Vola alle sue case, lieto in volto; convita a cena i molti amici adunatisi a complir del ritorno di Calabria; e mentre s’imbandiscon le mense, precipita per una scala segreta; monta a cavallo con tre fidatissimi; e a spron battuto prende la via di Castiglione. Giungevi all’ora terza del dì, con felice consiglio: perchè già Federigo, levato su dai nimici dell’ammiraglio, tornando allo sdegno, aveal fatto appellare alla sua presenza. Pericoloso ondeggiamento, che mosse tutta la Sicilia. Assai partigiani di Ruggiero, deliberati a correr con esso quantunque fortuna, vanno a trovarlo armati: ei rafforza con estrema prestezza le castella di Novara, Tripi, Ficarra, Castiglione, Aci, Francavilla, e altri luoghi che tenea in feudo: e minaccioso e fiero si stava. Quando i due mallevadori vennero a richiederlo che tornasse alla ubbidienza, e gli offrian sicurtà dalla parte del re, Ruggiero, per sentirsi in colpa o mosso da superbia, con molte ragioni il negò: alfine pagò del suo la enorme somma della malleveria; e tennesi sciolto da ogni vincolo d’onore. Tuttavia nè mosse guerra, nè chiese pace al re. E questi, dopo i primi errori, fatto senno, non osò assaltarlo, per non accender una guerra civile con le armi straniere alle spalle. Ma poco minor pericolo gli era l’indugio197. Di tal frangente il tirò la regina Costanza, con quella medesima riputazione ch’avea due anni prima ammorzato lo scisma di Giovanni di Procida. La regina, chiamata a Roma dal maggior figliuolo per menar a nozze la Iolanda, vinse sè stessa a lasciar Federigo; sperando pure metter pace tra gli sdegnati animi, e guadagnarne alla propria coscienza col rientrar in grembo della Chiesa. Volle per tal andata, con mirabil modestia, la permissione di Federigo: e sotto specie di chiederli compagni al viaggio, levò di Sicilia, con onor del re e loro, l’ammiraglio, pronto da un dì all’altro a romper guerra, e Giovanni di Procida, sospetto al par di costui, o peggio. Loria, avuta da Federigo sicurtà fino all’imbarco, non lasciò le sue fortezze, senza pria comandare a tutti i vassalli che stessero saldi, e quando Giovanni Loria nipote di lui andrebbe in Castiglione, l’ubbidissero in ogni fortuna. Indi la regina e la principessa, spiccatesi con molto dolore da Federigo, seguite dal vescovo di Valenza e dai due baroni uscenti in esilio sì minacciosi, da Milazzo con quattro galee partivano alla volta di Roma. Come furo in alto, chi favellava, chi adagiavasi, sperando, qual più qual meno, ne’ novelli destini; la sola Costanza, dice Speciale, immota sulla poppa della nave, affisava i monti di Sicilia che fuggiano, gonfia gli occhi di pianto, pensando a Giacomo, a Federigo, e a’ disastri imminenti. Compironsi a Roma le nozze; strinsersi, non ostante il pregar di Costanza, i consigli della guerra; Giacomo ripartì per Catalogna ad allestir la flotta. Loria al medesimo effetto ritornava, amico e ammiraglio di re Carlo, a que’ porti del reame di Napoli ove per quindici anni s’era tremato al suo nome. E prima Giacomo il creò ammiraglio a vita in tutti i suoi reami con grande autorità, gran lucro, e campo illimitato alle rapine; si stabilì il matrimonio di Beatrice sua figliuola con Giacomo d’Exerica, principe del sangue reale d’Aragona. Il papa gli diè in feudo la terra e il castel d’Aci in Sicilia, che tenean dal vescovo di Catania; lo ribenedì insieme con Giovanni di Procida198. Costui fu redintegrato ancora nel possesso dei suoi beni nel reame di Napoli, secondo i primi patti di Giacomo e Carlo199. Così lasciavan insieme la Sicilia, ambo da nimici, i due regnicoli sì famosi nella rivoluzione del