Le storie dei miei amici. Novelle. Alla Gelenidze. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Alla Gelenidze
Издательство: Издательские решения
Серия:
Жанр произведения: Современная русская литература
Год издания: 0
isbn: 9785005625243
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Tu e la tua famiglia vivete in un appartamento in affitto?

      – Sì…

      – Beh, tra sei mesi ti trasferirai qui. Vivi… e almeno qualche volta ricordati di me… vieni al cimitero …L’avvocato si stava persino soffocando:

      – Ebbene, di cosa stai parlando?!

      – Va bene, calmati.

      Rivolgendomi al notaio, dissi:

      – In definitiva, compila i documenti in modo che, in sei mesi, riceva tutti i miei beni immobili, fino alle mutande – feci l’occhiolino al mio amico.

      Il notaio esitò e chiese:

      – Forse è meglio non indicare i tempi? Chiariamo solo che questo avverrà dopo la tua morte…?

      – No! Indicate il periodo: sei mesi.

      Facendo di nuovo l’occhiolino al mio amico, risi con rabbia:

      – Giusto? Perché, se io all’improvviso cambio idea sulla morte, e tu devi aspettare un appartamento fino alla vecchiaia, ah …?

      – Beh, di cosa stai parlando, fratello, – l’avvocato arrossì dappertutto, – non ho bisogno del tuo appartamento!

      – È necessario, è necessario, – ho dato una pacca sulla spalla al ragazzo sconvolto, – ok, non essere offeso dallo sciocco morente…

      – Bene, ora basta! Me ne sto andando!

      – Wah! Che cosa sei, sei forse una ragazzina? Non sai stare allo scherzo? Siediti!

      La forza mi stava lasciando. Mi rivolsi quindi al notaio con le parole:

      – Devo riposare. Quando i documenti sono pronti, portameli da firmare. Ora vado a dormire. – Andai in camera da letto, e mentre ero quasi già a letto, aggiunsi, – Tutto è per lui… tutto tranne l’auto.

      Incontro con la Vita

      SECONDA PARTE

      I

      Terminate le pratiche burocratiche per il trasferimento dell’appartamento e dopo aver riposato per due giorni, decisi che era ora di passare alla seconda e ultima fase della mia vita morente. Bene, detto fatto!

      Alzandomi la mattina seguente e buttando la mia borsa piena di soldi sul sedile anteriore dell’auto, andai in chiesa. Sembrerebbe che possa essere più facile andare in chiesa – di chiese a Tbilisi ce ne sono tante. Ma, questo si è rivelato non così facile. Tuttavia, andiamo per ordine.

      Fermandomi alla prima chiesa che incontrai sulla mia strada – tra l’altro, era a un centinaio di metri da casa – rimasi a lungo in macchina, poi andai davanti. Questo è andato avanti per diverse ore. Feci il giro della città, fermandomi ad ogni tempio, ma non osavo uscire. Si stava già facendo buio quando scoprii che ero uscito da tempo fuori città. La prima reazione fu quella di tornare indietro; ma poi si udì il suono solitario di una piccola campana. Sbirciando in lontananza, vidi una chiesa, e capii che ero in un villaggio, non lontano dalla città. Il pensiero balenò: «Devo entrare». Guidai fino alla chiesa ed entrai…

      Con mia grande sorpresa, la chiesa era piena di gente. La messa era in corso. I cantanti cantavano. Nessuno prestò attenzione a me. Seduto su una panchina vicino al muro, pensai: «Probabilmente per le persone come me, i deboli…».

      I cantanti cantavano in modo così dolce, la voce del prete era così pacificante e la gente pregava così sinceramente, che la pace scese su di me. Non posso dire di essermi addormentato, perché ho visto e sentito tutto quello che accadeva intorno. Ma allo stesso tempo, la mia mente sembrava esistere separatamente dal corpo e, per la prima volta, non aveva paura di morire.

