Si incamminarono lungo le affollate vie della Corte del Re, diretti verso la guaritrice. Gwen pregava solo che non fosse troppo tardi.
CAPITOLO TRE
Thor era lanciato al galoppo sul terreno polveroso, ormai lontano dalla Corte del Re. Reece, O’Connor, Elden e i gemelli erano al suo fianco, Krohn correva dietro di lui, Kendrick, Kolk, Brom e altri uomini della Legione e dell’Argento erano con loro: un esercito grandioso pronto a scontrarsi con i McCloud. Procedevano tutti insieme, pronti a liberare la città. Il rumore degli zoccoli dei cavalli era assordante, rombante come un tuono. Avanzavano da una giornata intera e il secondo sole era già alto in cielo. Thor stentava a credere che stava galoppando insieme a tutti quei grandi guerrieri nel mezzo della sua prima vera impresa militare. Si sentiva parte di quell’esercito, accettato come uno di loro. In effetti tutta la Legione era stata convocata in qualità di riserva, e i suoi fratelli d’armi erano attorno a lui. I membri della Legione erano nettamente inferiori ai componenti dell’Esercito del Re, e Thor – per la prima volta in vita sua – si sentì un tassello di qualcosa di veramente grande.
Si sentiva anche guidato da un forte senso di fermezza, convinzione nel proprio obiettivo. Sentiva che avevano bisogno di lui. I suoi cittadini si trovavano sotto l’assedio dei McCloud ed era compito del loro esercito liberarli, salvare la loro gente da un destino orribile. L’importanza di ciò che stavano facendo pesava su di lui e lo faceva sentire vivo.
Thor si sentiva sicuro al cospetto di tutti quegli uomini, ma provava anche un senso di preoccupazione: quello era un esercito di uomini veri, ma ciò significava anche che stavano per scontrarsi con un altro esercito di uomini altrettanto reali. Veri e propri forti guerrieri. Questa volta di trattava di vita o di morte, e c’era molto più in ballo ora qui che mai nelle situazioni vissute in passato. Mentre avanzava allungò istintivamente una mano a toccare la sua fidata fionda e la sua nuova spada, rassicurato dalla loro presenza. Si chiese se entro la fine del giorno sarebbero state macchiate di sangue. O se lui stesso sarebbe stato ferito.
Improvvisamente il loro esercito eruppe in un forte grido che sovrastò addirittura il rumore degli zoccoli dei cavalli, mentre svoltavano a una curva e scorgevano all’orizzonte la città assediata. Fumo nero saliva al cielo formando grosse nuvole, e i MacGil spronarono i cavalli acquistando velocità. Anche Thor spinse di più il suo cavallo, cercando di restare al passo con gli altri mentre tutti sguainavano le spade, sollevavano le armi e si dirigevano con determinazione letale verso la città.
L’enorme esercito si divise in piccoli gruppi e in quello di Thor si vennero a trovare dieci soldati, membri della Legione: i suoi amici e pochi altri che non conosceva. Alla loro testa procedeva un comandante anziano dell’Esercito del Re, un soldato che gli altri chiamavano Forg: un uomo alto e magro dalla corporatura atletica, la pelle butterata, i capelli corti grigi e gli occhi scuri e infossati. L’esercito di stava scomponendo e dirigendo in ogni direzione.
“Questo gruppo mi segua!” ordinò facendo un gesto con la sua spada verso Thor e gli altri perché si staccassero dalla massa e lo seguissero.
Il gruppetto di Thor obbedì e si mise al seguito di Forg separandosi dal resto dell’esercito. Thor si guardò alle spalle e notò che il suo gruppo si era allontanato più degli altri e l’esercito si stava facendo sempre più distante. Proprio mentre Thor si stava chiedendo dove stessero andando, Forg gridò:
“Prenderemo posizione a lato dei McCloud!”
Thor e gli altri si scambiarono uno sguardo nervoso ed eccitato continuando a galoppare, proseguendo fino a che il resto dell’esercito scomparve alla vista.
Si trovarono subito in un terreno nuovo, e la città svanì completamente all’orizzonte. Thor restava in guardia, ma non vi era più traccia dell’esercito dei McCloud da nessuna parte.
Alla fine Forg fece fermare il suo cavallo alle pendici di una piccola collina, in una macchia di alberi. Gli altri si fermarono dietro di lui.
Thor e gli altri guardarono Forg, chiedendosi perché si fosse fermato.
