Appena maestro Ciliegia ha visto quel pezzo di legno, si è rallegrato tutto e ha borbottato a mezza voce:
– Questo legno è capitato a tempo[4]; voglio fare una gamba di tavolino.
Detto fatto[5], ha preso subito l’ascia arrotata per cominciare a levare la scorza e a digrossare; ma quando era lì per lasciare andare la prima asciata, è rimasto col braccio sospeso in aria, perché ha sentito una vocina sottile, che detto:
– Non mi picchiare tanto forte!
Figuratevi come è rimasto quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
Ha girato gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non ha visto nessuno! Ha guardato sotto il banco, e nessuno; ha guardato dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; ha guardato nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; ha aperto l’uscio di bottega per dare un’occhiata[6] anche sulla strada, e nessuno. O dunque?..
– Ho capito; – ha detto allora ridendo, – si vede che quella vocina me la sono figurata io[7]. Rimettiamoci a lavorare.
E ha ripreso l’ascia in mano, ha tirato giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.
– Ohi! tu mi hai fatto male! – ha gridato la solita vocina.
Questa volta maestro Ciliegia è restato con gli occhi fuori del capo per la paura, con la bocca spalancata e con la lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana[8].
Appena ha riavuto l’uso della parola, ha cominciato a dire:
– Ma di dove è uscita questa vocina che ha detto ohi?.. Eppure qui non c’è anima viva. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco… Se c’è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui.
E ha agguantato con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e ha posto a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.
Poi si è messo in ascolto[9], per sentire se c’era qualche vocina. Ha aspettato due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!
– Ho capito; – ha detto allora, – si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io! Rimettiamoci a lavorare.
Intanto ha preso in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giù, ha sentito la solita vocina che gli ha detto ridendo:
– Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo!
Questa volta il povero maestro Ciliegia è caduto giù come fulminato. Quando ha riaperto gli occhi, si è trovato seduto per terra.
Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, è diventata turchina dalla gran paura.
2
Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino meraviglioso, che sa ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali
In quel punto qualcuno ha bussato alla porta.
– Passate pure, – ha detto il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.
Allora è entrato in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato lo chiamavano col soprannome di Polendina[10], a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.
Geppetto era bizzosissimo. Guai[11] a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia.
– Buon giorno, mastr’Antonio, – ha detto Geppetto. – Che cosa fate per terra?
– Insegno l’abaco alle formicole.
– Buon pro vi faccia.
– Chi vi ha portato da me, compare Geppetto?
– Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che sono venuto da voi, per chiedervi un favore.
– Eccomi qui, pronto a servirvi, – ha replicato il falegname, rizzandosi su i ginocchi.
– Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea[12].
– Sentiamola.
– Ho pensato di fabbricare un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sa ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchiere di vino: che ve ne pare?
– Bravo Polendina! – ha gridato la solita vocina.
A sentirsi chiamare Polendina, compare Geppetto è diventato rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli ha detto imbestialito:
– Perché mi offendete?
– Chi vi offende?
– Mi avete detto Polendina!..
– Non sono stato io.
– Sta’ un po’ a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.
– No!
– Sì!
– No!
– Sì!
E riscaldandosi sempre più, sono venuti dalle parole ai fatti, si graffiavano e si mordevano.
Finito il combattimento, mastr’Antonio si è trovato fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si è accorto di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.
– Rendimi la mia parrucca! – ha gridato mastr’Antonio.
– E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace.
I due vecchietti hanno stretto la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.
– Dunque, compar Geppetto, – ha detto il falegname in segno di pace fatta – qual è il piacere che volete da me?
– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?
Mastr’Antonio, tutto contento, è andato subito a prendere sul banco quel pezzo di legno. Ma quando era lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno ha dato uno scossone e è andato a battere con forza negli stinchi del povero Geppetto.
– Ah! gli è con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? Mi avete quasi azzoppito!..
– Vi giuro che non sono stato io!
– Allora sarò stato io!..
– La colpa è tutta di questo legno…
– Lo so che è del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!
– Io non ve l’ho tirato!
– Bugiardo!
– Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!..
– Asino!
– Polendina!
– Somaro!
– Polendina!
A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si è avventato sul falegname.
A battaglia finita, mastr’Antonio si è trovato due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Hanno pareggiato in questo modo i loro conti, si sono stretti la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.
Intanto Geppetto ha preso con sé il suo bravo pezzo di legno, ha ringraziato mastr’Antonio, è ritornato zoppicando a casa.
3
Geppetto,