III
Tutti erano assai inquieti nel fondaco. Perché la signora Maddalena si era chiusa nello scrittoio con Giacomino? Come mai?
Di solito, quando andava in bestia, strillava come un’anima dannata, anche davanti alla gente, e quella volta non si udiva nemmeno la sua voce!…
– Dio, Dio, Dio! Che cosa gli farà? – gemeva la signorina Cammilla, e diventava pallida pensando a Giacomino. – Che cosa gli dirà? Che cosa gli farà confessare? – pensava alla sua volta il signor Daniele, più stralunato, più arruffato, più giallo che mai, sbirciando alla sfuggita l’uscio del casotto, dove la sua signora si era chiusa col figliuolo.
Pure la Cammilla si consolava un poco quando Gian Maria e Temistocle rispondevano con un’alzata di spalle che quell’altro non aveva paura di nessuno e avrebbe saputo difendersi. Il signor Daniele invece si sentiva sempre più scombussolato e sgomento, sbagliava nel far le somme, gli tremava la mano nel pesare, non capiva più niente.
E aveva ben ragione di essere inquieto; stava peggio lui di Giacomino: l’aveva fatta più grossa.
– Dio, Dio, Dio! Se Giacomino, messo alle strette, minacciato, spaventato, facesse una frittata? Se confessasse che i denari li aveva avuti da suo padre?… Che a giuocare a biliardo, al Biffi, ci andava con suo padre? Se… Dio, Dio, Dio! (e da giallo diventava verde), se Giacomino confessava, tutto il resto!… Se parlava di madamigella Fanny?…
Quando il ritrattino della cavallerizza era saltato fuori dalla tasca di Giacomo, nessuno l’aveva visto, tranne la signora Maddalena. Se il signor Daniele fosse stato presente, sarebbe scappato Dio sa dove!… A Melegnano da’ suoi parenti, e più in là, anche in capo al mondo!
E causa di tutto, l’amor paterno. Un cieco, un eccessivo amor paterno; un misto d’affetto e d’orgoglio pel suo bel ragazzo così ardito, così sano, così prepotente! Insomma così diverso da lui!
Il signor Daniele era la gallina che aveva covato un uovo di aquila; rimaneva come sbalordito e timoroso dinanzi a quel figliuolo, che non pareva dello stesso sangue dagli altri: lo ammirava, nelle sue qualità, ne suoi difetti, nei suoi vizi; e non solo, ma di soppianto dalla madre, lo contentava in ogni capriccio, quasi cedeva alle sue volontà e ne seguiva persino i cattivi esempi.
Dal figliuolo si era lasciato indurre una sera ad entrare al caffè Biffi: passeggiavano da un pezzo sotto la Galleria, quando ad un tratto Giacomo scorse seduti ad un tavolino del caffè alcuni suoi antichi condiscepoli dell’istituto tecnico, e tutti volontari di cavalleria.
Come avrebbe potuto il signor Daniele trattenere quel diavolo di Giacomino, che senza alcun riguardo si era buttato allegramente fra le braccia dei compagni?
– Addio, Moretti!
– Oh, Trebeschi!
– Cosa fai?
– Come stai?
– Sono in cavalleria!
– Anch’io quest’inverno! Anch’io entro in cavalleria! – Ma, per il momento, entrarono invece nella, sala da biliardo, dopo aver traversato rumorosamente il caffè, urtando la gente… e il signor Daniele dietro, trasognato, meravigliato per la disinvoltura e la baldanza del figliuolo.
– Permettete? Facciamo le presentazioni: mio padre.
E Giacomino, con signorile eleganza, appoggiandosi ad una stecca di biliardo, fece tutte le presentazioni speditamente e coi dovuti inchini, mentre il buon Daniele sorrideva come uno stupido e s’imbrogliava nello stringere tutte quelle mani.
– Complimenti!… Servitor suo! – e guardava Giacomino per farsi coraggio.
E proprio lì, proprio in quel maledetto caffè Biffi, sempre per causa di quel diavolo scatenato, una bella sera egli aveva fatto la conoscenza, e aveva parlato la prima volta con madamigella Fanny. Cioè, parlato no. Egli si era contentato di dirle: bon soàr, madamoasèl, quando la signorina si era alzata per andar via. Ma intanto aveva cominciato col pagare il punch frappé… e dopo… dopo non c’era stato più rimedio.