“Restiamo qui, questa è la nostra missione,” spiegò loro. “Siete ancora guerrieri giovani, quindi vogliamo risparmiarvi il cuore della battaglia. Manterrete questa posizione mentre l’esercito principale attraverserà la citta e affronterà l’esercito dei McCloud. È improbabile che alcuni dei McCloud vengano da questa parte e sarete quindi più al sicuro qui. Prendete posizione qua attorno e rimanete qui fino a che non vi daremo ulteriori ordini. Non muovetevi!”
Forg spronò il cavallo iniziando a risalire la collina. Thor e gli altri fecero lo stesso e lo seguirono. Il gruppetto attraversò il versante polveroso, sollevando una nuvola: non c’era nessuno all’orizzonte per quanto Thor potesse vedere. Era contrariato per essere stato allontanato dall’azione principale: perché li proteggevano così tanto?
Più avanzavano più in Thor si innescò un presentimento. Non riusciva a capire completamente di cosa si trattasse, ma il suo sesto senso gli diceva che c’era qualcosa che non andava.
Quando raggiunsero la cima della collina, dove si trovava un piccolo e antico torrione – una torre alta e stretta che pareva abbandonata – qualcosa disse a Thor di guardarsi alle spalle. In quel momento vide Forg. Si stupì che il comandante avesse lentamente lasciato terreno al gruppo, rimanendo sempre più indietro, e mentre Thor lo guardava lo vide voltarsi, spronare il cavallo e, senza avvertimento, galoppare nell’altra direzione.
Thor non capiva cosa stesse accadendo. Perché Forg li aveva lasciati così all’improvviso? Dietro di lui Krohn gemette.
Proprio quando Thor stava iniziando a capire cosa stava succedendo, raggiunsero la cima della collina, l’antico torrione, aspettandosi di vedere nient’altro che terra deserta davanti a loro.
Ma il piccolo gruppo della Legione fu costretto a fermare di colpo i cavalli. Rimasero lì, tutti pietrificati da quanto avevano di fronte ai loro occhi.
Lì, davanti a loro, c’era l’intero esercito dei McCloud.
Erano finiti dritti in trappola.
CAPITOLO QUATTRO
Gwendolyn percorreva di corsa le intricate vie della Corte del Re, Akorth e Fulton la seguivano trasportando Godfrey e lei si faceva strada a forza tra la gente del popolo. Era determinata a raggiungere la guaritrice il prima possibile. Godfrey non poteva morire, non dopo tutto quello che avevano passato insieme, e non certo a quel modo. Riusciva quasi a figurarsi il sorriso pieno di soddisfazione di Gareth mentre riceveva la notizia della morte del fratello, e lei era decisa a cambiare le carte in tavola. Avrebbe solo voluto averlo trovato prima.
Quando Gwen svoltò a un angolo ed entrò nella piazza della città, la folla divenne particolarmente fitta. Lei sollevò lo sguardo e vide Firth, ancora appeso alla trave, il cappio stretto attorno al suo collo, penzolante davanti agli occhi di tutti. Distolse istintivamente lo sguardo. Era una visione orribile, un promemoria della scelleratezza di suo fratello. Si sentiva come se fosse impossibile sfuggire alle sue grinfie, ovunque andasse. Era strano pensare che appena il giorno prima aveva parlato con Firth, e che ora lui era appeso lì. Non poteva fare a meno di pensare che la morte la stava circondando, e forse avrebbe preso anche lei.
Per quanto Gwen desiderasse voltarsi e prendere una strada diversa, sapeva che dirigendosi attraverso la piazza avrebbe fatto prima, e non si lasciò quindi deviare dalle sue paure: si sforzò di passare proprio accanto al patibolo, vicino al corpo appeso. Lì si sorprese di vedere il boia di palazzo, vestito di nero, a bloccarle la strada.
Inizialmente pensò che stesse per uccidere anche lei, ma poi si inchinò.
“Mia signora,” disse umilmente, abbassando il capo in segno di rispetto. “Non abbiamo ancora ricevuto ordine di cosa fare del corpo. Non mi è stato detto se seppellirlo a dovere o se gettarlo nella fossa comune dei poveri.”
Gwen si fermò, scocciata che una decisione del genere dovesse ricadere sulle sue spalle. Akorth e Fulton le si fermarono accanto. Lei sollevò lo sguardo, strizzò gli occhi per il sole e guardò il corpo che penzolava a pochi metri