Quando ho avuto il coraggio di confessare questo mio amore platonico a Stefano, ho dovuto aspettare cinque minuti buoni prima che smettesse di ridere. Deve averlo divertito parecchio, soprattutto il punto di me nascosto tra le torte e i pasticcini del bar. Conoscendo me e la mia facilità di approccio con il sesso femminile, si è poi molto sorpreso del fatto che in questi mesi non mi sia mai fatto avanti, ma non capisce che la bellezza del mio sentimento sta proprio nel fatto di averla idealizzata. Andare oltre farebbe finire tutto, soprattutto questa sensazione di sconosciuto che rende questa storia carica di mistero.
Dopo una settimana di pioggia incessante, oggi finalmente è tornato il sole e così ne ho approfittato per prendermi una giornata di ferie per andare a fare un giro per le campagne romane. Così dopo una mezz'ora sono già lontano dal caos cittadino, dalle strade intasate e dagli alti palazzi che nascondono il cielo. In macchina non ho neanche acceso la radio, talmente è presente il suo ricordo nella mia mente. Per qualche istante ho anche avuto la folle idea di andare a presentarmi e chiederle di venire con me. L'avrei portata in uno dei bellissimi parchi sulla Flaminia, per raccontargli finalmente tutto di me e sapere anche solo il suo nome. Alla fine la ragione ha prevalso e così ora sto per arrivare da mia madre, in un piccolo paesino con quattro case messe in fila, rimasto bloccato indietro nel tempo. Si respira ancora l'aria del pane appena cotto a legna e il freddo entra nelle ossa non appena varchi la strada principale. Il vento ti avvolge e ti accompagna, mentre ti suona nelle orecchie quasi a sussurrarti consigli sulla tua vita. Spesso vengo qui proprio per riflettere, in questa surreale ambientazione di altri tempi. Anche mia madre sembra una donna che non ha accettato l'andare avanti del calendario. Sempre bella, nonostante le rughe che segnano gli anni, e con le mani ruvide e nodose di chi non si è risparmiato mai neanche un secondo sui campi e dentro la cucina. Il suo unico passo in avanti è stato quello di accettare il cellulare che le ho regalato, a forza, lo scorso natale. Da quanto mio padre non c'è più, saperla sola così lontana dalla città non mi fa stare tranquillo e così, poterla raggiungere almeno telefonicamente mi rende più sereno. Dopo le sue prime ritrosie ha anche imparato ad usarlo e ogni tanto mi manda anche qualche foto e così ci sentiamo più vicini nonostante i chilometri di distanza.
Oggi non l'ho avvisata del mio arrivo, so che ama molto le sorprese e poi fino all'ultimo ho voluto aspettare di vedere il tempo prima di mettermi per strada. Arrivato sul viale principale, le prime a darmi il benvenuto sono state due galline scappate chissà da quale pollaio. Mi fanno sempre molto sorridere questi animali, sempre tutti impettiti e allo sbaraglio. Non appena si allontana il loro starnazzare, comincio a sentire il dolce suono delle scarpe sulla strada, con il leggero rimbombare tra le case vuote e silenziose. Il sole comincia a scaldare i muri e le mie mani senza guanti. Arrivato davanti alla sua casa, ai piedi della buia scalinata senza portone, sento in lontananza la sua voce e il rumore del matterello che batte sul piano di marmo. Oggi deve essere giornata di pasta fresca, una cosa che la rende felice e così tra una sfoglia stesa e l'altra, si diverte a cantare vecchie canzoni cambiando qui e la le parole che non ricorda. Man mano che salgo le scale, facendo attenzione a non fare alcun rumore, la sua voce si fa sempre più calda e piena, e prende il posto dei mie ricordi da bar, impressi fino a questo momento prima nella mia mente. Questo posto ha la capacità di farmi chiudere fuori tutto il resto. Un po' come tornare bambini, senza grosse preoccupazioni se non quella di avere un po' di pane con il sugo appena fatto tra un gioco e l'altro. Per un attimo ho anche avuto voglia di tornare per strada e rincorrere quelle due galline tronfie nella loro fuga, per farle spaventare un po' e riempirmi le orecchie con il loro battibeccare incontrollato.
