Che il digiuno e la febbre avria consunto
Quelle estreme reliquie, e il provvidente
Terror di Dio nel comparirgli innanzi
Così com’era; e non chiamata; – un freno
Posero a quella bramosia di morte.
Ma per quanto ella di pregar tentasse,
Più pregar non sapeva. Era la sua
Vita un torbido mar corso dai nembi
Senza un filo di luce.
A lui pensava,
Che credea d’obblïar; pensava a un altro
Che obblïar non poteva; e con veloce
Ricordanza crudele e detti e sguardi
Ricomponendo, e patimenti e gioie,
Stupida e lassa al suo lavor tornava.
Degli aurei fregi e delle ricche vesti
Non possedea più nulla: in sacrificio
Lieto le offerse, a liberar le fedi
Da Leoni tradite. E dopo tanto
E sì intenso patir, – venne quel giorno
Aspettato e terribile, che all’opra
Cadder le membra, e il cibo che non manca
Al più mendico – le mancò. Soccorsi
Limosinar dal mondo? Oh! pria di farlo
Era meglio morir. Morir non era
La gioia sua?…
Ma la mordente fame
Vinse i fieri proposti; e ripensando
Che del molto fallir pena e riscatto
Esser potea la vita, ella ne volle
Trangugiar l’amarezza insino al fondo;
E, offenditrice, il pan del pentimento
Dimandar dall’offeso.
«Alle sue soglie
Ben mi sta ch’io ritorni: ei così smunta
Mi vedrà!… così debole!… alla terra
Curvata e supplicante! – Io fui la dolce
Compagna sua! Gli parlerò d’un tempo,
Ai nostri cuori memorabil troppo.
Non dirò nulla; piangerò. Che importa,
Se quel mio Arrigo io non potrò guardarlo?…
Parole acerbe ei mi dirà! – ma al prezzo
Di risparmiar nuovi peccati – il pane
Non vorrà rifiutarmi. Io non gli chiedo
Altro che il pane!»
Alla più dura croce
Oggi la miseranda anima è posta.
Ben merita, o Signor, quando ella giunga
Nel tuo cospetto, che coi tanti giorni
Di spavento e di colpa, anche quest’ora
Ella trovi notata.
In ampio velo
Chiuse la fronte, e con gli sguardi a terra
Sforzatamente a quella volta mosse.
Dopo quattr’anni ripassò per vie
Non obbliate! da lontan scoperse
Quella dimora! – entrò per quella soglia!
Quelle mura conobbe! Ad ogni sguardo
Una fiera memoria; ad ogni passo
Un sorvenire, un assalir d’affetti;
Un acceso disordine; un tumulto
Vertiginoso. Entrata era felice;
N’uscìa reietta; vi tornava quasi
Moribonda di fame. Il cor materno
Si dilatava, si stringea, spirando
L’aura spirata da’ suoi dolci figli;
E così a stento, finalmente venne
Alle stanze d’Arrigo.
In fondo egli era,
Solo e pensoso. Alzò gli sguardi e vide…
E credea d’ingannarsi; e in piè balzando,
Un tremito contenne, immobil stette.
E la guardò.
La misera prostrata
Gli era davanti ad aspettar.
– «Chi siete?…
Che cercate da me?»
Levò tremando
Edmenegarda la consunta faccia,
E – «Guardatemi! disse. Un dolce nome
Io portava una volta; a voi dinanzi
Più recar nol poss’io… Ma ho fame, Arrigo!…
Sì, guardatemi!… ho fame!»
«Ah! che i sepolti
Non han più desiderii; ed è gran tempo
Ch’ella è sotterra, e disertati e soli
Qui restiam noi. Vedete quelle stanze?
Là mi venne rapito, ahi! così presto
Quel mio tenero fiore. E questi cari
Li vedete? – appressatevi, infelici
Orfani miei!» —
La disperata madre
Stese le braccia; ma li strinse Arrigo
Forte sul petto, come per salvarli
Da quell’amplesso.
– «Sono miei! Non sono
D’altri che miei! Partitevi: alle vostre
Gioie fate ritorno… e non turbate
Questa dimora ove obblïar si tenta.» —
Così dicendo, e accortosi che i figli
Eran vicini a rannodar le sparse
Reminiscenze dell’amato aspetto,
Li strappò seco; e si perdea nel vuoto
Aere il romor dei concitati passi.
Quella larva s’alzò; segno non fece,
Non proferse parola; uscì più ratta,
Qual s’ella avesse il suo vigore antico.
Gelido un riso le movea dai labbri;
Sotto l’urto precipite del sangue
Non vedea più le cose; – e camminava
Camminava convulsa e strascinata
Da un’orribile idea.
Vide una striscia
D’acque terse e lucenti. Era il canale;
La meta sua. Con un’ebbrezza intensa
Girò lo sguardo; misurò quell’acque;
Doppiò le forze; si cacciò sull’orlo;
V’inarcò la persona… e già il mortale
Tratto mancava. – Quando, ai disperati
Occhi una luce balenò; dischiusa
Vede una bianca soglia; ode un soave
Salmodïar di voci; un infinito
Scoramento la vince; una speranza
Vien come lampo; quel disegno orrendo
Torna, cede, rincalza, è dileguato! —
Inneggiate, o celesti! Ella è nel tempio
Col suo dolce Pastor l’agna perduta;
Rifiutata