La vita Italiana nel Risorgimento (1815-1831), parte III. Various. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Various
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Жанр произведения: Прочая образовательная литература
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con la Morale Cattolica e soprattutto col Romanzo, il Manzoni, mentre consente nel concetto fondamentale del movimento europeo, sa creare in esso qualche cosa di distinto e di staccato, qualche cosa di propriamente nostro e di omogeneo al genio italico. Così vien fuori la grande serenità naturalistica dei Promessi Sposi, e ne esce il ritmo calmo e solenne degl'Inni, ne esce quello zampillo, sia pure scorretto in qualche parte, ma luminoso e meraviglioso di lirica che è il Cinque Maggio.

      Ne volete una prova? Quando entra in campo il Manzoni, il romanticismo italiano, da prima titubante e poco considerato, diventa presto una scuola conquistatrice e vittoriosa, e a poco a poco tutte le resistenze cedono, tutte le fronti più o meno piegano. Ne avete un esempio nei vostri due più grandi scrittori toscani della prima metà di questo secolo, Guerrazzi e Niccolini, i quali per indole, per tradizione, per ideali politici e religiosi di tanto si disformavano dall'andamento e dagli intendimenti manzoniani. Eppure, anch'essi sono attratti a poco a poco in questa grande orbita di innovamento. E Giambattista Niccolini, che muove dalle ravvivate forme all'antico colla Polissena e sulle prime guarda con diffidenza e talvolta con fastidio ingiurioso allo influsso lombardo, finisce coll'Arnaldo da Brescia, ossia, cioè, coll'allargare il suo modulo drammatico al di là di quegli stessi confini che lo stesso Manzoni aveva determinati. Il Manzoni non domandava tanto, ma l'impulso era dato: il grido del risveglio risonava ovunque; tutti erano trascinati in questa viva corrente che andava verso l'avvenire.

      Così, o Signore, – non permettendomi il tempo di estendermi più oltre – a me basta di aver affermato un concetto, che in altra occasione potrebbe venire l'opportunità di svolgere: voglio dire che il romanticismo italiano si differenziò da tutti gli altri romanticismi europei, che si manifestò conforme alla nostra indole e tradizione latina per opera di Alessandro Manzoni. Fu principalmente suo merito se il romanticismo, entrato nella grande orbita della latinità, vi si svolge in modo armonico ai caratteri essenziali dello spirito del popolo italiano. Non dico in modo perfetto, perchè difetti ce ne sono dappertutto e perchè il romanticismo, se è movimento legittimo quando lo consideriamo come una generica aspirazione degli animi, diventa una cosa imperfettissima quando vuol essere una sintesi, un sistema di legislazione estetica che rinserri, comprenda e disciplini tutti gli elementi, tutte le forze, tutti i confini di questo moto.

      Mercè massimamente l'opera del Manzoni, noi avemmo una fase del gran movimento letterario mondiale da potere, non solo senza vergogna, ma con legittimo orgoglio, contrapporre alle fasi che ha assunto il romanticismo in Germania, in Francia e in Inghilterra.

      ALESSANDRO MANZONI

CONFERENZADIROMUALDO BONFADINI

      È quesito sempre discusso, e che forse non sarà mai risoluto, se giovi più l'ambiente a formare un uomo o l'uomo a disciplinare un ambiente.

      Le due cose sono fra loro congiunte da vincoli così stretti e così numerosi, che il discernere quali siano necessari e quali superflui sembra soverchiare l'acutezza dell'ingegno umano, per quanto esso si senta forzato dalla sua dignità a non abbandonare l'esame dell'argomento.

      Uno studio di questa indole, nel periodo storico a cui quest'anno avete rivolta la vostra attenzione, potrebb'essere utilmente condotto principalmente intorno a due uomini, Gino Capponi ed Alessandro Manzoni.

      Dal 1815 al 1831 si cercherebbero invano in Italia due personalità più complete, più progressive, più dominanti nella regione del pensiero e dell'intelletto.

      La società italiana, fatta paurosa dagli sgomenti e dai disastri del ventennio antecedente, andava cercando animosamente delle influenze a cui ubbidire, dei programmi in cui poter riposarsi.

      Queste influenze non le voleva dai governi, screditati tutti dall'eccesso degli egoismi e dalle persecuzioni; questi programmi non li accettava da consorterie politiche, venute in uggia dopo le tremende delusioni dei fatti. Era bensì disposta a subire la disciplina di uomini indipendenti e intelligenti, che non avessero goccia di sangue sulle loro mani o rimorso d'inganni sulle loro coscienze. Voleva direttori che avessero nobiltà di studj, perchè troppo lungo era stato il dominio degli uomini volgari; che avessero nobiltà di prosapia, perchè le corruzioni giacobine avevano reso impopolare la democrazia.