Arrivato davanti alla porta di casa, mi fermo un attimo per riprendere fiato, dopo quelle scale ripide e scivolose, nella penombra che allontana la luce del giorno alle mie spalle. La porta è aperta, come ancora si usa nei piccoli centri, e dietro a una tendina di plastica colorata la intravedo dentro il suo grembiule e con le maniche tirate su, che va da una parte all'altra della grande cucina li all'entrata. Quello che amo di lei, è il sorriso sempre pronto ad accoglierti. Mi intrufolo nella stanza senza fare rumore e sussurro “Mamma...” quasi fosse una parola magica e intoccabile. Mentre si gira di soprassalto, nei suoi occhi vedo un misto di stupore e gioia infinita e così finiamo per abbracciarci come se non ci vedessimo da chissà quanto tempo. Come fossi ancora un bambino, mi bacia sulle guance più e più volte, in quel suo morbido abbraccio da cui non voglio slegarmi. Incuriosita dal mio arrivo, mi fa sedere vicino a lei e già comincia a preparare il caffè e a mettere sul tavolo biscotti, una crostata e un ciambellone già iniziato, tutto rigorosamente fatto da lei. Non avendo poi molte visite, a ogni mio arrivo deve recuperare con tutto quello che può servirmi in casa e so benissimo che anche un piccolo rifiuto sarebbe un'offesa per lei, così comincio a mangiare una fetta di crostata con la marmellata di arance, la mia preferita. Mentre armeggia con la piccola caffettiera da due, comincia a raccontarmi tutti i pettegolezzi della zona: dall'arrivo del nuovo prete di campagna, fino al parto gemellare di due puledrini nella fattoria accanto.
Ha un modo di parlare così sereno che sembra stia continuando a cantare e io rimango li ad ascoltarla senza battere ciglio, avvolto in questa atmosfera sempre più fuori dal mondo. Oggi mi sento in vena di confidenze e così le racconto della mia misteriosa donna del caffè. Lei si siede e poggiando un braccio sul tavolo di legno mi ascolta come se stessi raccontando una favola. Non mi interrompe, e appena finisco di parlare rimane qualche istante in silenzio, combattuta tra il commentare questa mia assurda non relazione e il continuare a stare in silenzio. Poi si alza, mi lancia un sorriso e si dirige verso la caffettiera che ha cominciato a sbuffare e a lanciare qualche schizzo di caffè sulla stufa economica bianca e immacolata. Dopo questo interminabile momento di silenzio, mi chiede se è per questa ragione che sono li e se deve dirmi cosa vorrebbe che facessi... perchè secondo lei ogni storia d'amore, anche queste folli come le mie, devono avere il proprio corso senza che nessuno ci possa mettere bocca, rischiando di cambiare il giusto corso delle cose. Mentre mi versa il caffè nella tazzina di ceramica finissima, così tanto che sembra finta, le rispondo che volevo solo condividere con lei la mia vita, come ho sempre fatto, senza volere nulla di più. Mi da una carezza sul viso, sorride e comincia a raccontarmi di come lei e papà si sono conosciuti, una storia che conosco già benissimo ma che adoro ascoltare dalla sua voce. Gli occhi le diventano lucidi, per la prima volta da quando mio padre è morto vedo in lei la malinconia della solitudine e dell'assenza e mi accorgo che bisogna veramente fare tesoro di questi momenti insieme, per ricordarli per sempre, registrandoli nella memoria sperando che si possano però riproporre in eterno. Dopo aver preso la busta preparata con la pasta appena fatta, un pezzo di ogni dolce e con le uova fresche e le verdure del nostro orto, torno indietro sulla mia strada verso la macchina. Il vento ormai si è affievolito e il sole ancora più alto mi riscalda il volto.
Cominciano a sentirsi i primi profumi del pranzo, in qualche casa stanno arrostendo i peperoni, da una finestra aperta arriva quello di una torta appena tirata fuori dal forno e tutto il paese partecipa di questi odori che si mescolano gli uni con gli altri in una bellissima alternanza che solo i piccoli centri possono regalare ai visitatori. Mi fermo dal fornaio per prendere la pizza bianca, sempre calda e appena sfornata. So che mi pentirò di questo acquisto, ogni volta che la mangio mi sento male perchè molto ben condita e leggermente pesante, ma senza averla mangiata non mi sembra di essere stato qui, tra le piccole montagne laziali. A rompere questa mia beatitudine, fatta di mani unte di olio e con la bocca soddisfatta grazie alla pizza e al sale grosso, lo squillo del cellulare che mi fa trasalire e spezza l'incantesimo. La prossima volta devo ricordarmi di spegnerlo. Come un equilibrista, riesco a tirarlo fuori dalla tasca del giaccone, senza far cadere la pizza e riuscendo a non rompere le uova incartate nel giornale, dentro la busta. Sullo schermo vedo la foto della mia ex, Lucia, ma appena faccio per rispondere, smette di squillare. La richiamerò più tardi. Con lei ho passato gli anni più belli della mia vita, in una sincronia unica per sei anni, fino a quando ha accettato un lavoro all'estero e io mi sono rifiutato di seguirla. Li mi sono accorto che