Lorenzo Salvani non seppe trattenere un atto di maraviglia, quando vide costui nel suo salottino. L'inarcamento delle ciglia e la testa tirata indietro significavano il più grosso dei punti ammirativi, e una filza di puntini per giunta.
– Collini! – esclamò egli, senza muoversi ancora dal suo atteggiamento.
– Sì, Collini, per l'appunto; – rispose l'altro con un sorriso ch'egli si studiava di rendere amabile. – Vi maraviglia forse?
– Forse; lo avete detto voi stesso; – ripigliò Lorenzo, con accento malizioso, ma senza cattiveria. – Ma che buon vento vi sbalza quassù?
– Non troppo buono, per verità; – disse il Collini. – Comunque sia, non vi dispiaccia che io sia venuto da voi per chiedervi un servizio da amico.
– Non potevate farmi cosa più grata, – disse di rimando il Salvani. – Son così lieto quando posso renderne uno, che ciò mi consola della mia pochezza, e della mia povertà. Accomodatevi, prego, e veniamo all'essenziale.
– Eccolo; – rispose il Collini, sedendosi sulla scranna che Lorenzo gli offriva. – Questa notte, alla veglia del Ridotto, sono stato insultato.
– Oh diamine! e da chi?
– Dal marchesino di Montalto. Un tale che non ha il becco d'un quattrino! Lo conoscerete; è quel coso biondo, tutto superbia, che va sempre ritto impalato, nell'eterna compagnia del Pietrasanta.
– Voi sapete che io non ho dimestichezza con questi signori del patriziato. Vivo così fuori del mondo!
– Ah, è vero; e forse è il meglio che si possa fare; – concesse con un mezzo sospiro il Collini, – Ma a noi la professione comanda di viverci dentro, e bisogna adattarsi. Io dunque vi dicevo che questa notte, al ridotto del Carlo Felice, sono stato insultato dal signor Montalto, e alla presenza di una signora, di una dama.
– Perdio! la cosa è grave. Ma dite… in che modo?
– Oh, si andrebbe per le lunghe; – rispose il Collini, con aria impacciata.
– Scusate; – si affrettò a dire Lorenzo. – Non domandavo del modo, se non per misurare la gravità dell'offesa, e non pensavo affatto alla persona che era presente. Le donne, in questi casi, van nominate il men che si può. Ma bisognerà pure, se debbo darvi consiglio, bisognerà pure ch'io sappia la frase, la parola di cui vi ritenete offeso.
– Avete ragione, Salvani; ed ecco qua tutto il necessario. Accompagnavo la signora, che era mascherata. La signora bisbigliò alcune parole, certamente di grazioso motteggio, come è l'uso, al marchese di Montalto, il quale stava insieme col marchese Pietrasanta, in un angolo della sala dove c'è il camino. Non udii le parole della signora; ma quali si fossero, non dovevano meritare una dura risposta, alla quale essa ribattè prontamente ch'egli non era cortese. Notate, Salvani, che la signora è di buonissima nobiltà, e le smorfie del Montalto, che non potrà poi far risalire la sua al tempo delle Crociate, erano veramente fuori di posto, e un grazioso motteggio della contessa… Oh, perdonate, quasi mi lasciavo sfuggire il suo nome.
– Non importa, – disse Lorenzo. – Io non soglio ricordarmi di ciò che debbo dimenticare. Proseguite pure.
– Orbene, – soggiunse il Collini, – a quel piccolo rimprovero della signora, il Montalto fece un inchino impertinente, accompagnato da un sorrisetto sarcastico.
– E voi?
– Io non potei ritenermi dal fargli notare la sconvenienza del suo ghigno. Ma egli allora, rialzando il capo e guardandomi in atto sdegnoso, mi disse: «Voi badate ai fatti vostri». Volli replicare; ed egli da capo: «Mi provocate voi forse?» – «Sì, perchè no?» – «Voi?» ribattè egli, beffardo. – «Signore» dissi allora, «io non so di che cosa possiate ridere, quando io vi parlo in questo modo; ma penso lo direte a coloro che avrò l'onore di mandarvelo a chiedere». – «Saranno i ben venuti» rispose; e ci separammo. Eccovi tutto l'accaduto. Che cosa debbo fare? —
E il giovinotto dai capelli rossigni stette ansioso ad aspettar la risposta.
