Furono fatti entrare i due avversarii, i quali si erano già cavati il pastrano, il soprabito e la sottoveste, rimanendo in maniche di camicia. Il conte Nelli di Rovereto prese il suo posto da un lato, e l'Assereto dall'altro, ambedue colla spada in mano. Mastro del combattimento fu nominato il Nelli, senz'altra formalità, perocchè Lorenzo aveva detto all'Assereto, che cedesse quell'ufficio, per abbondanza di cortesia, senza rimetterlo alla sorte.
I medici ed il Pietrasanta, che rimaneva fuor di quistione, si piantarono sulla porta. Michele aveva dovuto ritirarsi; ma, da quell'uomo di partiti che egli era, girando attorno alle mura, aveva trovato finalmente un buco, dal quale gli veniva fatto veder dentro a suo bell'agio; e potete immaginarvi che vi si mettesse con molta curiosità.
Come il Montalto e il Salvani si trovarono l'uno al cospetto dell'altro, il conte Nelli di Rovereto prese a parlar loro in questo modo:
– Signori, abbiamo deliberato che voi combattiate fino a tanto che uno sia ferito per modo da non poter più tenere la spada. Io, mastro di combattimento, vi darò il segnale di fermarvi quando mi paia che uno di voi sia toccato dalla punta dell'avversario, e il signor Assereto, dal canto suo, potrà fare lo stesso, quando si avveda di qualche ferita, che io, stando da questo lato, non potessi vedere per bene. —
L'Assereto s'inchinò in atto di assentimento. Il Nelli proseguì:
– Quando uno di voi scivolasse sul terreno, che mi pare un po' sdrucciolo per l'umidità del mattino, e si trovasse nel caso di dover indietreggiare fino ad una di quelle due linee che abbiamo segnate da una parte e dall'altra, sarà debito del suo avversario fermarsi al nostro comando, ed ambedue smettere il combattimento, sotto pena di essere notati di slealtà. Ma noi sappiamo che ciò non farete, essendo gentiluomini. E adesso, signori, a voi! —
Dopo questa frase sacramentale, i due avversarii, salutati alla lesta i padrini, incrociarono le spade.
Sulle prime non fu altro che un giuoco di finte. I due avversarii si studiavano a vicenda, per vedere se l'accennar d'un colpo passasse senza che fosse parato dall'altro. Lorenzo Salvani stette molto a spiegare il suo giuoco; egli parava largo anzi che no, a guisa di principiante. Senonchè egli fu presto costretto a stringere, perchè il Montalto, stanco di quelle schermaglie, aveva ingaggiato un assalto, con due botte diritte molto vigorose.
Lorenzo parò facilmente col forte della lama, e con la punta minacciò gagliardamente a sua volta. A quel punto, ambedue si accorsero di avere a stare attenti. Il Montalto era un esercitato schermidore, ricco di partiti e di bella apparenza. Lorenzo era più sodo, e non faceva di molte novità; ma un avversario accorto come il Montalto non poteva negare che quello era un osso duro a rodere, assai più che non facesse a prima giunta vedere.
Alla seconda botta del Montalto, Lorenzo aveva risposto con una seconda legatura del ferro, minacciandolo così da vicino, che il marchese dovette balzare indietro e battere la lama dell'avversario con un colpo vigoroso di terza. Lorenzo sollecito avea dato innanzi di un passo, e la lama del Montalto, non potendo andare più oltre a cercargli il petto, gli offese con la punta il dosso della mano; e siccome ambedue avevano voluto tirar senza guanto, si vide sulla mano di Lorenzo qualche goccia di sangue.
Il mastro di combattimento fu sollecito a fermarli, ed egli coll'Assereto e i due medici si fecero a guardar la ferita.
– Non è nulla; – disse Lorenzo, poichè ebbero guardato. – Non è nemmeno una scalfittura. —
Si rimisero in guardia; e qui davvero cominciò il combattimento. Lorenzo incalzava cosiffattamente, che il marchese di Montalto dovette balzare indietro due volte. Ma questi, tornando all'assalto, si avvide che il Salvani si studiava di non cedere d'un passo, e non abbandonava mai il terreno guadagnato. Allora il duello fu continuato di pie fermo, e i padrini dovettero poco dopo intromettersi, che già i due avversarii stavano elsa ad elsa, guardandosi e sorridendo.
Ambedue i padrini ruppero in un grido di ammirazione.