      A questo complesso di esigenze dello spirito pubblico rispondevano perfettamente due uomini come Gino Capponi ed Alessandro Manzoni; sicchè non è meraviglia se la loro influenza personale grandeggiò a misura che rimpiccioliva il credito degli organismi di Stato, e se dall'ambiente in cui erano cresciuti, la loro disciplina intellettuale e morale s'allargò ben presto al vasto ambiente nazionale, che vide con gioia rivivere in essi due diverse e potenti fisonomie dell'antico e schietto genio italiano.

      Usciti entrambi giovanissimi dall'infocata atmosfera in cui si svolse la Rivoluzione francese; avversi entrambi, per dignità di spirito equilibrato, così agli eccessi della demagogia come alle reazioni del diritto divino; amici del Foscolo e del Confalonieri; virtuosi per indole e studiosi per abitudine; non temprati, nè l'uno ne l'altro, a vigore di lotte personali, ma avvezzi, e l'uno e l'altro, ad opporre energie tenacissime di bene a qualunque tentativo, a qualunque sopraffazione di male, vi sono tra il Capponi e il Manzoni altrettante analogie di carattere e di azione morale, quante vi sono differenze nell'indole dell'ingegno e nei casi della vita.

      Del primo vi parlerà, presto o poi, qualcuno che abbia avuto col gran cieco toscano quella domestichezza che a me non fu consentita. Permettete ch'io cerchi oggi di tracciarvi qualche contorno della vita e delle attitudini del gran vecchio lombardo.

      S'era ai primi giorni dopo la battaglia di Marengo, e ad una brillante serata nel maggior teatro di Milano assisteva, nell'interezza del suo prestigio, il Primo Console trionfatore. Gli odj di parte duravano ancora fierissimi in Lombardia; e il generale Bonaparte, dinanzi a cui piegavano tutti gli Stati, ma non tutti gli uomini, nè tutte le donne, lanciava sguardi irritati verso un palco di casa Somaglia, dov'era apparsa una sua costante avversaria politica, la moglie del conte Cicognara, repubblicano intransigente del triennio cisalpino. In quel palco, raggomitolato dietro i merletti della contessa Cicognara, stava un giovinetto quindicenne, a cui quegli sguardi non uscirono più dalla memoria e che li chiamò più tardi in una lirica imperitura «i rai fulminei».

      Fu quella forse la prima grande impressione politica di Alessandro Manzoni? Certo è, che da quella corrente di passione, sprigionatasi fra due palchi in una serata di canto, dovette essere singolarmente percossa l'indole già pensosa del futuro scrittore del Cinque Maggio. Il genio della guerra, maturo nell'azione, si rivelava con uno scatto umano al genio della pace in elaborazione di pensiero. Chi può dire quali mistiche influenze, quale virtù diuturna di meditazione abbia esercitato un genio sull'altro? Non erano scorsi altri quindici anni, e il genio della guerra, dopo avere stancato il mondo, spariva dall'ambiente politico, inchiodato, come Prometeo, alle asperità d'uno scoglio; mentre il genio della pace stampava già robuste le sue orme in quel regno della letteratura e della morale, in cui sarebbe stato monarca, e da cui nessuno lo avrebbe cacciato più.

      Sono contrasti, di cui il mondo è pieno, e a cui la folla degli scrittori non usa, di solito, l'onore dell'attenzione. Pure, le verità nuove, così nell'ordine morale come nell'ordine fisico, escono piuttosto da fenomeni di contrasto che da fenomeni di armonia. Senza gli urti e senza le scosse, il pensiero si lascierebbe intorpidire, la scienza non avrebbe stimolo a scoprire nuove forze per vincere le difficoltà. Non è quando l'aria è cheta e l'onda morbida che il navigante è tratto ad acuire tutti i suoi sforzi per la lotta tra l'uomo e l'Oceano. E soltanto da una lunga esperienza di contrasti e di mutazioni può l'uomo grande trarre intera la coscienza del suo valore ed apparire dinanzi ai contemporanei ed ai posteri nelle vere proporzioni della sua statura intellettuale o politica.

      Quando nacque il Manzoni, era morta da pochi anni Maria Teresa. Ed oggi vivono tuttora dozzine d'individui che del Manzoni sono stati negli ultimi anni corrispondenti od amici. Vuol dire dunque che durante questa vita d'uomo si è mutato il mondo; la sola frase adatta ad esprimere le differenze fra l'epoca di Maria Teresa e la nostra. Il Manzoni è nato quando lo spirito di libertà tentava i suoi primi sforzi sul continente europeo, ed è morto allorchè questi sforzi avevano già ottenuto forse il maggiore dei trionfi, l'abolizione del potere temporale. Ha visto la Rivoluzione francese e l'Unità italiana; nove governi in Lombardia e dodici in Francia; ha visto sorgere, brillare e sparire