– Bevete prima, Eccellenza. Questo squisito liquore vi rischiarirà le idee meglio del vostro detestabile toddy. Bevetene pure liberamente: non vi farà male. —
Il ministro, che si sentiva invadere da un invincibile tremito nervoso, credette opportuno di non rifiutarsi.
Yanez si raccolse un momento, poi, fissando il disgraziato ministro che aveva le labbra smorte, gli chiese:
– Chi è l’europeo che si trova alla corte del rajah?
– Un uomo bianco che io detesto.
– Benissimo: il suo nome?
– Si fa chiamare Teotokris.
– Teotokris! – mormorò Yanez. – Questo è un nome greco.
– Un greco! – esclamò Sandokan, scuotendosi. – Che cos’è? Io non ho mai udito a parlare di greci.
– Tu non sei un europeo, – disse Yanez. – Sono uomini che godono fama di essere i più furbi dell’intera Europa.
– Avversari temibili?
– Temibilissimi.
– Buoni per te, – rispose la Tigre della Malesia, sorridendo.
Il portoghese gettò via con stizza la sigaretta, poi rivolgendosi al ministro:
– Gode molta considerazione a corte, quello straniero? – gli chiese.
– Più che noi ministri.
– Ah! Benissimo. —
Si era nuovamente alzato. Fece tre o quattro giri intorno alla tavola, torcendosi i baffi e lisciandosi la folta barba, poi, fermandosi dinanzi al ministro che lo guardava attonito, gli chiese a bruciapelo:
– Dov’è che i gurus nascondono la pietra di Salagraman che contiene il famoso capello di Visnù? —
Kaksa Pharaum guardò il portoghese con profondo terrore e rimase muto, come se la lingua gli si fosse improvvisamente paralizzata.
– Mi avete capito, Eccellenza? – chiese Yanez un po’ minaccioso.
– La pietra… di Salagraman! – balbettò il ministro.
– Sì.
– Ma… io non so dove si trova. Solo i sacerdoti ed il rajah ve lo potrebbero dire, – rispose Kaksa, riprendendo animo. – Io non so nulla, mylord.
– Voi mentite, – gridò Yanez, alzando la voce. – Anche i ministri del rajah lo sanno: me lo hanno confermato parecchie persone.
– Gli altri forse, non io.
– Come! Il primo ministro di Sindhia ne saprebbe meno dei suoi inferiori? Eccellenza, voi giuocate una pessima carta, ve ne avverto.
– E perché vorreste sapere, mylord, dove si trova nascosta?
– Perché quella pietra mi occorre, – rispose Yanez audacemente. —
Kaksa Pharaum mandò una specie di ruggito.
– Voi rubate quella pietra! – gridò. – Non sapete che il capello che contiene, appartenne, migliaia di anni or sono, ad un dio protettore dell’India? Non sapete che tutti gli stati c’invidiano quella reliquia? Non sapete che, se ci venisse portata via, sarebbe la fine dell’Assam?
– Chi lo ha detto? – chiese Yanez ironicamente.
– Lo hanno affermato i gurus. —
Il portoghese alzò le spalle, mentre la Tigre della Malesia faceva udite un risolino beffardo.
– Vi ho detto, Eccellenza, che a me occorre quella conchiglia: aggiungerò poi, per placare i vostri timori, che non lascerà l’Assam.
Io non la terrò nelle mie mani più di ventiquattro ore, ve lo giuro.
– Allora andate a chiedere al rajah un tale favore. Io non posso accordarlo, perché ignoro ove i sacerdoti della pagoda di Karia la nascondano.
– Ah! Non vuoi dirmelo, – disse Yanez cambiando tono. – La vedremo! —
In quel momento si udì ad echeggiare il gong, sospeso esternamente alla porta.
– Chi viene a disturbarci? – chiese Yanez, aggrottando la fronte.
– Io, padrone: Sambigliong, – rispose una voce.
– Che cosa c’è di nuovo?
– Tremal-Naik è giunto. —
Sandokan aveva lasciata la pipa, e si era alzato precipitosamente.
La porta si aprì ed un uomo comparve, dicendo:
– Buona sera, miei cari amici: eccomi pronto ad aiutarvi. —
Le destre di Sandokan e di Yanez si erano tese verso il nuovo venuto, il quale le aveva strette fortemente, esclamando:
– Ecco un bel giorno: mi pare di tornare giovane insieme a voi. —
L’uomo che così aveva parlato era un bellissimo tipo d’indiano bengalino, di circa quarant’anni, dalla taglia elegante e flessuosa, senz’essere magra, dai lineamenti fini ed energici, la pelle lievemente abbronzata e lucidissima e gli occhi nerissimi e pieni di fuoco.
Vestiva come i ricchi indiani modernizzati dalla Young-India, i quali ormai hanno lasciato il dootèe e la dubgah pel costume anglo-indù, più semplice, ma anche più comodo: giacca di tela bianca con alamari di seta rossa, fascia ricamata e altissima, calzoni stretti pure bianchi e turbantino rigato sul capo.
– E tua figlia Darma? – avevano chiesto ad una voce Yanez e Sandokan.
– È in viaggio per l’Europa, amici – rispose l’indiano. – Moreland desidera far visitare a sua moglie l’Inghilterra.
– Sai già perché ti abbiamo chiamato? – chiese Yanez.
– So tutto: voi volete mantenere la promessa fatta quel terribile giorno in cui il Re del Mare affondava sotto i colpi di cannone del figlio di Suyodhana.
– Di tuo genero, – aggiunse Sandokan, ridendo.
– È vero… Ah! —
Si era vivamente voltato guardando il ministro del rajah, il quale stava immobile presso la tavola, come una mummia.
– Chi è costui? – chiese l’indiano.
– Il primo ministro di S. A. Sindhia, principe regnante dell’Assam, – rispose Yanez. – Toh! Tu giungi proprio in buon punto. Sapresti tu, Tremal-Naik, far parlare quell’uomo che si ostina a non dirmi la verità?
Voi indiani siete dei grandi maestri.
– Non vuol parlare? – disse Tremal-Naik, squadrando il disgraziato che pareva tremasse. – Hanno fatto cantare anche me gli inglesi, quando ero coi thugs.
Kammamuri però è più destro di me in tali faccende. Ti preme, Yanez?
– Sì.
– Hai ricorso alle minacce?
– Ma senza buon esito.
– Ha cenato quel signore?
– Sì.
– È quasi mattina, può quindi fare uno spuntino, o una semplice tiffine senza birra però.
È vero che l’accetterete in nostra compagnia?
– Chiamalo Eccellenza, – disse Yanez maliziosamente.
– Ah! Scusate, Eccellenza, – disse Tremal-Naik con accento un po’ ironico. – Mi ero scordato che voi siete il primo ministro del rajah. Accettate dunque una fiffine?
– Io di solito non mangio la prima colazione che alle dieci del mattino, – rispose il ministro a denti stretti.
– Voi, Eccellenza, adotterete le abitudini