Non riusciva a scorgere nulla; ma era piú che certo che dei banditi dovevano essersi ammassati in buon numero, poiché fino a pochi momenti prima avevano sparato delle fucilate dentro la grande cloaca.
– Non si aspettano certo questa sorpresa – disse a Tremal-Naik. – Caricheremo a fondo e ci apriremo il passaggio senza subire troppe perdite.
Noi abbiamo provate ben altre emozioni; non è vero, amico?
– Specialmente a bordo del Re del Mare – rispose il famoso cacciatore. – Ed allora combattevamo contro mio genero.
– E tu, cacciatore di topi, che vedi anche di notte come i gatti e gli sciacalli, vedi nulla? – chiese Sandokan al baniano.
– Sí, vi sono degli uomini radunati intorno alla moschea.
– Molti?
– Non saprei dirvelo, gran sahib.
– Montiamo: i cornac non possono piú trattenere gli elefanti.
Salirono rapidamente sull’houdah del primo elefante mettendosi dietro alle mitragliatrici, e diedero un ultimo sguardo alle altre bestie, le quali sentendo il profumo delle erbe e delle piante, che il vento spingeva dentro la grande cloaca, si agitavano e s’impennavano tentando di scappare.
– I dayaki a destra degli elefanti; i malesi invece a sinistra!… – gridò. – Ed ora via!… Alla battaglia!…
La colonna infernale si rovesciò fuori del gigantesco sotterraneo, mandando spaventevoli gridi di guerra.
Gli elefanti, uno dietro l’altro, si erano messi a correre furiosamente, barrendo.
In un momento tutti quei prodi si trovarono nei pressi della moschea.
– Fuoco alle mitragliatrici!… – urlò Sandokan. – Presto! … Presto!…
Centinaia e centinaia d’uomini erano usciti dalle tenebre, sparando all’impazzata contro gli elefanti, ma il fuoco delle mitragliatrici subito li arrestò.
– Alla carica!… Alla carica!… – urlò Sandokan.
La colonna infernale si slancia, rovescia, schiaccia, sciabola, mentre le mitragliatrici e le grosse carabine si uniscono a quel fracasso spaventevole.
Gli uomini di Sindhia, sorpresi in un momento in cui stavano per coricarsi, quantunque spalleggiati da qualche drappello di rajaputi, aprono le loro file dinanzi a quella formidabile tromba che semina la morte dovunque.
Non sparano piú. Manca loro il tempo, e cominciano a fuggire gettando perfino le armi da fuoco per essere piú lesti.
– Su, i miei malesi!… Su, i miei invincibili dayaki!… – urla Sandokan, che continua a far tonare la mitragliatrice che ha dinanzi a sé, pur seguendo attentamente lo svolgersi della piccola battaglia. – A fondo col kampilang!
I novantacinque uomini a quel comando lasciano andare le carabine che appendono all’arcione, impugnando le pesanti armi che finiscono in forma di doccia, che sono affilate quanto i rasoi, e di purissimo acciaio naturale, e si scagliano a corsa sfrenata, sciabolando furiosamente.
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