– Bravi! bravi, perdio! – esclamò il conte Nelli, il quale, da buon gentiluomo, non faceva più da padrino, ma da giudice imparziale. – Signori, voi siete due valenti avversarii. Io, con licenza del signor Assereto, vi prego a farla finita, e chi ardirà dire che non vi siete diportati da prodi cavalieri avrà da aggiustarla con noi.
– Signor conte, – disse Lorenzo, voltando a terra la punta della sua spada, – io di buon grado ascolterei i vostri consigli e la vostra preghiera, che tanto onora il vostro carattere. Ma per quanto io senta degno di stima il mio avversario, non posso dimenticare l'asciutta accoglienza che è stata fatta testè alle nostre prime parole, quando siamo venuti, con tanta nostra confusione, ad annunziare il brutto tiro del signor Collini. Non posso dimenticar la frase del signor marchese Aloise di Montalto, nè il suo riso sardonico, nè certe parole che ho dovuto udire, sebbene pronunziate a mezza voce con voi. Ora, io ho molta stima pel marchese Montalto, e non mi farei lecito mai di pensare che egli potesse ritrattare nessuno de' suoi gesti, o nessuna delle sue parole.
– Io vi ringrazio; – disse il Montalto, con molta cortesia di gesto e di accento, – e queste vostre parole m'insegnano a stimarvi di più.
– Sicchè?.. – dimandò il mastro di combattimento.
– Sicchè, mio caro Rovereto, – rispose il Montalto, – noi ci rimetteremo in guardia, con vostra licenza.
– E Dio v'aiuti; – soggiunse il bravo capitano. – Signori a voi! —
Il duello ricominciò. Ma Aloise di Montalto fu questa volta assai più guardingo e fece a studiar molto le parate. Il giovane cominciava a sentire dentro di sè un tal poco di pentimento per certi suoi modi, e da quel leal gentiluomo ch'egli era badò più a schermirsi che a ferire l'avversario.
Ma Lorenzo Salvani non era uomo da accettare simiglianti cortesie, e appena si fu avveduto che il Montalto tirava soltanto a difesa, spiccò un salto indietro, e piegando la spada a terra, parlò in questa guisa:
– Signor marchese, o assalite voi pure, o ch'io mi metterò ad imitarvi, e tireremo innanzi di questo passo fino al dì del giudizio universale.
– Oppure a quello di San Bellino, che casca tre giorni dopo; – soggiunse tra sè il vecchio Michele, che stava dal suo buco a guardare la scena.
– Avete ragione! – esclamò Aloise di Montalto. – Volete vincermi di cortesia, e ne avete il diritto. Ecco dunque, io vi contento. —
E così dicendo, si rifece al primo giuoco. Le spade giravano, s'inseguivano, si legavano e si districavano con una rapidità meravigliosa, senza dar tregua a quell'armonico soffregamento dell'acciaio, che fa ribollire il sangue nelle vene ai più dolci di tempera. Ma ogni bel giuoco dura poco; certe battute di terza e di quarta, che erano il forte del marchese di Montalto, non furono più così aggiustate come prima, e Lorenzo, che se ne avvide, incalzò. Finse una botta al sommo del petto, appoggiandola con una forte spaccata di gambe, e poi, girando il pugno, passò incontanente al fianco. Il Montalto non fu in tempo a respingere l'assalto, e la parata bassa che egli fece, giunse a mala pena a sviare un tratto la lama dell'avversario, la quale, in cambio di andargli al petto, lo colse in quella parte del costato, dove s'incurva verso le spalle.
Lorenzo, fatto il colpo, trasse la spada a sè, rimettendosi in guardia. Ma fu inutile: il Montalto era caduto a terra, e il sangue spicciava dalla ferita.
Allora tutti quanti accorsero per rialzare il caduto, e il dottor Mattei, ottimo giovanotto che faremo conoscer meglio ai nostri lettori quando ci venga a taglio, cortesemente aiutato dal suo collega in Esculapio, si fece a visitar la ferita.
Egli alzò dapprima la camicia, e con una pezzuola inzuppata d'acqua ripulì tutt'intorno alle labbra della ferita; per la qual cosa il Montalto, che nella repentina commozione del fatto era quasi uscito di sensi, si riebbe ed aperse gli occhi, sorridendo agli astanti.
Ma a costoro il sorriso del giovine non poteva bastare. Essi stavano tutti muti, con tanto d'occhi, aspettando il responso, ed interrogando gli sguardi del Mattei, che continuava la sua esplorazione.
– Penetrante? – gli chiese il collega, in