Alla conquista di un impero. Emilio Salgari. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Emilio Salgari
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
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io scorgere cinque indiani scappare attraverso bosco.

      Dovevano essere thugs, perché io avere veduto ai loro fianchi, lacci e fazzoletti seta nera con palle piombo.

      Io odiare quei bricconi e quindi sparare subito carabina poi pistole e ucciderli tutti, poi gettare cadaveri nel fiume e coccodrilli tutto mangiare.

      – Ed il cofano?

      – Averlo trovato a terra.

      – E poi?

      – Poi io avere udito tuoi araldi, ed io portare qui conchiglia col capello di Visnù perché non sapere cosa farne io.

      – E che cosa domandi ora, mylord? – chiese Sindhia.

      – Io non volere denaro, io essere molto ricco.

      – Ma tu hai diritto ad una ricompensa. La pietra di Salagraman è per noi un tesoro impagabile. —

      Yanez stette un momento silenzioso, fingendo di pensare, poi disse:

      – Tu nominare me tuo grande cacciatore, ed io uccidere le tigri che mangiano tuoi sudditi. Ecco quello che io volere. —

      Il rajah aveva fatto un gesto di stupore, tosto imitato dai suoi ministri ed aveva ben ragione di mostrarsi sorpreso.

      Come! Quell’inglese originale invece di chiedere ricompense si offriva invece di rendere dei preziosi servigi, quali la distruzione di tutte le belve che tanti danni e tante angosce recavano ai poveri assamesi delle campagne?

      – Mylord, – disse il rajah, dopo un silenzio abbastanza lungo. – Io ho offerto onori e ricchezze a chi avrebbe ricuperata la pietra di Salagraman.

      – Io saperlo,– rispose Yanez.

      – E non domandi nulla.

      – Io essere contento cacciare bâg ed essere tuo grande cacciatore.

      – Se ciò può farti felice, io ti offro alla mia corte un appartamento, i miei elefanti ed i miei scikari.

      – Grazie, principe: io essere molto soddisfatto. —

      Il rajah si tolse da un dito un magnifico anello d’oro che aveva un diamante grosso come una nocciuola d’una limpidezza meravigliosa e che doveva valere per lo meno diecimila rupie e lo porse a Yanez, dicendogli con un grazioso sorriso:

      – Tieni almeno questo, mylord, per mio ricordo. Vorrei però chiedere a te, giacché sei un grande cacciatore, un favore.

      – Io essere sempre pronto a farlo a S. Altezza, – rispose il portoghese.

      Il rajah fece un gesto imperioso. I ministri e i seikki si ritrassero subito all’opposta estremità della sala onde non ascoltare ciò che doveva dire il loro principe.

      – Ascoltami, – disse il rajah.

      – Io ascoltarti, Altezza, – disse Yanez avvicinandosi.

      – Tu mi hai detto di esseri recato nella foresta a cacciare la tigre nera. L’hai veduta?

      – No, Altezza, – rispose Yanez, che cominciava a tenersi in guardia, non sapendo dove voleva finire il principe. – Io averne solamente udito parlare.

      – Quella bâg un giorno ha mangiato i miei figli.

      – Aho! Cattiva bestia.

      – Così cattiva che si calcola abbia divorato più di duecento persone.

      – Molto appetito quella bestia!

      – Tu sei grande cacciatore, mi hai detto.

      – Moltissimo.

      – Vuoi provarti a ucciderla? —

      Yanez con non poca sorpresa del rajah non aveva risposto. I suoi occhi si erano invece fissati su una doppia cortina di seta che pendeva dietro a quella specie di letto e che di quando in quando oscillava come se dietro si nascondesse qualcuno.

      – Che cosa può essere? – si era chiesto il sospettoso portoghese. – Si direbbe che qualcuno suggerisce delle pessime idee al sovrano.

      – Mi hai capito, mylord? – chiese il rajah, un po’ sorpreso di non ricevere risposta.

      – Sì, altezza – rispose Yanez. – Io andare uccidere bâg nera che ha mangiato tuoi figli.

      – Avresti tanto coraggio?

      – Io mai avere paura delle tigri. Pum! E morte tutte!

      – Se tu, mylord riuscirai a vendicare i miei figli, io darò a te tutto quello che vorrai. Pensaci.

      – Io avere pensato.

      – Che cosa vorrai?

      – Tu avere commedianti a corte, Altezza.

      – Sì.

      – Io voler vedere commedie indiane e suggerire io soggetto ad artisti.

      – Ma tu non domandi nulla! – esclamò il rajah, che cadeva di sorpresa in sorpresa.

      Un sorriso diabolico era comparso sulle labbra di Yanez.

      – Noi inglesi essere tutti eccentrici. Io voler vedere teatro indiano.

      – Subito?

      – No, dopo aver uccisa tigre feroce. Io dare a mangiare a quella brutta bestia molto piombo.

      Tu Altezza preparare domani elefanti e scikari, prima spuntare sole. Io preparare tutti miei uomini.

      Lasciami andare ora: curare molto mie armi buone. —

      Yanez si era alzato facendo al principe un profondo inchino.

      – Addio, mylord! – disse il rajah porgendogli la destra. – Non dimenticherò mai quanto ti devo.

      – Aho! Io non avere fatto nulla. —

      I seikki ed i ministri si erano riavvicinati. I primi ad un cenno del rajah aveva presentato le armi al portoghese, il quale aveva risposto con un perfetto saluto militare.

      Anche i sei malesi, dal canto loro, avevano alzato le carabine salutando il rajah.

      Yanez attraversò a passi lenti la sala, accompagnato da due ministri; quando però fu presso la porta si volse bruscamente e vide, con non poca sorpresa, una testa comparire fra le cortine di seta che pendevano dietro il trono del principe. Quella testa era d’un uomo bianco, barbuto, con due occhi di fuoco.

      I loro sguardi s’incontrarono, ma fu un lampo, poiché quell’europeo era subito scomparso.

      – Ah! Birbante! – mormorò Yanez. – Eri tu che suggerivi al principe! Deve essere quel greco misterioso di cui mi ha parlato quel povero Kaksa Pharaum.

      Quello deve essere più pericoloso di quell’imbecille di Sindhia, però mio caro, hai da fare con delle vecchie Tigri di Mompracem e puoi essere certo che ti mangeranno. —

      Salutò i ministri che lo avevano accompagnato e uscì dal palazzo, salutato dalle guardie che vegliavano sulle gradinate e dinanzi al portone.

      A breve distanza stava fermo il suo mail-cart, tirato da due cavalli che Bindar, il sivano, riusciva a mala pena a tenere fermi.

      – Mio fratellino Sandokan è veramente un grand’uomo, – mormorò Yanez. – Che tigre prudente. —

      Si volse verso i malesi che aspettavano i suoi ordini:

      – Disperdetevi, – disse loro – fate tutto ciò che volete e badate di non farvi seguire da nessuno. Non ritornate alla pagoda sotterranea che a notte tarda e fucilate senza misericordia chi cercherà di spiarvi.

      Vi sono dei pericoli.

      – Va bene capitano, – risposero i malesi.

      Salì a cassetta, sedendosi a fianco di Bindar e lanciò i cavalli a corsa sfrenata onde nessuno potesse seguirlo.

      Solamente quando fu sulle rive del Brahmaputra lontano dagli ultimi sobborghi, rallentò il galoppo furioso dei focosi destrieri.

      – Bindar, – disse, – hai udito a parlare tu della tigre nera