– Noi folere uscire presto.
– Con questa pioggia?
– Io afere mia testa pesante e folere andare a dormire.
– Forse che non c’è del buon vino qui? – disse Mendoza. – Il padrone della taverna d’El Moro è un brav’uomo e rimarrà in piedi fino a domani mattina, sempre pronto a servirci.
– Io folere andare, – ripeté il fiammingo. – Pfiffer! Afer befuto troppo.
– Ma che!… Abbiamo appena cominciato!… È vero, don Rodrigo de Peloton?
Buttafuoco fece col capo un gesto affermativo.
– Pasta, – rispose l’ostinato fiammingo, prendendo il suo mantellone ed il suo cappello. – Pona sera a tutti! Taferniere, aprite.
Mendoza allontanò la sedia, subito imitato da Buttafuoco, e due spade brillarono nelle mani dei due avventurieri.
Don Barrejo aveva già preso la sua arrugginita draghinassa, portatagli di nascosto da sua moglie e si era messo dinanzi alla porta.
– Pfiffer! – esclamò il fiammingo, gettando intorno uno sguardo smarrito. – Cosa folere voi, signori? Assassinarmi?
– No, mettervi in conserva dentro una botte di Xeres, – disse don Barrejo. – Mio caro Pfiffero!
– Sedete, – disse Mendoza, con voce minacciosa, posando la spada sul tavolo. – Abbiamo da vuotare altre bottiglie ancora e anche molto da discorrere, amico.
Capitolo II. LE MERAVIGLIOSE TROVATE D’UN GUASCONE
Il fiammingo, che si reggeva già male sulle gambe, non avendo la resistenza di Mendoza e di Buttafuoco, abituati alle sfrenate orge dei filibustieri e dei bucanieri, si era lasciato cadere sulla sedia, non cessando di guardare, con spavento, quelle tre spade che gli pareva gli si appuntassero contro il petto.
– Pfiffer! – esclamò, dopo aver mandato un profondo sospiro.
– Questo è cattivo scherzo.
– V’ingannate, mastro Arnoldo, – rispose Mendoza. – Questo non è affatto uno scherzo e le nostre spade non sono fatte di burro, bensí di puro acciaio di Toledo temprato nelle acque del Guadalquivir.
Il fiammingo proruppe in una risata.
– Datemi da pere, brafo amico.
– Finché vorrete, mastro Arnoldo. La cantina d’El Moro è tutta a nostra disposizione, purché vi prepariate a rispondere alle domande che vi farò.
– Pene!… Pene!… Dite… dite… – rispose il fiammingo, riprendendo un po’ d’animo.
– Allora, – disse Mendoza, – ci spiegherete per quale motivo voi ci seguite ostinatamente da tre giorni, comparendoci sempre come un uccellaccio di malaugurio, nei luoghi che frequentiamo.
– Foi ed il fostro amico siete molto simpatici.
– Ma chi siete voi?
– Fe l’ho detto.
– Che cosa fate a Panama?
– Niente; fifo di rendita.
– Eh, messer Arnoldo, non cercare d’ingannarci, perché potreste uscire di qui conciato male.
Il fiammingo divenne livido come un cadavere, tuttavia rispose con abbastanza fermezza:
– Sono molto ricco.
– E per questo vi divertite a pagare da bere alle persone che vi sono simpatiche, – disse Mendoza, ironicamente. – Compare Arnoldo, non saremo noi che berremmo queste frottole. Sapete come si chiamano nel mio paese le persone che s’attaccano alle altre, come tante mignatte, senza perderle mai di vista?
– Calantuomini.
– No, compare Arnoldo, le chiamano spie.
Il fiammingo prese un bicchiere colmo e lo vuotò lentamente, certo per nascondere la sua emozione.
– Spie, – disse poi. – Io mai afer fatto questo prutto mestiere.
– Eppure vi ripeto che voi dovete essere la spia di qualche pezzo grosso di Panama: del marchese di Montelimar per esempio.
Il bicchiere sfuggí dalle mani del fiammingo e si ruppe con fracasso.
– Ohé, messer Arnoldo, vi piglia male? – chiese don Barrejo.
– Siete piú giallo d’un limone. Volete che vi faccia preparare da mia moglie della camomilla?
Il fiammingo ebbe uno scatto d’ira.
– Taferniere della malora, occupati del tuo fino tu!… – gridò.
– In questo momento le mie botti non hanno affatto bisogno di me, quindi posso prendermi la libertà di scambiare due chiacchiere anch’io.
– Ebbene, mastro Arnoldo, – proseguí l’implacabile Mendoza. – Perché, quando ho pronunciato il nome del marchese di Montelimar, le vostre mani sono state prese da un tremito? Vedete bene che la tazza l’avete spezzata.
– Io pagarla.
– Il padrone d’El Moro è generoso e non vi farà pagare niente. Non approfittate però della rottura del bicchiere per cambiare discorso.
“Ditemi invece come e dove m’ha veduto il marchese di Montelimar e come ha fatto a riconoscermi, dopo sei anni che manco da Panama.”
– Non conoscere marchese di Montelimar, – disse il fiammingo asciugandosi la fronte che appariva bagnata di grosse stille di sudore.
– Ah!… Non volete dirmelo!… – gridò Mendoza. – Vi avverto che quel signor lí, che non parla mai, è uno dei piú famosi bucanieri di Sandomingo, e che io non sono affatto un negoziante di muli, bensí un filibustiere che ne ha fatte di tutti i colori con David e con Raveneau de Lussan.
– Quest’uomo sta male!… – esclamò don Barrejo. – Presto, Panchita, prepara una tazza di camomilla pel signore.
“Gli farà molto bene.”
Infatti pareva che il fiammingo fosse lí lí per svenire, tanto era pallido e disfatto.
– Non vedete che vi tradite? – gridò Mendoza. – O vi decidete a parlare o vi caccio in gola tutta la vostra misericordia.
– Aspetta che abbia almeno bevuta la camomilla, – disse don Barrejo, ridendo.
– Confessate: lo conoscete il marchese di Montelimar, si o no?
È inutile che vi ostiniate a negare ancora.
Arnoldo fece finalmente col capo un cenno affermativo.
– Finalmente!… – esclamò il biscaglino, mentre Buttafuoco, per dimostrare la sua soddisfazione, tracannava due bicchieri, uno dietro l’altro.
– Messer Arnoldo, bevete una goccia anche voi di questo vecchio Xeres, che si dice sia stato imbottigliato nientemeno che da papà Noè, – disse il guascone porgendogli un altro bicchiere. – Vi darà un po’ d’animo e vi rimetterà in gambe, ve l’assicura un vecchio taverniere.
Messer Arnoldo, quantunque fosse completamente ubbriaco, non rifiutò il consiglio. Aveva ben bisogno, dopo tante emozioni e tante angosce, di rimettersi un po’.
– Quando mi ha veduto? – riprese Mendoza.
– Tre giorni fa, – rispose il fiammingo.
– Tu sei dunque uno dei suoi confidenti, per sapere queste cose.
Il fiammingo crollò il capo senza rispondere.
– Dove? – continuò Mendoza, con voce minacciosa.
– Sulle calate del porto.
– Corpo d’un archibugio!… – esclamò il biscaglino, dandosi un paio di pugni