Bunce non aveva più nulla di interessante da dire, così Slim annotò il suo numero, trovò una scusa e se ne andò. Aveva raggiunto la stazione degli autobus e aspettava in fila per il biglietto, quando fu folgorato da un pensiero.
Tirò fuori il numero di Bunce e chiamò l’antiquario.
“Ha già bisogno di me?”
Slim sorrise. “Ho solo una domanda veloce. Con un orologio come quello che ho trovato, quanto spesso consiglierebbe di dargli la corda?”
“Oh, non saprei, una volta ogni paio mesi. Amos faceva delle molle incredibili. Le caricavi e duravano per molto tempo.”
“Okay, grazie.”
Quando fece ritorno all’albergo, la Signora Greyson stava spolverando l’atrio. Slim le augurò gentilmente una buona serata, poi corse verso la sua camera. Una volta lì, tirò fuori l’orologio da sotto al letto e si sedette ad ascoltarne il ticchettio per qualche minuto. Poi lo girò, tolse il pannello di legno che Bunce non aveva riavvitato e si mise ad osservare gli ingranaggi dell’orologio. Il piccolo quadrante che dava la corda all’orologio riecheggiava fiocamente ad ogni ticchettio.
Aggrottò le sopracciglia, sfiorandolo con il dito e notando la mancanza di sporcizia, se confrontato con il resto dell’orologio.
Una volta ogni paio mesi, aveva detto Bunce. Se l’orologio fosse rimasto interrato per oltre vent’anni, la molla si sarebbe scaricata molto tempo fa.
Slim non l’aveva caricata, il che portò alla domanda: chi era stato?
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