– Perbacco! – esclamò Lorenzo Salvani. – Non trovo altro modo di uscirne, se non mandando i padrini a questo marchese di Montalto. La ragione del duello mi sembra assai lieve; ma probabilmente c'è sotto qualche ruggine colla signora…
– Colla signora? Oh no; – rispose il Collini. – Ella mi disse di non conoscere il Montalto altrimenti che di vista, e di non avergli detto se non cose gentili, e molto innocenti.
– Allora ci sarà una ruggine del Montalto con voi.
– Eh, qui penso che abbiate ragione, Salvani. Egli deve volermi un mal di morte, perchè gli ho lasciato sempre intendere di non stimarlo gran che.
– Male! – esclamò Lorenzo. – Consentite a me, più giovine di voi, ma vostro antico compagno alle medesime scuole, di sgridarvene un poco. Gli uomini bisogna stimarli tutti, senza accarezzarne nessuno. Ora a noi; in che cosa posso esservi utile?
– Già lo immaginate, poichè vi ho detto d'esser venuto chiedervi un servizio. Fatemi da padrino.
– Sta bene; – disse Lorenzo, accennando del capo. – Siete pratico d'armi?
– E di sciabola e di spada ho tre anni di scuola, da Licurgo Cavalli.
– Ce n'è d'avanzo. E di pistola?
– Mi son sempre esercitato.
– Ottimamente! Due grammi di coraggio, di cui non patirete certamente difetto; due di sangue freddo, che è proprio dell'arte vostra, e siete armato di tutto punto. Dove abita questo Montalto?
– In via Balbi.
– Palazzo?..
– Oh, non abita in un palazzo, il marchese di Montalto. La nobiltà ce l'ha tutta in boria. Non ricordo più il numero dello stabile; ma non vi sarà difficile trovarlo, prendendo lingua dai bottegai di là dal palazzo Reale. Aspettate; ricordo che c'è un portinaio, e ch'egli abita al secondo piano.
– Bene, bene, lo troveremo; – conchiuse Lorenzo. – Ma, a proposito del mio plurale, non avete un compagno da darmi, per questa bellica impresa?
– Non ne ho; non saprei… – disse impacciato il Collini.
– Come? E non siete voi sempre in fiorita compagnia, nella quale potrete sempre trovar l'uomo che occorre? – chiese Lorenzo, che non poteva più stare alle mosse. – I vostri antichi compagni li avete sempre trascurati un tantino, per andare con altra gente, e di maggior levatura. Non dico ciò per farvene un rimprovero. Dio guardi. Accenno il fatto, e ripeto lagnanze di vecchi amici, che forse, confessatelo, da un pezzo in qua non v'accorgevate nemmeno che fossero al mondo.
– È un'accusa che non merito; – gridò il Collini, arrossendo. – La mia professione di medico, l'onesto desiderio di tirarmi innanzi, mi hanno condotto a vivere più in un ceto che in un altro; ma io vi giuro…
– Oh, non giurate nulla; – interruppe Lorenzo. – Capisco tutto, e vi ripeto che non parlavo per farvi rimprovero. Io, finalmente, debbo riconoscere che nel momento del bisogno avete pur fatto capo alla mia modesta persona. Sapete da quanto tempo non ci troviamo insieme? Da due anni.
– Credete? – balbettò il Collini, arrossendo ancora.
– Se lo credo! ne son certo. Ma andiamo, via! Non avete tra i vostri magnati l'uomo che vi possa servire? Lo cercherò io tra i miei fedeli del buon tempo e del gramo. Pregherò l'Assereto di darmi man forte.
– L'Assereto? Mi par di conoscerlo.
– Certamente, lo conoscerete. Studiava filosofia con me, all'Università, quando voi eravate ai primi anni di medicina. Ma noi altri non ci siamo perduti di vista, sebbene egli abbia mutato strada. Ordunque, ai fatti. Aspettatemi due minuti, e sono ai vostri comandi. —
Come il lettore ha veduto, questo signor dottor Collini, che veniva a chieder