Ma non conoscevano il grande Andronico. Disprezzava chi si arrendeva. Non catturava prigionieri, e l’abbassare le armi gli aveva solo reso le cose più facili.
Le strade della città di McCloud furono presto inondate dal sangue, mentre gli uomini di Andronico facevano piazza pulita in ogni vicolo, in ogni via, massacrando ogni anima incontrassero. Le donne e i bambini venivano catturati e fatti schiavi, come sempre. Le case saccheggiate una per una.
Ora Andronico avanzava lentamente tra le vie, osservando i segni del suo trionfo e vedendo cadaveri ovunque, il bottino accumulato, le case distrutte. Si voltò e fece cenno a uno dei suoi generali che immediatamente sollevò una torcia e diede il via ai suoi uomini: centinaia di soldati si aprirono a ventaglio sulla città dando fuoco ai tetti di paglia. Le fiamme si levarono tutt’attorno a loro, alte verso il cielo, e Andronico già ne sentiva il calore.
“NO!” gridò McCloud, dimenandosi a terra dietro di lui.
Andronico sorrise e allungò il passo, diretto verso una roccia piuttosto grande. Si udì subito un colpo che gli diede grande soddisfazione, consapevole che il corpo di McCloud vi aveva sbattuto contro.
Era meraviglioso veder bruciare quella città. Come aveva fatto per ogni luogo conquistato dall’Impero, l’avrebbe prima rasa al suolo, per poi ricostruirla con i suoi uomini, i suoi generali, il suo Impero. Era così che funzionava. Non lasciava mai traccia del vecchio. Voleva costruire un nuovo mondo. Il mondo di Andronico.
L’Anello, il sacro Anello che era sfuggito a tutti i suoi antenati, era ora territorio suo. Riusciva a stento a crederci. Fece un respiro profondo pensando alla sua grandezza. Presto avrebbe attraversato l’Altopiano e avrebbe conquistato anche l’altra metà di Anello. Dopodiché non ci sarebbe stato alcun luogo sul pianeta dove il suo piede non fosse passato.
Andronico si avvicinò alla torreggiante statua di McCloud, nella piazza cittadina, e vi si fermò davanti. Era fatta di marmo e si ergeva di oltre quindici metri, come una sorta di tempio. Mostrava una versione di McCloud che Andronico non conosceva: un McCloud in forma e muscoloso, che brandiva coraggiosamente una spada. Era egomaniacale. Per quell’aspetto lo ammirava. Una parte di lui avrebbe voluto prendere quella statua e portarla a casa, collocarla come un trofeo nel suo palazzo.
Ma un’altra parte ne era troppo disgustata. Senza pensarci due volte prese la sua fionda – tre volte più grande di quella di qualsiasi essere umano, abbastanza larga per potervi mettere un piccolo masso – e tirò con tutta la propria forza.
La roccia volò in aria e andò a colpire la testa della statua, che esplose in mille pezzi staccandosi dal corpo. Andronico poi gridò, sollevò il suo mazzafrusto e lo calò sul resto del monumento.
Frantumò il busto di marmo e i pezzi caddero a terra con grande frastuono. Andronico girò poi il suo cavallo e si assicurò che, avanzando, il corpo di McCloud si grattasse e graffiasse sui frammenti.
“Pagherai per questo!” gridò debolmente e agonizzante McCloud.
Andronico rise. Aveva incontrato molti uomini nella sua vita, ma quello era forse il più patetico di tutti.
“Davvero?” gli gridò in risposta.
Quel McCloud era troppo ottuso, ancora non apprezzava il potere del grande Andronico. Aveva bisogno di una lezione, una volta per tutte.
Andronico osservò la città e i suoi occhi caddero su quello che era senza dubbio il castello di McCloud. Spronò il cavallo e partì al galoppo, seguito dai suoi uomini, mentre McCloud veniva trascinato in terra attraverso il cortile.
Risalì le decine di gradini di marmo e il corpo di McCloud rimbalzò dietro di lui, gridando e gemendo a ogni scalino. Poi proseguì attraverso l’ingresso. I suoi uomini erano già di guardia al portone, ai loro piedi i cadaveri insanguinati delle precedenti guardie. Andronico sorrise soddisfatto constatando che ogni angolo della città era già suo.
