. Non aveva mai potuto contare su una figura paterna, non aveva mai ricevuto una forma di gentilezza da parte della loro madre. Era un figlio meraviglioso, e lei sapeva che avrebbe potuto essere il primo della classe ora, se avesse avuto una casa anche solo semi-stabile.
Ma ad un certo punto, era troppo tardi. Lui aveva appena smesso di preoccuparsi.
Fece diversi passi verso di lui. “Sam?” chiese.
Il ragazzo si limitò a fissarla, senza dire una sola parola.
Era difficile stabilire che cosa ci fosse in quello sguardo. Era causato dalle droghe? Stava fingendo che non gli importasse? O semplicemente non gli importava?
Il suo sguardo apatico le fece più male di ogni altra cosa. Lei credeva che sarebbe stato felice di vederla, alzandosi e abbracciandola. Ma non questo. Sembrava che proprio non gli importasse. Come se lei fosse una perfetta estranea. Si stava comportando in quel modo solo per compiacere gli amici? Oppure lei aveva rovinato tutto per sempre stavolta?
Trascorsero diversi secondi, e infine, il ragazzo rivolse altrove il suo sguardo, passando il bong ad uno degli amici. Continuò a guardare gli altri amici, ignorandola.
“Sam!” disse lei, alzando la voce, con il volto corrugato dalla rabbia. “Sto parlando con te!”
Lei ascoltò le risatine dei suoi amici sfigati, e sentì la rabbia salirle ad ondate nel suo corpo. Stava cominciando a provare qualcos'altro. Istinto animale. La rabbia dentro di lei stava raggiungendo dei livelli talmente alti, che difficilmente sarebbe riuscita a controllarla e iniziò a temere che presto sarebbe esplosa. Non era più umana. Stava diventando animale.
Questi ragazzi erano grossi, ma la forza che le stava aumentando nelle vene le suggerì che avrebbe potuto sbarazzarsi di ognuno di loro in un istante. Stava faticando a contenere la sua rabbia, e sperò di essere abbastanza forte da riuscirci.
Al contempo, il Rottweiler riprese a ringhiare, e si avvicinò a lei lentamente. Sembrava come se avvertisse l'arrivo di qualcosa.
Lei sentì una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Caleb. Lui era sempre lì. Doveva aver sentito la rabbia crescerle dentro, l'istinto animale tra di loro. Stava cercando di calmarla, dicendole di controllarsi, di non esplodere. La sua presenza la rassicurò. Ma non era semplice.
Sam alla fine si voltò e la guardò. C'era disprezzo nei suoi occhi. Era ancora fuori di sè. Era ovvio.
“Che cosa vuoi?” le chiese di scatto.
“Perchè non sei a scuola?” fu la prima cosa che lei si sentì pronunciare. Non era proprio certa di averlo detto, specialmente data l'enorme portata delle cose che avrebbe voluto chiedergli. Ma l'istinto materno era emerso. Ed era stato quello che le era venuto fuori.
Altre risatine. La rabbia emerse.
“Che cosa te ne importa?” le disse. “Mi hai detto di andarmene.”
“Mi dispiace,” lei disse. “Non intendevo questo.”
Era contenta di aver avuto una possibilità di dirlo.
Ma non bastò a scuoterlo. Lui se ne stava semplicemete a guardarla.
“Sam, ho bisogno di parlarti. In privato,” gli disse.
Voleva che lui lasciasse quell'ambiente e uscisse all'aria fresca, da soli, dove avrebbero potuto parlare veramente. Lei non voleva soltanto sapere del loro padre; voleva anche solo parlare con lui, proprio come avevano sempre fatto. E voleva avere la possibilità di dirgli della mamma. Gentilmente.
Ma non sarebbe successo. Lei riuscì a rendersene conto ora. Le cose si stavano capovolgendo. La ragazza sentì che la forza in quel fienile sovraffollato era davvero troppo oscura. Troppo violenta. Sentiva che stava perdendo il controllo. Nonostante la mano di Caleb, non riusciva a fermare quello che sentiva montarle dentro, qualunque cosa fosse.
“Sto bene qui” Sam disse.
Lei poteva sentire le altre risatine dei ragazzi.
“Perchè non ti rilassi?” uno dei giovani le disse. “Mi sembri molto nervosa. Vieni a sederti. Fatti un tiro.”
Le porse il bong.
Lei si voltò a guardarlo.
“Perchè non t'infili quel bong su per il culo?” lei disse, digrignando i denti.
Un coro di incitamento giunse dal gruppo dei ragazzi. “Oh, TACI!” gridò uno di loro.
Il ragazzo che le aveva offerto il tiro, un ragazzo grosso e muscoloso, e che lei sapeva aveva giocato nella squadra di football, divenne rosso acceso.
“Che cosa mi hai detto, puttana?” le chiese, fermo in piedi.
Lei guardò in alto. Era molto più alto di quanto ricordasse, almeno 1.98cm. Riusciva a sentire la stretta di Caleb sulla sua spalla intensificarsi e non capiva a che cosa fosse dovuto, se perchè lui stesse cercando disperatamente di calmarla o perchè non era tranquillo.
La tensione nella stanza crebbe drammaticamente.
Il Rottweiler strisciò più vicino. Ora distava soltanto pochi metri. E ringhiava fortissimo.
“Jimbo, calmo,” Sam disse al ragazzone.
Quello era il Sam protettivo. Non importava il motivo, ma era protettivo con lei. “E' una rompipalle, ma non intendeva risponderti in quel modo. E' pur sempre mia sorella. Rilassati.”
“Volevo invece,” Caitlin gridò, mostrandosi più arrabbiata che mai. “Voi ragazzi credete di essere così fighi? Trascinando con voi mio fratello minore? Siete solo un branco di perdenti. Non andrete da nessuna parte. Volete solo incasinarvi la vita, fate pure, ma non ci porterete Sam!”
Jimbo sembrò persino più arrabbiato, se possibile. Si avvicinò di qualche passo verso di lei, con fare minaccioso.
“Ecco, Signorina Maestra. Signorina Mammina. Ecco che ci dice che cosa fare!”
Un coro di risate.
“Perchè tu e il tuo amico frocetto non venite qui a picchiarmi!”
Jimbo si fece più vicino e, con l'enorme palmo della sua mano, spinse Caitlin sulla spalla.
Grosso errore.
La rabbia esplose in Caitlin, al di là di ogni possibilità di controllo. Nell'attimo in cui il dito di Jimbo la toccò, a gran velocità gli prese il polso e lo girò al contrario. Si sentì un forte crack, nel momento in