– E se io non volessi?
– In tal caso non risponderei delle conseguenze. Sono accadute delle cose assai strane in questa casa, mio gentiluomo, ed ho avuto l’ordine di sapere che cosa è avvenuto del Signor Pedro Conxevio, del suo servo, e di suo zio, il conte di Lerma.
– Se vi preme di saperlo, vi dirò che sono in questa casa vivi tutti, anzi di buon umore.
– Fateli scendere.
– È impossibile, signore, – rispose il Corsaro.
– Vi intimo di obbedire o farò sfasciare la porta.
– Fatelo, vi avverto però che dietro la porta ho fatto collocare un barilotto di polvere e che al primo vostro tentativo di forzarla, io darò fuoco alla miccia e farò saltare la casa assieme al notaio, al signor Conxevio al servo ed al conte di Lerma. Ora provatevi, se l’osate!…
Udendo quelle parole pronunciate con voce calma, fredda, recisa e con tono da non ammettere alcun dubbio sulla terribile minaccia, un fremito di terrore aveva scossi i soldati ed i curiosi che li avevano seguiti, anzi parecchi di questi si erano affrettati a prendere il largo, temendo che la casa fosse lí lí per saltare in aria. Perfino il tenente aveva fatto involontariamente alcuni passi indietro.
Il Corsaro era rimasto tranquillamente alla finestra come se fosse un semplice spettatore, non perdendo però di vista gli archibugi dei soldati mentre Carmaux e Wan Stiller, che si trovavano dietro di lui, spiavano le mosse dei vicini, i quali erano accorsi in massa sulle terrazze e sui poggiuoli.
– Ma chi siete voi? – chiese finalmente il tenente.
– Un uomo che non vuol essere disturbato da chicchessia, nemmeno dagli ufficiali del governatore, – rispose il Corsaro.
– Vi intimo di dirmi il vostro nome.
– A me non garba affatto.
– Vi costringerò.
– Ed io farò saltare la casa.
– Ma voi siete pazzo.
– Quanto lo siete voi.
– Ah! Insultate?
– Niente affatto, signor mio, rispondo.
– Finitela!… Lo scherzo è durato troppo.
– Lo volete? Ehi, Carmaux… Và a mettere fuoco al barile di polvere!…
CAPITOLO VIII. UNA FUGA PRODIGIOSA
Udendo quel comando un immenso urlo di terrore si era alzato non solo fra la folla dei curiosi, ma anche fra i soldati. Soprattutto i vicini e non a torto, poiché saltando la casa del notaio sarebbero di certo crollate anche quelle occupate da loro, urlavano a squarciagola, come già si sentissero mandare in aria dallo scoppio.
Borghesi e soldati si erano affrettati a sgombrare mettendosi in salvo all’estremità della viuzza, mentre i vicini si precipitavano all’impazzata giú dalle scale, cercando di portare con loro almeno gli oggetti piú preziosi. Tutti ormai erano certi che quell’uomo, qualche pazzo secondo alcuni, dovesse davvero mettere in esecuzione la terribile minaccia.
Solo il tenente era rimasto coraggiosamente al suo posto, ma dagli sguardi ansiosi che lanciava verso la casa, si poteva comprendere che se fosse stato solo, o non avesse avuti quei galloni di comandante, non si sarebbe di certo fermato colà.
– No!… Fermatevi, signore!… – aveva gridato. – Siete pazzo?
– Desiderate qualche cosa? – gli chiese il Corsaro, colla sua solita voce tranquilla.
– Vi dico di non mettere in esecuzione il vostro triste progetto.
– Volentieri, purché mi lasciate tranquillo.
– Lasciate in libertà il conte di Lerma e gli altri e vi prometto di non seccarvi.
– Lo farei volentieri se voleste accettare prima le mie condizioni.
– Quali sarebbero?
– Di fare ritirare le truppe, innanzi tutto.
– Poi?
– Procurare, a me ed ai miei compagni, un salvacondotto firmato dal Governatore, per poter lasciare la città senza venire disturbati dai soldati che battono la campagna.
– Ma chi siete voi, per avere bisogno di un salvacondotto?… – chiese il tenente, il cui stupore aumentava insieme ai sospetti.
– Un gentiluomo d’oltremare, – rispose il Corsaro, con nobile fierezza.
– Allora non vi necessita alcun salvacondotto per lasciare la città.
– Al contrario.
– Ma allora voi avete qualche delitto sulla coscienza. Ditemi il vostro nome, signore.
In quell’istante un uomo che portava attorno al capo una pezzuola macchiata in piú luoghi di sangue e che si avanzava penosamente, come se avesse una gamba storpiata, giunse presso il tenente.
Carmaux, che si teneva sempre dietro il Corsaro, spiando i soldati, lo vide ed un grido gli sfuggí.
– Lampi!… – esclamò.
– Che cos’hai, mio bravo? – chiese il Corsaro volgendosi vivamente.
– Noi stiamo per venire traditi, comandante. Quell’uomo è uno dei biscaglini che ci hanno assaliti colle navaje.
– Ah!… – fece il Corsaro, alzando le spalle.
Il biscaglino, poiché era proprio uno di quelli che avevano assistito al duello della taverna e che poi avevano aggredito i filibustieri coi loro smisurati coltelli, si volse verso il tenente, dicendogli:
– Voi volete sapere chi è quel gentiluomo dal feltro nero, è vero?
– Sí, – rispose il tenente. – Lo conosci tu?
– Carrai!… È stato uno dei suoi uomini che mi ha conciato in questo modo. Signor tenente, badate che non vi sfugga!… Egli è uno dei filibustieri!…
Un urlo, ma questa volta non piú di spavento, bensí di furore, scoppiò da tutte le parti, seguito da uno sparo e da un grido di dolore. Carmaux, ad un cenno del Corsaro, aveva alzato rapidamente il moschettone, e con una palla ben aggiustata aveva abbattuto il biscaglino.
Era troppo!… Venti archibugi si alzarono verso la finestra occupata dal Corsaro, mentre la folla urlava a squarciagola:
– Accoppate quelle canaglie!…
– No, prendeteli ed appiccateli sulla plaza.
– Arrostiteli vivi!…
– A morte!… A morte!…
Il tenente con un rapido gesto aveva fatto abbassare i fucili, e spintosi sotto la finestra, disse al Corsaro, che non si era mosso dal suo posto, come se tutte quelle minacce non lo riguardassero:
– Mio gentiluomo, la commedia è finita: arrendetevi!
Il Corsaro rispose con un’alzata di spalle.
– Mi avete capito? – gridò il tenente, rosso di collera.
– Perfettamente, signore.
– Arrendetevi o farò abbattere la porta.
– Fatelo, – rispose freddamente il Corsaro. – Vi avverto solo che il barile di polvere è pronto e che farò saltare la casa assieme ai prigionieri.
– Ma salterete anche voi!
– Bah!… Morire in mezzo al rimbombo delle fumanti rovine è da preferirsi alla morte ignominiosa, che voi mi fareste subire dopo la mia resa.
– Vi prometto salva la vita.
– Delle vostre promesse non so che cosa farne, poiché so che cosa valgono. Signore, sono le sei pomeridiane ed io non ho ancora fatta colazione. Mentre decidete sul da farsi, andrò a mangiare un boccone assieme al conte di Lerma ed a suo nipote e