vespro, legati strettamente dalla comune fortuna e dalla comune ambizione, compagni nell’esilio, nelle speranze, nella fazione della nuova dinastia in Sicilia, e finalmente nella tradigione. L’uno, allevato infin da fanciullo a corte di Pietro, fu uomo di animo smisurato, di altissimo intendimento nelle cose di guerra, il primo ammiraglio de’ tempi, gran capitano d’eserciti; ma sanguinario ed efferato, avaro, superbo, insaziabile di guiderdoni. Ristorò la riputazione delle armi navali in Sicilia; educò i Siciliani alle vittorie; fu sostegno potentissimo al nuovo stato. Gli si volse contro quando ebbe rivali nel potere; non veggo se più invidioso o invidiato; ed è un’altra macchia al suo nome, che abbandonò Federigo quando parea precipitare la sua fortuna. Portò con seco la signoria de’ mari; e pur non serbò lungi da noi l’antica gloria, perchè, se talor vinse in battaglia i vecchi compagni siciliani, talor anco fu vinto da essi; e appena chiusa con la pace di Caltabellotta la sanguinosa scena di che era stato parte principalissima, or con l’una or con l’altra delle fazioni guerreggianti, come se quel genio sterminatore non avesse più che fare al mondo, trapassò di malattia in Valenza; e le sue ossa andarono a riposare, com’egli avea ordinato molto prima, in un sepolcro posto a piè di quello del re Pietro200. Minore di lui di gran lunga fu Giovanni di Procida, e pur la capricciosa fortuna in oggi fa suonare assai più questo nome. Di ministro abilissimo del re d’Aragona, le corrotte tradizioni istoriche l’han fatto liberator di popoli, l’han posto a canto a’ Timoleoni ed a’ Bruti, han dato a lui solo quel che fu effetto delle passioni e della necessità di tutto il sicilian popolo; alle virtù ch’egli ebbe, sagacità, ardire, prontezza, esperienza ne’ maneggi di stato, hanno aggiunto le cittadine virtù ch’ei non ebbe, che violò anzi, tramando pria co’ nemici, poi brigando sfacciatamente contro la siciliana rivoluzione, quando la ristorò Federigo. Oscuro morì in Roma costui in sull’entrar dell’anno milledugentonovantanove201, innanzi che per prezzo d’infamia e per clemenza degl’inimici tutto riavesse il suo stato in terra di Napoli202.
Tra questi e quanti altri o sudditi o principi furon grandi ne’ fatti nostri di quel tempo, sospinti da ambizione a vizi non senza glorie, spicca per una candidissima fama la regina Costanza, avvenente della persona203, bellissima d’animo, per le care virtù di donna, e madre, e credente nel vangelo. La fine di Manfredi avvelenò il fior degli anni suoi; poi, se vide punito lo sterminator del sangue svevo e libera la Sicilia, ebbe a tremare ad ogni istante pe’ suoi più cari; pianger la morte di due figliuoli, la nimistà degli altri due; nè troppo la poteano far lieta le nozze della figlia nell’abborrita casa d’Angiò. Nacque e fu educata in Palermo204: tornata in Sicilia per sì strane vicende, la governò dolcemente dopo la partenza di Pietro; dettò alcuna legge che infino a noi non è pervenuta; fu amorevole coi sudditi, fino con la insopportabile Macalda. Non ebbe ambizione, lasciando prima a Pietro, poi a’ figliuoli, la corona di Sicilia, ch’era sua per dritto di sangue: nè tal moderazione nacque da pochezza d’animo in costei, che ben seppe in pericolosissimi tempi provvedere alla difesa della Sicilia; e due fiate con assai destrezza salvar Federigo dalla fazione nimica a’ siciliani interessi. Quetata la coscienza con la benedizione papale; posate poco appresso le tempeste di Sicilia, l’anno medesimo milletrecentodue finì i suoi giorni in Barcellona, ove attendeva a fabbricar munisteri e ad altre opere che nella