Ma per entro agli stessi confini di Terra santa, non è così unanime il sentire, che tutti in una origine si quietino gli indagatori delle Esseniche antichità, nei confini di Palestina. Tra le quali, una mi piace per questa sera considerare, che non piccola fama nè piccolo stuolo di seguaci si trasse dietro nel consorzio degli eruditi. Chi il merito vanti del primato non so, ma egli è un fatto però che non pochi furono di coloro a cui tra gli Esseni e i Baitusei, altra religiosa setta di Palestina, parve vedere una perfetta identità. L’udì forse per la prima volta l’Italia, e dalla bocca l’udì di un Ebreo, di un Rabbino, di un Italiano. Egli era il nostro concittadino Azaria De Rossi, o, com’egli si diceva ebraicamente, Min aadomim, che nel secolo decimosesto seppe coltivare con tal successo la storia e l’erudizione Greca e Romana, che la fama ne corse e dura tuttavia onorata nel mondo erudito. Or bene, o signori, Azaria De Rossi fu quello che propose la identificazione perfetta dei Baitusei del Talmud coll’istituto degli Esseni. Non basta; egli ne vide il nome nel nome dei Baitusei. Questo nome di Baitusei, si scrive in ebraico Baitusim, o Betusim, secondo altra lezione. Or bene, l’occasione era troppo bella per un ingegnoso etimologista, e il De Rossi non era uomo da lasciarla fuggire. Egli scrisse in due parti il vocabolo Baitusim; divise Bet da Usim. Di Bet egli fece Casa, Istituto, Sodalizio, Società; di Usim fece il nome proprio, l’appellativo istesso di Esseni. Ecco che cosa fece il De Rossi, schiudendo in questa via la strada a quelli che in processo di tempo la percorsero intiera. Vi entrò per primo il Fuller, che alla sentenza soscrisse del nostro Rabbino. Vi entrò quasi ai nostri tempi il Gfroëre, dotto tedesco, nella celebrata sua istoria, Critica del cristianesimo primitivo, a pagine 347; e tanto reputò la congettura avverata, che precipuo argomento ne trasse a provare tra le due sètte perfetta, intera omogeneità di carattere. Convien dire però, o signori, che tale non sembrasse a parecchi altri, nè di minore rilievo, che delle origini Esseniche presero a trattare. Io non dirò di altri che il precessero; ma se ultimo fu, certo non meno formale si pronunziò contro l’asserta origine Baitusea, l’illustre Franck, che onora in Parigi il nome e la dottrina Israelitica. Egli, il Franck, nella terza parte dell’opera sua la Kabbale, ou Philosophie religieuse des Hébreux, formalmente la respinge. Io credo che in questa, come in altre cose moltissime, abbia colto nel segno. – No, o signori, fintanto che luce non sarà tenebre, nè il giorno in notte converso, Baitusei ed Esseni non saranno giammai una cosa sola, un istituto, un sodalizio. Riflettete all’opinione costante universa prevalente negli antichi e nei moderni tempi della esistenza di un individuo, di un eresiarca famoso per nome Baitos, fondatore o vogliam dire caposetta della fazione Baitusea;5 esistenza, o signori, che, come vedete, la possibilità perfino ci toglie di scindere, di notomizzare l’indiviso e personale distintivo dell’eresiarca Baitos.6 Riflettete, infine, che i Baitusei non sono tali sconosciuti e incompresi settarj, che sia lecito alla ventura fantasticare sul conto loro; che note non ci sieno le lor dottrine, note le divergenze dal centro ortodosso, noti i caratteri, note le costitutive e naturali fattezze,7 e troppo ristretto quindi e troppo angusto il vallo riservato ad arbitrarii connubii.
LEZIONE TERZA
Vi dissi, o signori, come il Fuller aveva dapprincipio sottoscritto alla opinione del nostro De Rossi, e come esso prestò omaggio alla etimologia Baitusea. Ma che? ben presto s’avvide su quanto fragile fondamento posasse la preaccennata opinione. Narrò ai dotti impazienti come il vocabolo Esseni significasse uomini ritirati, ascosi, e poco mancò non dicesse solitarj e romiti. Non è difficile ch’egli dedotto avesse il nome Esseni dal vocabolo Asam, che in ebraico significa ripostiglio; o, meglio, che dalla radice ne ripetesse l’origine, che l’idea esprime veramente di tesaurizzare e nascondere, siccome Isaia (XXIII) aveva detto, di questo vocabolo giovandosi, lo ieazer veló iehasen. La nuova etimologia del Fuller riunisce ella, o signori, tutte le desiderate condizioni di credibilità? Rispond’ella a tutte le esigenze grammaticali, critiche, storiche e dottrinali? Quanto alla prima, io vo’ dire alla convenienza grammaticale, sarebbe ingiustizia il dirne male. Ben altre etimologie, e ben altrimenti arbitrarie, furono propalate qual prezioso e pellegrino trovato. Ma potranno dirsi egualmente contenti la critica, la istoria, e il genio e l’indole generale delle sètte? La critica potria invero, ponendoci un poco di buona volontà, chiamarsi contenta; potrebbe ricordarsi la critica come i Talmudisti dicessero appellativo glorioso quello di hobesé bet amedras, che suona gli studiosi reclusi; come uno tra essi celebratissimo recasse il nome di Hanen il recluso, Hanen anehba; come di parecchi si narri nel Talmud di Gerusalemme, avere eglino menato della vita gran parte, nel fondo di una grotta, tamir bimhartà: e infine potrebbe con cert’aria di trionfo notarsi come i diletti di Dio, i suoi servi, i suoi fedeli, siano detti a dirittura nei Salmi, i reclusi di Dio, i nascosi di Dio. (Salmo 83.)
Ma che per ciò, o signori? Io ripeterò ciò che parmi aver detto altre volte. Questi curiosi ravvicinamenti, questi tratti di luce, queste inaspettate e brillanti conferme, possono, in progresso di tempo, avere sovrapposto sul fondo primitivo un nuovo senso che nè al vocabolo ripugnava nè al costume degli Esseni. Ma può esserne stato, o signori, cotesta la