Oltrepassò i grandi portoni del castello ed entrò in un corridoio dall’alto soffitto a volta, completamente fatto di marmo. Si meravigliò per gli eccessi di quel re. Era chiaro che non aveva badato a spese per concedersi i lussi che voleva.
Ora era giunta la sua ora. Andronico proseguì a cavallo lungo gli ampi corridoi, sempre seguito dai suoi uomini. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano tra le pareti e il gruppo giunse a quella che aveva tutto l’aspetto di essere la sala del trono. Fecero irruzione attraverso la porta di quercia e si portarono al centro della stanza, vicino a un volgare ed eccessivo trono d’oro lavorato, collocato al centro della sala.
Andronico smontò da cavallo, salì lentamente i gradini dorati e vi si sedette.
Respirò profondamente scrutando da lì i suoi uomini, le decine di generali a cavallo in attesa di un suo comando. Guardò il corpo sanguinante di McCloud, ancora legato al suo cavallo, gemente. Osservò la stanza, esaminò le pareti, gli arazzi, le armature, le armi. Osservò la maestria con cui il trono era stato cesellato e se ne stupì. Prese in considerazione l’idea di fonderlo, o magari portarlo indietro intero. Avrebbe magari potuto darlo in dono a uno dei suoi generali minori.
Ovviamente quel trono non assomigliava neanche lontanamente al suo, il trono più grande e massiccio di tutti i regni, che aveva richiesto il lavoro di venti artigiani per quarant’anni. La costruzione aveva avuto inizio ai tempi di suo padre ed era stata completata nel giorno in cui Andronico l’aveva ucciso. Tempismo perfetto.
Guardò McCloud, quel patetico omuncolo, e si chiese come poterlo far soffrire al meglio. Esaminò la forma e la misura del suo cranio e decise che gliel’avrebbe perforato per inserirlo nella catena che portava al collo, insieme alle altre teste che già vi pendevano. Eppure si rendeva conto che prima di ucciderlo aveva bisogno di tempo per smagrirgli il volto, far incavare le guance, in modo che stesse meglio sulla sua collana. Non voleva che una faccia grassa e floscia rovinasse il risultato estetico del suo gioiello. Lo avrebbe lasciato vivere quanto bastasse, e nel frattempo lo avrebbe torturato. Sorrise tra sé e sé. Sì, era davvero un bel piano.
“Portatelo qui,” ordinò Andronico a uno dei suoi generali con il suo consueto ringhio profondo e gutturale.
Il generale balzò a terra senza un solo secondo di esitazione, si avvicinò velocemente a McCloud, tagliò la fune e trascinò il corpo sanguinante sul pavimento, macchiandolo di rosso, e lo lasciò ai piedi di Andronico.
“Non puoi passarla liscia!” bofonchiò debolmente McCloud.
Andronico scosse la testa: quell’umano non avrebbe mai imparato.
“Eccomi qui, seduto sul tuo trono,” disse Andronico. “E guarda dove sei tu, disteso ai miei piedi. Io direi che la passerò liscia in tutto e per tutto. Direi che l’ho già fatto.”
McCloud rimase a terra, gemente e tremante.
“Il primo punto del mio ordine del giorno,” disse Andronico, “sarà di insegnarti a prestare il dovuto rispetto al tuo nuovo re e padrone. Vieni da me ora, e ricevi l’onore di essere il primo a inginocchiarsi davanti a me nel mio nuovo regno, il primo a baciare la mia mano e a chiamarmi re di ciò che prima era la parte di Anello appartenente ai McCloud.”
McCloud sollevò lo sguardo, si alzò appoggiandosi su mani e ginocchia e fece una smorfia ad Andronico.
“Mai!” disse, voltandosi e sputando sul pavimento.
Andronico scoppiò a ridere. Si stava divertendo di cuore. Era un bel po’ che non incontrava un umano così pieno di forza di volontà.
Si voltò e fece un cenno. Uno dei suoi uomini afferrò McCloud alle spalle, un altro gli tenne ferma la testa e un terzo si fece avanti con un lungo rasoio. Vedendolo avvicinarsi McCloud tremò di paura.
“Cosa avete intenzione di fare?” chiese terrorizzato, con voce alta e stridula.
L’uomo abbassò il rasoio e con un colpo netto gli tagliò metà della barba. McCloud lo guardò disorientato, chiaramente