– Dov'è la mamma?…Dov'è? – gridò Myosotis, entrando inattesa e sola a Rose Cottage il mattino seguente. La maestra vi si era recata all'alba mentre la bambina dormiva ancora; ma appena desta, Myosotis, sfuggendo alla vecchia serva di Miss Smith, era corsa fuori, e su per la collina a casa sua.
Nel salotto erano radunati silenziosi suo padre, la maestra, il dottore e la vecchia Jessie; questa recava sulle ginocchia un involto di flanella bianca.
Myosotis ripetè la sua domanda: – La mamma dov'è?
Nessuno – nè suo padre, nè il dottore, nè la maestra, nè Jessie – rispose. Forse non lo sapevano. L'unico che poteva saperlo era l'involto di flanella; e quello non aprì bocca.
– Quando torna?… nessuna risposta. Tutti piangevano sommessi.
– È rimasta in quel giardino?… – chiese la bimba avvicinandosi al padre che stava chino coi gomiti sulle ginocchia e il viso chiuso nelle mani.
Il padre scoppiò in singhiozzi poggiando il capo grigio sul fragile omero della sua bambina. Allora pianse anche lei molto forte e a lungo, e tutti gli altri dovettero smettere di piangere per consolarla.
Indi Miss Smith la ricondusse via.
II
Passarono i giorni, e a Myosotis nessuno disse nulla. Per lei, la mamma s'aggirava ancora nel giardino delle Esperidi, aprendo i calici dei fiori per vedere quale contenesse il bambino più bello.
Ma una sera, girando solitaria nel giardino di Miss Smith, vide al cancello il piccolo Joe Sibthorpe che con un fucile di legno faceva finta di volerla uccidere. Ella lo chiamò e gli confidò che s'annoiava assai senza la mamma, e fu grande la sua gioia quando Joe esclamò:
– Ma dev'essere tornata. Ho sentito molti strilli in casa tua.
Myosotis partì subito, correndo per la scorciatoia che conduceva al Cottage; e Joe le trotterellò dietro, alzando il fucile ogni tanto per prendere di mira le fiere che senza dubbio stavano rintanate dietro le siepi.
Il cancelletto di Rose Cottage era chiuso, ma i bimbi girarono dietro la casa e trovarono aperta la porta della cucina. Dabbasso non c'era nessuno, e i due sgambettarono su per la piccola scala di legno.
Ecco che dalla camera di Myosotis, ch'era la prima sul pianerottolo, udirono uscire degli strilli acuti e brevi. Myosotis, spinse piano la porta ed entrò; Joe, col fucile a spall'arm, pronto ad ogni evenienza, la seguì.
Jessie in un grande grembiule bianco, stava dando il bagno a un piccolissimo essere umano, che piangeva, dibattendosi nell'acqua come un rospicciattolo. La donna, appena vide entrare Myosotis, riabbassò gli occhi, e Myosotis notò che anche lei, come la creaturina nell'acqua, piangeva; ma senza tanti strilli.
Joe era rimasto di sasso accanto alla porta.
– Misericordia! Che orrore. Com'è rosso! – disse. – E che bocca!…
Myosotis s'accostò, e dopo breve contemplazione chiese a Jessie: – È un bambino o una bambina?
Jessie non rispose.
Joe corrugò le ciglia con aria saccente.
– Questo, – sentenziò, – non si può dire finchè non sarà vestito!
Quando fu vestito si vide che era una bambina, poichè aveva sulla cuffia dei nastri rosa, e non quelli celesti già preparati in attesa di un fratellino.
– Bisognerebbe metterglieli neri, per la povera sua mamma, – disse cupamente Miss Smith.
Ma Jessie, la fedele domestica, vi si oppose. – Inutile rattristare il papà e la sorellina, – dichiarò recisa.
E la neonata portò i suoi nastri rosa e fu battezzata coi nomi scelti dalla mamma pel fratellino e che potevano adattarsi anche a lei: Leslie Denys Harding.
III
Le due bimbe crebbero in serena innocenza, candide, mansuete e semplici.
