Siccome questo giudizio intorno a Giuliano è espresso da Gibbon in un paragrafo a parte, il quale ha per titolo (il suo carattere), però mi azzardai di asserire, che questo Imperatore è il suo Eroe. Non lo è per altro del Mosheim dottissimo Protestante ancor esso. Fate di grazia il confronto di questi giudizi: «Per collocare (dice questo Scrittore, Storia Eccl. Sec. I. part. n. 13.) Giuliano tra i più grandi uomini, conviene essere od acciecato all'eccesso dai propri pregiudizi, o non aver letto giammai con attenzione le opere di lui, o non aver finalmente alcuna giusta idea della vera grandezza. Il carattere di Giuliano presenta pochi di quei tratti, che contraddistinguono un uomo grande… Egli era superstizioso all'eccesso; prova ben chiara di un intelletto limitato e di uno spirito basso e superficiale… Aggiungete a ciò l'ignoranza la più perfetta della vera filosofia, e giudicate se Giuliano quand'anche fosse superiore in alcuna cosa ai figli di Costantino, non è però al di sotto di Costantino medesimo ad onta delle ingiurie con cui l'opprime, e del disprezzo che ne mostra in qualsivoglia occasione». Voi forse potrete dirmi, letta che avrete la storia del Sig. Gibbon, che ancora egli confessa essere stato Giuliano credulo all'arte divinatoria quant'altri mai, dissimulatore solenne in fatto di Religione, per una strana contraddizione avere sdegnato il giogo salutare del Vangelo, mentre fece una volontaria offerta di sua ragione sugli altari di Giove e di Apollo e preferì gli Ancili alla Croce, essersi per fine avvilito con le visioni e coi sogni e con una superstizione che pose in pericolo la sorte dell'Impero Romano. Che se è così, perchè dunque per una più strana contraddizione asserire che inimitabili furono le virtù di Giuliano, e che bisogna riguardare con minuta, e forse con malevola attenzione il ritratto di lui, affinchè sembri mancar qualche cosa alla grazia e perfezione dell'intera figura? O fidatevi del Sig. Gibbon, quando si tratta di formare i caratteri! Finisco con fare una osservazione di quello, che ei fece in generale delle Sette Cristiane, cioè di quegli ostili Settari, che prendevano i nomi di Ortodossi e di Eretici; ai quali la nostra tranquilla ragione, a suo dire, imputerà un uguale, o almeno «non molto diversa dose di bene e di male … poichè sì dall'una che dall'altra parte poteva esser lo sbaglio innocente, la fede sincera, la pratica meritoria o corrotta». Qui sicuramente si parla degli Atanasiani od Omousiani, e degli Arriani loro avversari. Ma questi servironsi per ripetute confessioni del Sig. Gibbon dell'ambiguità dell'ingegnosa malizia, di una squisita malignità dell'inganno, dei destri maneggi, dell'arte sofistica; questi, che al Concilio di Tiro avevan segretamente determinato di fare apparir delinquente, e di condannare il lor nemico Atanasio, procurarono di mascherare la loro INGIUSTIZIA coll'imitazione della forma giudiciaria. Questi, opponendosi alla causa di Atanasio, opponevansi ancora alla Fede Nicena, di cui egli era il campione, ed alla verità religiosa. Ed in uomini di tal tempra poteva esser lo sbaglio innocente, la fede sincera? E questo non è un contraddirsi, ed un abusarsi della pazienza d'un onorato lettore?
LETTERA II
Vi ho fatto osservare nella mia prima lettera, che il Sig. Gibbon si protesta di non poter ammettere la delicatezza del Baronio, del Valesio, e del Tillemont, che quasi rigettano il racconto di Palladio intorno al rifugio di S. Atanasio in casa della Vergine Alessandrina, che egli con ogni scaltrezza vorrebbe pure far credere una lunga corrispondenza amorosa. E che? Sarebbe forse un troppo gran torto fatto a Palladio, il preferire alla sua l'autorità di S. Gregorio Nazianzeno, e di Atanasio medesimo, il quale attesta, che subito dopo l'invasione della Chiesa di Alessandria fatta da Siriano fuggissi nell'Eremo? Che ivi poi si trattenesse per lungo tempo il dimostrano le lettere, che ei di colà scrisse, come ne fa fede la data161, e il conferma la minuta descrizion del saccheggio dato a quei Monasteri dai furibondi soldati, che l'obbligarono a ricovrarsi in un orrido nascondiglio. Ma quando fosse stato sì scrupoloso il Sig. Gibbon da negar tutto a Palladio, perchè invece di far una vana pompa di delicatezza di stile non ha piuttosto avvertito, che non apparteneva alle vergini il lavare i piedi dei Santi, che l'intrepido Campion della fede Nicena non era sì molle da esigere da una vergine un tale uffizio in mancanza di vedove162, che quella vergine inerendo al racconto dello stesso Palladio doveva essere allora non di venti anni, ma quasi quadragenaria, e che finalmente brevissima e transitoria dovette essere la dimora del S. Arcivescovo presso di lei, essendo fuor di ogni dubbio, che egli visse nel deserto presso a sei anni, e che intruso appena Giorgio di Cappadocia nella sua sede, sotto pretesto di andare in traccia di lui, furono saccheggiate le case, ed aperte perfino le sepolture; e le vergini, altre svelte dalle braccia dei genitori, altre insultate per le pubbliche vie di Alessandria (Athan. ad solit. p. 849. a 53.)? Or come persuadersi, che fosse dalla sfrenata licenza di mal credenti soldati rispettata la casa di colei, che descrivesi come un prodigio di bellezza notissimo? Il Sig. Gibbon però, tacendo tutto questo, chiude la sua narrazione con asserire senz'altra testimonianza, fuor di quella del suo capriccio, che nel tempo della sua persecuzione ed esilio, Atanasio replicò sovente le sue visite alla bella e fedele amica163.
Almeno il Sig. Gibbon contentandosi di calunniare così audacemente nella condotta morale il grande ed immortale Atanasio, lo risparmiasse nella credenza! Ma no: Atanasio, secondo lui, difese più di vent'anni il Sabellianismo di Marcello di Ancira, ed il Petavio dopo un lungo ed accurato esame ha pronunziato con ripugnanza la condanna di