L'Afghanistan aveva avuto lo stesso effetto su di lui. In un posto descritto come un deserto, c'erano state aspre montagne e valli profonde. La neve ricopriva le cime frastagliate. Le valli erano ricche di raccolti e bestiame.
Era stato sorpreso di trovare bellezza e abbondanza in un luogo ritratto come squallido. Ma quel ritratto non includeva tutti: i bravi abitanti del posto cercavano di restare fuori dalla cornice. Molto spesso, non avevano successo e una pennellata di violenza colorava le loro vite.
Fran si fermò davanti al ranch. Quando il comandante del suo drappello lo aveva acquistato, i soldati lo avevano rapidamente ribattezzato il Purple Heart Ranch. I ricchi petali viola di una campanula erano il simbolo di quello stesso nome. La Purple Heart era una medaglia, il premio per coloro che avevano servito in battaglia ed erano stati feriti da mani nemiche. Ogni uomo nel suo drappello era stato ferito e ora che erano andati tutti lì per guarire, avevano subìto un altro colpo.
Fran e gli uomini del suo drappello si dovevano sposare nel giro di poche settimane, se volevano restare tutti in quel ranch che aveva iniziato a guarire le loro ferite e aveva ridato a tutti uno scopo nella vita. Il problema era che non c'erano molte donne disposte a lasciarsi incatenare per tutta la vita a un gruppo di guerrieri feriti. Certamente nessuna alla quale lui potesse donare il proprio cuore, visto che poteva smettere di battere da un momento all'altro.
Quindi Fran avrebbe dovuto lasciare il ranch molto presto. Ma non prima di aver visto sistemati tutti gli altri uomini. Era colpa sua se tutti quanti avevano perso una parte di se stessi, quindi era in debito con loro. Si sarebbe assicurato che quegli uomini avessero la tranquillità che meritavano. E chissà, forse avrebbero persino trovato l'amore.
Era un bel sogno. Di quelli che un tempo aveva fatto per se stesso. Ma era un sogno che sapeva di non poter mai realizzare, visto che aveva una bomba a orologeria che ticchettava nel petto.
Capitolo Due
Eva trasse un profondo respiro per calmarsi. Tuttavia, le tremavano le mani. Sollevò la penna sopra il foglio, scosse le dita e provò di nuovo.
Aveva fatto i conti nella mente. Non si poteva sbagliare a scrivere le cifre e il loro corrispettivo in lettere. Quello era un assegno molto grosso. Il più grosso che avesse mai compilato in vita sua.
Dopo aver controllato per tre volte e poi ricontrollato per tre volte ancora, posò la penna. Rotolò lontana da lei, ma la lasciò andare. Non aveva più bisogno dell'inchiostro. Aveva speso i soldi e ora il suo conto era vuoto. Ma ne era valsa la pena.
Strappò l'assegno dal libretto con cautela. Era il numero uno. Non aveva mai compilato un assegno in vita sua, aveva sempre pagato in contanti. Quello era il primo conto corrente che usava per spendere e non per incassare. Ed era il suo primo assegno.
Lo porse alla donna dietro il bancone. Aveva occhi gentili e un sorriso paziente. Esaminò l'assegno.
Eva trattenne il fiato. Non poteva aver commesso un errore. Non poteva permettersi di infilare un centesimo di più in quell'assegno.
"Sembra tutto a posto, mia cara," disse la donna.
Le spalle di Eva si abbassarono visibilmente per quell'affermazione.
"Ecco il suo orario." La responsabile delle ammissioni porse a Eva un foglio con i numeri delle stanze, i nomi dei corsi e dei professori stampati in linee ordinate. "Arrivederci a lunedì, signorina Lopez."
"Sì," sussurrò Eva. "Sì, certo."
"Buone lezioni, cara."
"Anche a lei. Cioè, grazie. Buona giornata."
Eva diede le spalle allo sportello delle ammissioni, stringendosi l'orario al petto. Dietro di lei c'era una lunga fila di studenti che si volevano iscrivere. Apparivano annoiati e stanchi. Nessuno aveva la sua stessa eccitazione nelle vene. Forse era perché la maggior parte di loro aveva una borsa di studio, o qualche aiuto economico, o dei genitori che pagassero per la loro istruzione.
