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mastro Jacopo,—esclamò Cristofano Granacci,—glielo facciamo tutti, il ritratto a madonna Fiordalisa.

      –Credete che sia così facile?—entrò a dire Parri della Quercia.

      –Perchè no? Che cosa c'è egli di tanto difficile?—ribattè il Granacci.

      –Tutto;—rispose Parri.–Non avete osservato come ella si muta ad ogni momento?

      –Già,—disse il Chiacchiera,—donna e luna, oggi serena e doman bruna.

      –Non parlo dell'umore, parlo del tipo;—ripigliò Parri della Quercia.—È un tipo assai delicato, con una certa espressione, che non è sempre la stessa a tutte le ore del giorno.

      –È vero, quel che dice Parri;—notò Lippo del Calzaiuolo.—Ci son de' momenti che non sembra più lei.—

      Tuccio di Credi torse le labbra e diede un'alzata di spalle.

      –Baie!—diss'egli–I contorni non si mutano mica così facilmente! Sarà quistione delle parti mobili, le labbra e gli occhi.

      –Già, le labbra e gli occhi;—rispose Parri della Quercia.—E ti par poco! Ora, se un moto delle labbra, o un diverso grado di forza nello sguardo, basta a cangiarti l'espressione del volto, mi pare che la immobilità dei contorni non ci abbia nulla a vedere. Piuttosto è da chiarire quale delle due parti mobili ha maggiore virtù nel cangiamento del tipo.

      –Dev'esser la bocca;—osservò Lippo del Calzaiuolo.

      –Infatti,—disse il Chiacchiera,—quando madonna Fiordalisa sorride, vi apparisce due tanti più bella.

      –Non si tratta di sapere quando apparisca più bella, poichè lo è sempre moltissimo;—replicò Parri della Quercia.—Io ho detto soltanto che ella vi muta espressione, e sembra avere un'altr'aria da quella di prima. È sempre lei, per chi la conosce, e tuttavia è un'altra bellezza. Il pittore che la ritraesse in uno di quei punti, crederebbe di non averla resa con verità, se la vedesse in un altro.

      –Pure,—notò il Chiacchiera,—questo Spinello, che non è un pittore, e neanche un principiante, con due tratti di penna ce l'ha fatta ravvisare alla prima.

      –Bella forza!—esclamò Tuccio di Credi.—È una somiglianza ottenuta nel complesso; buon per lui che non è andato ai particolari. La sua parsimonia gli ha fatto buon giuoco. Vedete qua; con due tratti di penna vi ha data un'aria di madonna Fiordalisa. Se ne avesse aggiunti altri due, gli sarebbe andato a male ogni cosa.

      –Che diamine gli è saltato, di fare il ritratto alla figlia del maestro?—chiese Cristofano Granacci.

      –Oh bella!—esclamò il Chiacchiera.—E stenti tanto a capirla? Ne sarà innamorato. È così naturale che un giovanotto s'innamori d'una bella ragazza! Domandane a Tuccio di Credi: egli ti risponderà….

      –Che sei uno scimunito;—interruppe Tuccio di Credi, dando al Chiacchiera una guardataccia, che pareva volesse mangiarselo.

      Ma il Chiacchiera non si spaventava per così poco.

      –Oh, ecco,—gridò egli, ghignando,—ecco una riprova di ciò che ha detto Parri poc'anzi, sulla varietà delle espressioni. Guardate Tuccio di Credi, se non sembra tutt'altri. O Tuccio, chi ti facesse il ritratto in questo momento, in fede mia, non ti renderebbe un servizio.—