Rose Cottage, la casetta bianca e bassa del dottor Harding era lontana anche dal villaggio e nessuno si scomodava mai per andarvi a far visita. Il villaggio di Wild-Forest, sperduto nell'angolo più remoto del Yorkshire, non offriva nè attrattiva al viaggiatore nè seduzione a villeggianti; le medesime antiche famiglie campagnuole vi abitavano da generazioni, ed i tumultuosi eventi di un mondo lontano non giungevano a scuotere i calmi silenzi di quei patriarcali focolari.
Così la giovinezza delle due fanciulle scorreva fuori del mondo, lontana dalla vita, come un ruscello argenteo in un paesaggio lunare.
Poichè la scuola era lontana, Miss Smith veniva lei stessa due volte alla settimana ad impartire loro delle vaghe nozioni d'ogni genere. Di Storia ella impresse i punti secondo lei più importanti nelle chiare memorie delle due fanciulle: Re Canuth che aveva voluto fermare le onde del mare; i due principini assassinati nella Torre di Londra; il principe Clarence che volle affogarsi in una botte di Malvasia; i nomi delle sette mogli di Enrico VIII; la predilezione per il colore celeste dell'attuale regina Mary d'Inghilterra.
I loro studi di Geografia si limitarono ai nomi dei continenti, dei mari e delle 37 contee d'Inghilterra; tutto il resto, visto le condizioni incerte e tumultuarie dell'epoca presente, era inutile impararlo, perchè le cose potevano cambiare ogni giorno.
Impararono i nomi di tutti i fiori nel giardino di Rose Cottage, ed anche di tutti quelli nei boschi; studiarono a memoria le poesie di Mrs Hemans, e s'interessarono molto ai piccoli negri dell'Africa Centrale che hanno la sventura di non portare vestiti e di non leggere la Bibbia.
E così, avendo assolto il suo compito d'educatrice, Miss Smith le abbracciò, le benedisse, e andò a vivere a Leeds.
Dove sposò un capomastro e fu molto felice.
Alla scuola di Wild-Forest venne Miss Jones, una nuova maestra, una maestra di Londra, molto risoluta e moderna. Arrivò a Rose Cottage, non invitata, a fare un breve ma severo esame alle due ragazzine; per sfortuna non chiese nè di Canuth nè dei piccoli negri; per conseguenza trovò che le bimbe erano assai ignoranti e insistette presso il dottor Harding perchè le mandasse a scuola.
E a scuola andarono, ogni giorno, le due biondine, e impararono tutto ciò che ancora mancava alla loro perfetta educazione. Impararono che il mondo è rotondo e appartiene agli inglesi; che gli oceani sono vasti e appartengono agli inglesi; che gli inglesi permettono – generosamente – ad alcune altre nazioni di vivere nel mondo, e ad alcune altre navi – ma poche! – di navigare sui mari. Impararono che bisogna odiare i tedeschi, disprezzare i latini, e aver schifo dei negri. Impararono che il Dio inglese non riceve che la domenica, mentre il plebeo Dio cattolico (che del resto non serve che per gli straccioni, i forastieri e gli Irlandesi) lascia aperte le sue chiese tutti i giorni, ma non bisogna andarci. Impararono che il sentimento è una cosa volgare; che è ridicolo commuoversi, che è indecoroso entusiasmarsi; che la frutta si mangia col coltello e la forchetta, e che le unghie e la coscienza – ma sopratutto le unghie! – vanno tenute pulite.
Terminata così la loro educazione scolastica, le due fanciullette lasciarono la scuola e tornarono a casa, da loro padre.
E da lui appresero altre cose ugualmente utili per affrontare l'esistenza. Appresero quali sono i mezzi che si adoperano a Rio Janeiro e nell'Isola di Sumatra per neutralizzare il veleno dei serpenti; impararono a distinguere la Naja Tripudians – la funesta e terribile cobra egiziana – da altri rettili, quale il Crotalus horridus e il Cerastes cornutus; impararono a conoscere i sintomi determinati dalla puntura degli scorpioni di Columbia e quelli dei ragni del Capo di Buona Speranza; e conobbero la distribuzione geografica, la eziologia e la patogenesi della lebbra e del beri-beri.
Così, preparate ed agguerrite alla vita, si affacciarono le due bionde sorelline alla soglia della giovinezza. Con gli occhi limpidi come il vento guardarono in faccia all'avvenire.
IV
E