“Va bene. Dimmi di che cosa si tratta, così ti aiuto anch’io a cercarla.” Mi ero già sdraiato sul letto con la testa penzoloni per ispezionarne la parte sottostante. “Come, non te l’ho detto? È il mio sonno quello che ho perso.”
“Il tuo sonno? Tu te ne vai in giro di notte per la città e poi te ne stai a testa in giù sotto il tuo letto per cercare il tuo sonno? Questa sì che è buona. ... Il tuo sonno ... Sei proprio forte! ...” Proruppe in una risata sonora e sincera, e sembrava non riuscire a contenersi. Ed io, per vederla ridere, mi contorsi ancora di più, persi l’equilibrio e scivolai giù dal letto picchiando la testa sul pavimento. Che male!
Le risate continuavo a sentirle, sebbene attutite: mi sembrava però che venissero dalla strada. Appena mi ripresi dalla botta e fui in grado di alzarmi a sedere, rovistai con lo sguardo la stanza per trovarci una ragazza, ma invano. Scoprii invece di essere in pigiama e che il letto era tutto disfatto. La maga aveva ragione: avevo ritrovato il mio sonno prima del pomeriggio, senza bisogno dell’aiuto di un dottore. Doveva esser stato tutto un sogno, tranne probabilmente la botta in testa di cui continuavo a risentire.
Bene, ora mi aspettava un’altra giornata di riposo dopo la fatica dell’ultimo esame. Già pensavo a come potermi organizzare la serata, con una bella passeggiata da casa all’università, magari al calar della sera e cercando quella insegna pulsante che non avevo mai visto. Poi sarei andato sul ponte ad ammirare il paesaggio e a meditare un po’, poi .... Beh, dipende: se vedo che mi viene sonno torno subito a casa e mi metto a dormire.
UNA NOTTE MOVIMENTATA
“Ecco, questa è la villa di cui vi parlavo.”
Nell’oscurità della notte, i tre individui si avvicinarono furtivamente al civico 10 di viale dei Serafini. Dall’entrata si poteva intuire la ricchezza della villa e del suo proprietario. Sotto la tettoietta del cancello pedonale si notavano subito, nuovi nuovi di ottone ancora lucido, la buca delle lettere ed il citofono (un videocitofono, a guardare bene). Anche tutto il resto sembrava nuovo ed in ottimo stato. Il cancello si apriva non direttamente sulla strada, ma su una specie di slargo pensato per facilitare l’accesso dei veicoli da entrambe le direzioni, nonché l’inversione di marcia. Una piccola aiola fiorita ne evidenziava il punto centrale di simmetria, ed una folta siepe di pitosforo e due nude panchine di pietra adornavano i contorni di questo spazio elegantemente semplice che, se non fosse stato per i minacciosi ma discreti cartelli di passo carrabile, rimozione forzata e proprietà privata, avrebbe potuto far pensare ad una amministrazione civica generosa e particolarmente attenta agli arredi urbani.
“Non c’è la macchina nel vialetto, e non si vede nessuna luce accesa in casa. Probabilmente non c’è nessuno.” Dei tre, uno era rimasto di vedetta all’angolo del marciapiede, e non poteva sentire queste parole appena bisbigliate.
“E poi, per quel poco che ho potuto conoscere il proprietario, mi sembra proprio il tipo di borghese perbenista che la notte di Natale se ne va in chiesa per ringraziare Dio di aver avuto tanti soldi senza dover faticare. Questo vuol dire, se ben ricordo la loquacità del prete della chiesa qui vicina, che abbiamo un sacco di tempo per agire indisturbati. E’ proprio un brav’uomo, quel don Rodolfo: ci aiuta nel fare i colpi e non vuole niente in cambio.”
Con una torcia elettrica, cercava qualcosa nella parte bassa della recinzione. “Da queste parti ci dev’essere un’apertura, se ben ricordo: così non dobbiamo neanche fare la fatica di scavalcare.”
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