“Stai fermo!” gli gridò duramente, sperando che il ragazzo lo ascoltasse.
Finalmente il giovane si arrese. Thor provò un momentaneo sollievo, fino a che udì un rumore nell’acqua che lo indusse a voltarsi: proprio accanto a lui era emersa un’altra creatura, piccola, con la testa gialla e quattro tentacoli. Aveva la testa quadrata e nuotava proprio verso di lui, ringhiando e agitandosi. Sembrava un serpente a sonagli proveniente dal mare, a parte per la testa troppo squadrata. Thor si preparò mentre il mostro si avvicinava, pronto ad essere colpito, ma poi improvvisamente la creatura aprì la bocca e gli sputò addosso acqua marina. Thor strizzò gli occhi, cercando di eliminare l’acqua.
La creatura continuò a nuotare loro attorno, disegnando dei cerchi, e Thor raddoppiò i suoi sforzi nuotando più velocemente e cercando di allontanarsi.
Stava effettivamente procedendo bene, avvicinandosi alla barca, quando improvvisamente un’altra bestia emerse dall’altro lato. Era lunga, stretta e arancione, con due zanne nella bocca e decine di piccole gambe. Aveva anche una lunga coda che usava come una frusta agitandola in ogni direzione. Sembrava un’aragosta in posizione eretta. Procedeva a pelo d’acqua come un insetto d’acqua e avanzava verso Thor piegandosi di lato e agitando la coda. Colpì il braccio di Thor e lui gridò per il dolore.
La creatura sfrecciava avanti e indietro, continuando a lanciare codate. Thor avrebbe voluto sguainare la propria spada e attaccare quella bestia, ma aveva solo una mano libera e doveva nuotare.
Krohn, che gli nuotava accanto, si voltò e ringhiò alla bestia, un rumore da far rizzare i capelli, tanto che spaventò il mostro che scomparve sotto la superficie dell’acqua. Thor tirò un sospiro di sollievo, fino a che la creatura improvvisamente ricomparve dall’altra parte, colpendolo un’altra volta. Krohn si voltò e iniziò a inseguirla, cercando di prenderla schioccando i denti senza mai riuscire ad acciuffarla.
Thor continuò a nuotare, rendendosi conto che l’unico modo per mettersi in salvo era uscire da quel mare. Dopo un tempo che sembrò interminabile, nuotando più veloce di quanto avesse mai potuto, riuscì ad avvicinarsi alla barca a remi che oscillava violentemente tra le onde. Appena la raggiunse, due membri della Legione, ragazzi più grandi che mai avevano rivolto la parola a Thor e ai suoi amici, si prodigarono per aiutarlo. A loro onore si piegarono in avanti e gli porsero la mano.
Thor aiutò prima il ragazzo, allungando le braccia e spingendolo verso la barca. I ragazzi l’afferrarono per le braccia e lo trascinarono a bordo.
Thor prese poi Krohn e lo tirò fuori dall’acqua facendo salire anche lui sulla barca. Krohn grattò il pianale della barca con gran rumore con tutte e quattro le zampe, gocciolante e scrollandosi l’acqua di dosso. Scivolò sul fondale umido, passando da una parte all’altra dell’imbarcazione. Poi si ritirò in piedi, si voltò e corse verso il bordo per cercare Thor. Guardò verso l’acqua e guaì.
Thor afferò la mano di uno dei ragazzi e proprio mentre si stava tirando sulla barca sentì improvvisamente qualcosa di forte e muscoloso che gli si attorcigliava attorno alla gamba dalla caviglia alla coscia. Si voltò per guardare in basso e rimase pietrificato alla vista di una creatura verdognola simile a un calamaro che lo aveva afferrato con uno dei suoi tentacoli.
Thor gridò di dolore avvertendo degli aculei che gli perforavano la carne.
Si rese conto che se non avesse fatto qualcosa velocemente, per lui sarebbe finita. Portò la mano libera alla cintura, estrasse il pugnale corto e colpì il tentacolo. Ma era troppo spesso e il pugnale non riuscì neanche a intaccarlo.
Ma il gesto fece arrabbiare il mostro: la sua testa improvvisamente emerse, verde, senza occhi e con due mandibole sul lungo collo, una sopra l’altra. La bestia aprì le sue file di denti affilati e si chinò verso Thor. Thor sentiva il sangue che gli scorreva dalla gamba e capì che doveva agire velocemente. Nonostante gli sforzi del ragazzo che stava cercando di tenerlo e tirarlo su, la presa di Thor stava scivolando e lui stava ridiscendendo verso l’acqua.