Non era il caso di Eva. Lei aveva guadagnato ogni centesimo che aveva appena ceduto alla scuola con una firma. Le ci erano voluti tre anni, ma ce l'aveva fatta. Aveva risparmiato abbastanza per il suo primo semestre di college. Non online. Avrebbe frequentato un vero campus. E nemmeno qualche corso di istruzione professionale: quella era l'università di Stato.
Non stava facendo la snob. Beh, in verità sì. Per la prima volta in vita sua, faceva parte dell'élite. Se solo i suoi genitori avessero potuto vederla in quel momento! Comunque, sentiva che la stavano guardando da lassù e che erano raggianti d'orgoglio.
Ce l'aveva fatta. Aveva realizzato il suo sogno. I suoi genitori glielo avevano detto fin dal primo giorno di scuola materna: l'istruzione era la chiave per realizzare i suoi sogni. Con l'istruzione, tutto diventava possibile.
Eva non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto con quell'istruzione. Sapeva solo di desiderarla. Amava andare a scuola, sedersi dietro un banco mentre l'insegnante faceva magie alla lavagna.
Gli ultimi tre anni dopo che si era diplomata alle superiori erano stati tristi. Tuttavia, presto sarebbe stata di nuovo al proprio posto dietro un banco. Allora, tutto sarebbe stato possibile.
Eva saltò sull'autobus e iniziò il viaggio verso casa sua, che era oltre i bei quartieri che circondavano il college. Casa sua era oltre i condomini alla moda nel quartiere degli affari. Casa sua era un edificio fatiscente nella zona molto meno alla moda, dove la gente lavorava per compensi orari spesso inferiori al minimo statale.
Il bus non si fermava vicino all'edificio. Scaricò Eva davanti alla chiesa. Negli ultimi mesi da quando era andata a vivere lì, c'era entrata qualche volta. A ogni trasloco, si assicurava sempre di trovare una chiesa. Anche se non conosceva nessuno, quella era sempre una casa per lei.
"Buon pomeriggio, signorina Lopez."
Eva si voltò al suono della voce di un uomo più anziano. Un sorriso le si allargò sul viso. "Salve, pastore Patel."
Eva si avvicinò e strinse la mano dell'uomo. Lui la allontanò e strinse la ragazza in un abbraccio caloroso. Eva lo accettò con gratitudine: gli abbracci del pastore Patel assomigliavano a quelli che le dava un tempo suo padre.
"Non ti vedo da un paio di settimane," la rimproverò il pastore.
"Ho fatto qualche extra, per guadagnare un po' di soldi. Ma ora mi vedrà. Avrò più tempo nei fine settimana. Ce l'ho fatta, mi sono iscritta al college."
"Oh, mia cara. Sono molto felice per te." Le accarezzò la spalla con affetto, come faceva sempre sua madre. "Comunque, vorrei che avessi accettato i soldi della chiesa."
Eva scosse la testa. Oltre alla necessità di una buona istruzione, suo padre le aveva insegnato a non accettare la carità. La sua famiglia aveva lavorato per ottenere tutto quello che aveva. Bisognava donare alla Chiesa e ai meno fortunati. Per il resto, si affidavano alla famiglia. Quello era lo stile di vita dei Lopez.
"Bene, adesso che sei una studentessa universitaria," disse il pastore Patel, "verresti domani a fare lezione all'associazione giovanile?"
Eva esitò. Non credeva di avere già qualcosa da insegnare. Aveva difficoltà a farsi ascoltare dai suoi stessi fratelli, quando dava consigli sulla vita. Ma sapeva che il pastore Patel non avrebbe accettato un no come risposta, quindi acconsentì. Con un ultimo abbraccio, lui la lasciò andare per la sua strada.
Eva percorse il tragitto a passo svelto. La ragione per la quale l'autobus non arrivava fino al suo quartiere era evidente. C'erano dei vetri sulla strada. Da alcuni vicoli arrivava un fetore disgustoso. Alcuni uomini bighellonavano agli angoli della strada nel pomeriggio, prima della fine della giornata lavorativa. Uno di quelli era troppo basso per poter essere considerato un uomo.
"Carlos," chiamò Eva.
Il ragazzo non si voltò, ma lei sapeva che l'aveva sentita.
Eva si avvicinò a suo fratello a passo di marcia. Si trattenne dal tirargli su i