      Tuccio di Credi, veduto così sottosopra, cioè computando l'una cosa per l'altra, poteva anche passare per un bel giovinotto. La carnagione, è vero, traeva all'olivastro; ma non è detto che l'olivastro sia un brutto colore, e ci son molti a cui simili impasti di giallo e di verde non dispiacciono punto. E poi, s'accordavano bene con quella tinta scura i capegli e le sopracciglia nerissime; di guisa che sotto quella vigoria di toni fuligginosi, l'olivastro delle carni poteva acquistare l'apparenza di un amabile pallore. Ma anche Tuccio di Credi aveva un tipo mobilissimo, che giustificava pienamente l'osservazione beffarda del Chiacchiera. Incominciamo a dire che nel suo volto si notavano due parti distinte, la superiore virilmente modellata, a contorni risentiti e gagliardi, l'inferiore timidamente condotta, quasi appena accennata. Si sarebbe detto che la natura, facendo quella testa, si fosse annoiata a metà dell'opera sua. Il naso, ad esempio, non era in proporzione con l'ampiezza della fronte; le labbra sottili e smorte mancavano di fermezza; il mento sfuggiva senz'altro. In quella faccia, fluita di mala voglia, c'era alcun che di stonato, che i pochi peli vani delle labbra e del mento non bastavano a dissimulare, e che la barba più folta non avrebbe potuto correggere. Anche gli occhi, neri, ma senza luce, dipinti di nerofumo, lasciavano qualche cosa a desiderare. Per solito, li vedevate poco; sfuggivano ad ogni esame. Quando Tuccio di Credi parlava con voi, quegli occhi guardavano sempre in basso e da un lato; poi, tutto ad un tratto, vi passavano dall'altro, senza che li aveste veduti fermarsi sui legacci del vostro giustacore. Osservando il rapido trapasso di quei due lumi spenti, pensavate involontariamente alla lucciola, che nel fosco della notte vi brilla trasvolando da destra, indi vi apparisce a sinistra, dopo esservi passata davanti alla chetichella, rattenendo il palpito della sua luce fosforica.

      Mastro Jacopo, una volta aveva detto di lui:

      –Tuccio di Credi non sarà mai un valente disegnatore. Un uomo che non guarda mai davanti a sè, può egli vedere quel che si faccia?

      Alle beffe dal Chiacchiera. Tuccio di Credi aveva aggrottate le ciglia e si era morso le labbra. Indi, facendo spallucce, aveva risposto:

      –Che grullerie! Basta che il primo venuto dica una cosa per chiasso, perchè tu ci fabbrichi subito un ragionamento. Già, non l'hanno battezzato il Chiacchiera per nulla. Oggi tu hai visto l'innamorato in una figurina di donna, e questo è anche peggio della trovata di Parri della Quercia. O che? Non si può egli vedere una bella ragazza per via, e sentire il desiderio di segnarne il profilo sulla carta, come si segna il profilo d'un frate che va alla cerca, o d'un cane che s'accosta al muro? L'uomo che vuole avanzare nell'eccellenza dell'arte, studia tutto quello che vede. E se gli capita di vedere qualche bella figura di donna, vuoi tu che chiuda gli occhi e dica: Domine salvum fac, come un santo eremita, esposto alle tentazioni del diavolo?

      –Se almeno ce ne fossero due, qua dentro, di donne!—ribattè il Chiacchiera, che non voleva darsi per vinto.—Ma, a farlo a posta, non c'è che questa, non c'è.

      –Non prova nulla.

      –Prova moltissimo. Che non ci sian più belle donne, in Arezzo? O che abbiano presa l'abitudine di tapparsi in casa, quando passa il Giotto redivivo?

      –Ah sì, Giotto ridivivo! Ben detto!—esclamò Lippo del Calzaiuolo.—Se ti sente mastro Jacopo, ti abbraccia e ti bacia sulle gote.

      –Chi parla di mastro Jacopo?—gridò una voce, che mise lo scompiglio nella brigata.—E chi ho da baciar sulle gote, se è lecito?

      –Maestro!—dissero i garzoni, tirandosi indietro mogi e confusi.

      Il maestro si avanzò in mezzo al crocchio e vide il quaderno dei disegni di Spinello Spinelli.

      –Ah!—riprese egli, con accento mutato.—Studiavate? Ammiravate anche voi quel che sa fare questo bravo giovinetto? Avanti, su, si faccia avanti quello che ho da baciar sulle gote, e mi dica cosa pensa di Spinello Spinelli.

      –Maestro,—scappò fuori il Chiacchiera,—io non so se mi bacerete sulle gote, o se piuttosto non mi allungherete una pedata; ma dico, con vostra licenza, che questo Spinello ha voluto fare un ritratto, in questo piccolo schizzo.

      –Orbene,—disse mastro Jacopo, rabbruscandosi;—e se avesse proprio voluto fare un ritratto, che ci vedreste di male voi altri?

      –Niente, Dio guardi; niente nell'intenzione. Ma quanto all'esito del tentativo…. Vedete qua Tuccio di Credi, il quale sostiene che la somiglianza è tutta dovuta alla parsimonia dei tratti. Il vostro protetto ha trovata l'aria della figura, e nient'altro. Se dovesse fare un ritratto, si troverebbe molto impicciato.—

      Mastro Jacopo crollò sdegnosamente le spalle.

      –Eh via, lasagnoni! Quello è un giovane che, se vorrà fare un ritratto, anche da pittore novellino qual è, lo farà, in barba a tutti voi, quando avrete messo su barba.

      –Parri della Quercia non è di questa opinione.

      –Ah,