– Se Maddalena venisse a saperlo!… Che finimondo! – E il signor Daniele, tremante, tornava a guardare verso il bugigattolo e l’uscio sempre chiuso. A poco a poco, l’oppressione, l’affanno gli toglievano il respiro.
Gli, pareva a volte che il casotto traballasse, che sua moglie ne scattasse fuori come una bomba, mettendo sossopra tutto il fondaco, tutta la via Lentasio, vomitando ingiurie e vituperi.
E il signor Daniele, riguardoso e delicato, soffriva in cuore suo, anche nel pensare alle brutte parolacce che senza dubbio avrebbero colpito ingiustamente quella gentilissima signorina, così piena di sentimenti dignitosi e disinteressati: con quel piccolo neo dietro l’orecchio, col collo d’avorio, sottile e trasparente nel cravattone rosso, e… e che, gli stringeva la mano con tanta forza da storpiargliela, dicendogli: mon cher ami!
– Babbo! Il Cartolari ha rimandato il conto! Ancora non va bene.
– Chiama Temistocle!… Parla colla Cammilla!
Aveva altro in niente lui che il Cartolari e i conti sbagliati! Seduto in un angolo buio del fondaco, tenendo sempre d’occhio l’uscio dello scrittoio, riandava nella mente tutta la storia di quel suo incontro colla signorina Fanny.
Una storia semplice, del resto e naturalissima nella sua… fatalità.
La signora Maddalena era andata a Lodi per affari, e non sarebbe tornata altro che il giorno dopo: erano in piena libertà… non c’era nemmeno il pericolo che la serva facesse la spia alla padrona, perché era stata mandata via su’ due piedi. Il pranzo lo aveva preparato la Cammilla, e per stare allegri, invece del solito lesso e riso e rape, avevano ordinato maccheroni, polpettone, tortelli; ne avevano fatta una scorpacciata. Temistocle e Gian Maria russavano colla testa giù, sulla tavola. Il signor Daniele sonnecchiava, ma con una certa compostezza; Cammilla, accesa in volto, certo per il calor dei fornelli, rideva e scherzava con Giacomino… Dio santo! Non potevano continuarla così tutta sera, a divertirsi innocentemente?… Signor no! Giacomino, a un tratto, passa vicino al babbo, gli tocca il gomito, gli strizza l’occhio, fa l’atto di tirare un colpo colla stecca del biliardo:
– Si va a prendere una boccata d’aria? Saperlotte! Quattro passi e poi si torna!
Invece, quando il signor Daniele tornò a casa col figliuolo, la mezza era sonata da un’ora. Avevano fatto cinque o sei giri in Galleria, e Giacomo, ad ogni giro si era scostato dal babbo per spiare dai cristalli del caffè Biffi se vedeva il tavolino coi soliti amici: non c’era nessuno.
– Saperlotte!
– Andiamo a dormire: è molto meglio.
Il signor Daniele pareva avesse il presentimento d’una grande disgrazia. Ma il figliuolo entrò diritto nel caffè, e lui, par non lasciarlo solo, gli tenne dietro sospirando.
– Un punch frappè! Molto frappè!
Giacomino allungò le braccia, tirò fuori i polsini dalle maniche, accese una sigaretta e domandò lo Sport illustrato e il Figaro.
Il babbo lo contemplava estatico.
– Fumi troppo, ti farà male – gli disse poi con un tono di voce sommesso e carezzevole.
Giacomo, per tutta risposta, fece passare il fumo della sigaretta per il naso come i Turchi, poi lo inghiottì come gli Spagnuoli; poi, alzando il capo, vide fermarsi poco innanzi al suo tavolino una bella signora, mezzo vestita da uomo, accompagnata da un giovanotto con un soprabitino cortissimo e un berettino di panno bigio; la signora cercava un posto dove sedersi: ma il caffè era tutto pieno.
– Si accomodi, prego – esclamò il giovane Trebeschi alzandosi e inchinandosi con perfetta galanteria. Si alzò quasi subito anche il signor Daniele, ma per la confusione il cappello gli scivolò di mano e andò a cadere sotto il tavolino.
– Merci, monsieur.
Il