      Finita la messa, a poco a poco tutti si dispersero, e io ero ancora seduto sulla panchina. Dopo un po’, un giovane monaco mi si avvicinò e mi chiese se andava tutto bene. Risposi di sì, gli dissi addio e me ne andai.

      Era notte fuori.

      Una volta al volante, aprii il sedile e mi stesi, per la prima volta dopo tanti mesi, con calma mi addormentai.

      II

      Al risveglio, per abitudine, mi guardai il polso della mano sinistra, ma, ricordandomi che il mio Rolex era stato ereditato dal «fortunato avvocato», risi. Tuttavia, il sole era alto ed era chiaro che mezzogiorno era passato da un pezzo. Allungandomi, mi sedetti e guardai fuori dalla finestra aperta: dal lato posteriore, una grossa pietra, due occhi castano chiaro mi stavano guardando. – Ehi ragazzo, vieni qui.

      Il bambino non si mosse.

      – Non aver paura, vieni qui.

      Nessuna reazione.

      Rovistai nella borsa, mostrai al ragazzo una banconota da venti dollari e lo chiamai di nuovo:

      – Vieni qui, guarda cosa ti do.

      Da dietro la pietra apparve un naso moccioso e lentigginoso, e poi l’intera testa.

      – Per che cosa mi serve? – Chiese la testa, – se sei così gentile, dalli alla mia mamma.

      – Dov’è tua madre?

      – Là, – agitò la testa che apparve da dietro la pietra, la mano verso il villaggio visibile.

      – Bene, sali in macchina, andiamo da tua madre.

      – No! Non mi siederò! Non posso salire nella macchina di estranei, – Il ragazzo è completamente strisciato fuori da dietro la pietra. Era un bambino dai capelli rossi brillanti, di circa sei anni. Ragazzo mal vestito, moderatamente sporco e intelligente.

      – Bravo! Bene, corri avanti. Ti seguirò. Incontriamo tua madre.

      III

      Avvicinandomi al cancello nel quale è entrato il ragazzo, rimasi sbalordito alla vista di una casa di legno che era cresciuta nel terreno, da cui emerse una donna sorpresa, di età indefinita.

      – Ciao, scusi se la disturbo. Posso chiederle da bere?

      – Certo. – La donna si calmò immediatamente e lo invitò ad aspettare in cortile mentre prendeva l’acqua dal pozzo.

      Seduto su uno sgabello portato da una bambina, cominciai ad esaminare il cortile: «Già, per così dire, povero, ma ordinato.»

      La donna mi porse un bicchiere d’acqua appannato e mi guardava sbalordita mentre lo svuotavo.

      – Perché sei sorpresa?

      – È così evidente? – la donna era imbarazzata, – solo che, a volte, le persone di passaggio si fermano a casa nostra e chiedono da bere, ma quando porto loro dell’acqua, chiedono sempre se è bollita e se sono sicura che quest’acqua può essere bevuta. Voi non avete chiesto niente. Perché?

      Strizzai l’occhio ai bambini intorno a me, ce n’erano cinque, piccoli, piccoli. – Perché non ho paura di niente. Sono tutti figli suoi?

      – Sì.

      – Dov’è suo marito? Al lavoro?

      – No…

      – Come? È morto?

      – No. Che cosa fa…? È andato a lavorare – aveva detto – in Russia. Poi qualcuno lo ha visto in Francia. – Beh, guadagna soldi?

      – Non lo so. Non ci invia nulla.

      – Se n’è andato da molto tempo?

      – Sì… già da quattro anni. Il piccolo, – fece un cenno al mio amico, – non lo ricorda affatto.

      – Ma come sopravvivi?

      – Fino a poco tempo fa, avevamo due mucche, quindi non morivamo di fame e ci bastavano anche per vestiti e materiale scolastico. Ma c’è stata una pestilenza. Sono passati due mesi da quando le mucche sono morte. Ora non so come vivere…

      Avevo appena notato che la donna stava guardando la banconota