Krohn continuava a mugolare, il pelo della schiena ritto, piegato in avanti come fosse pronto a saltare in acqua. Ma addirittura Krohn sapeva che sarebbe stato inutile attaccare quella cosa.
Uno dei ragazzi più grandi si fece avanti e gridò:
“ABBASSATI!”
Thor abbassò la testa mentre il ragazzo tirava la lancia. Fendette l’aria ma mancò il bersaglio, volando innocua e andando ad affondare nell’acqua. La creatura era troppo stretta e troppo veloce.
Improvvisamente Krohn saltò dalla barca ributtandosi in acqua e atterrando con le fauci aperte e i denti digrignati sul retro del collo della creatura. Krohn ruotò e scosse la bestia a destra e a sinistra, senza mai lasciare la presa.
Ma era una battaglia inutile: la pelle del mostro era troppo spessa e le fibre troppo muscolose. Sbatté Krohn da una parte e dall’altra fino a farlo volare in acqua. Nel frattempo strinse la presa sulla gamba di Thor: il ragazzo sentiva che l’ossigeno gli stava venendo a mancare. I tentacoli bruciavano da morire e aveva l’impressione che la gamba gli si stesse per staccare dal corpo.
Con un ultimo disperato tentativo Thor lasciò andare la mano del ragazzo e con un unico movimento ruotò su se stesso raggiungendo la spada che gli stava appesa alla cintura.
Ma non riuscì ad afferrarla in tempo: scivolò e ruotò, cadendo di faccia nell’acqua.
Si sentì trascinare via, lontano dalla barca: la creatura lo stava trascinando nel mare. Lo tirò all’indietro, sempre più veloce, e mentre lui cercava di allungare le mani senza risultato, vedeva l’imbarcazione che scompariva davanti a lui. Subito dopo si sentì trascinare verso il basso, sotto la superficie dell’acqua, giù nel profondo del Mare del Fuoco.
CAPITOLO NOVE
Gwendolyn correva in un prato e suo padre, MacGil, era acccanto a lei. Lei era più giovane, aveva forse dieci anni, e anche suo padre appariva piuttosto giovane. Aveva la barba corta, senza alcun segno del grigio che sarebbe poi comparso più avanti negli anni, e la sua pelle era liscia, senza rughe, fresca, splendente. Era felice, spensierato, e rideva di gusto mentre lei gli teneva la mano e insieme attraversavano il prato di corsa. Era questo il padre che ricordava, il padre che conosceva.
Lui la sollevò e se la mise in spalla, facendola girare più volte, ridendo sempre più forte e facendo morire anche lei dalle risate. Si sentiva al sicuro tra le sue braccia e voleva che quel momento non finisse mai.
Ma quando suo padre la mise giù, accadde qualcosa di strano. Improvvisamente la giornata passò da pomeriggio assolato a crepuscolo. Quando i piedi di Gwen toccarono terra, non si trovava più tra i fiori del prato, ma nel fango che le saliva fino alle caviglie. Ora suo padre giaceva nel fango, supino ad un passo da lei – più vecchio, molto più vecchio, troppo vecchio – ed era bloccato. Poco più in là, sempre nel fango, c’era la sua corona che luccicava.
“Gwendolyn,” rantolò MacGil. “Figlia mia. Aiutami.”
Sollevò una mano dal fango allungandola verso di lei, disperato.
Lei si sentì pervasa dall’urgenza di soccorrerlo e tentò di avvicinarsi a lui e afferrargli la mano. Ma i suoi piedi non volevano saperne di spostarsi. Abbassando lo sguardo vide che il fango si stava indurendo tutt’attorno a lei, diventando secco e scricchiolando. Lei oscillò e si dimenò cercando di liberarsi.
Sbatté gli occhi e si ritrovò in piedi sul parapetto del castello a guardare in basso, verso la Corte del Re. C’era qualcosa che non andava: mentre osservava non vide il solito splendore e gli abituali festeggiamenti: ora c’era un cimitero che si allargava a macchia d’olio. Dove una volta c’era lo sfavillante splendore della Corte del Re, ora c’erano tombe appena scavate che si estendevano a perdita d’occhio.
Udì un rumore di passi e il cuore le si fermò un momento quando voltandosi vide un assassino: indossava un mantello nero con cappuccio e si avvicinava a lei. Le corse incontro tirandosi giù il cappuccio e mostrando un volto grottesco, senza un occhio e una spessa cicatrice frastagliata